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Thursday, March 09, 2006

Come si realizza il regime change nonviolento in Iran

Michael LedeenA proposito di Corriere (si è parlato ieri dell'endorsement molto italiota di Mieli) questa mattina ho iniziato a leggere l'editoriale in prima pagina, con la legittima aspettativa di trovarci spunti interessanti sulla crisi del momento, quella iraniana. Invece, sono incappato in una riga in cui c'era scritto che «lo scatenato Ahmadinejad è stato democraticamente eletto».

Sono saltato sulla sedia e non ho più continuato, sono passato ad altro. Democraticamente? E i candidati imposti dal regime? I dissidenti politici incarcerati e torturati? Era la solita solfa. Per fortuna, di recente, a metà febbraio, il Segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, ha chiesto alle commissioni Affari esteri della Camera e Bilancio del Senato di portare da 10 a 85 milioni di dollari i fondi per lo sviluppo di scambi culturali, programmi tv e radio destinati all'Iran, per il finanziamento delle Ong per i diritti umani, dei sindacati e dei dissidenti iraniani.

Al Congresso ha parlato l'altro ieri Michael Ledeen - Il Foglio stamattina riportava la traduzione dell'intervento - a sostegno dell'Iran Freedom Support Act e, credo, della richiesta di maggiori fondi avanzata finalmente dall'amministrazione. L'impossibilità di giungere a un accordo con gli iraniani sul nucleare «ci lascia tre possibilità, che non si escludono a vicenda: sanzioni economiche, intervento militare e sostegno alla rivoluzione democratica». Ledeen si è detto contrario alle prime due e favorevole all'appoggio della «rivoluzione». Dopo aver spiegato ai membri del Congresso perché le prime due opzioni oltre che inefficaci sarebbero controproducenti - danneggerebbero solo la popolazione e susciterebbero reazioni nazionaliste - ha esposto come si realizza un regime change nonviolento.

«critica contro le azioni violente del regime e un altrettanto costante incoraggiamento della libertà e della democrazia. (...) aumentare considerevolmente il nostro sostegno alle radio e alle tv private, in America e in Europa, e dobbiamo anche deciderci a usare i nostri canali radiotelevisivi come strumenti rivoluzionari. (...) fornire i mezzi necessari per realizzare due azioni rivoluzionarie di fondamentale importanza: costruire risorse per un fondo scioperi e dare strumenti moderni di comunicazione».

L'esperienza con il comunismo sovietico dimostra «che una rivoluzione può trionfare anche sotto una durissima repressione e che ci sono spesso numerosi rivoluzionari democratici, anche se noi non riusciamo a vederli». Il sospetto è che «in Iran ci siano molti potenziali leader, alcuni dei quali sono rinchiusi in carcere, mentre altri vivono in clandestinità». Certo, nessuno può dire che tempi ci vorranno con certezza, ma spesso le dittature «crollano con sorprendente rapidità», e negli ultimi anni molte sono crollate, quasi tutte con l'appoggio americano, perché la maggior parte delle «rivoluzioni» ha «bisogno di un aiuto esterno per trionfare». Vale anche per l'Iran: la «rivoluzione democratica non potrà sconfiggere i mullah senza l'aiuto degli Stati Uniti». Questo gli iraniani lo sanno e «attendono concreti segni di sostegno da parte nostra».

3 comments:

Anonymous said...

Federico, hai il link del discorso "originale". Sarò impedito io, ma non sono riuscito a trovarlo. Quella del Foglio non è la traduzione di tutto il discorso, mancano alcune parti. Grazie.

Francesco

JimMomo said...

E' la prima cosa che ho trovato, andando sul sito della Commissione, ma è in pdf: http://wwwc.house.gov/international_relations/109/led030806.pdf

Anonymous said...

Grazie. Adesso ho capito dove stava e probabilmente ci ero già passato, ma il sonno gioca brutti scherzi a volte! :))