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Thursday, December 28, 2006

Se anche Il Foglio fa del relativismo culturale

Che clamoroso autogol l'editoriale con cui oggi Il Foglio tratta la questione della condanna a morte di Saddam Hussein. Una svista che pone il giornale in contraddizione con la linea di Bush e dei neoconservatori di esportazione della democrazia, sostenuta con forza e coerenza negli ultimi anni. Una contraddizione che esplode non nel merito, perché si ritiene politicamente opportuna l'esecuzione di Saddam, ma nell'argomento centrale dell'articolo.

Per anni - e noi d'accordo - a rimproverare tutti coloro che dicevano essere utopistico trasferire in una società islamica un sistema politico di concezione occidentale come la democrazia.

Oggi, invece, dobbiamo leggere su Il Foglio che quanti sono contrari alla pena di morte per Saddam commettono «l'errore di trasferire in una società islamica una concezione occidentale del rapporto tra politica e morale». Addirittura, si fa notare, «se in pressoché tutti gli stati islamici è vigente la pena di morte, una ragione ci sarà». Ahi, quale palese contraddizione! Non è forse questo l'argomento principe, che tanto abbiamo contestato ai realisti e ai relativisti culturali, contro l'idea di esportazione della democrazia in Iraq e in Medio Oriente? «Se in pressoché tutti gli stati islamici non c'è democrazia, una ragione ci sarà», si potrebbe sostenere.

Se riteniamo la democrazia e la libertà valori universali a cui aspirano tutte le genti, anche il rifiuto della pena di morte può benissimo far parte di questo pacchetto di valori "esportabili".

Pensare di «imporre lì un modo di ragionare estraneo», come il rifiuto della pena di morte, può benissimo essere «una forma di colonialismo culturale, addirittura di presunzione di superiorità della civiltà occidentale», come scrive sorprendentemente oggi Il Foglio, ma allora è «colonialismo culturale» e arroganza occidentale anche imporre la democrazia.

No, non può essere questo l'errore che commette chi è contrario alla condanna a morte dell'ex raìs. Decisamente non è questo l'argomento che ci saremmo aspettati dal giornale di Ferrara per contraddire le molte voci che si sono levate per salvare l'ex dittatore dalla forca. Eccone tre validi:

1) Se è assai improbabile che di per sé l'esecuzione di Saddam porrà fine alle violenze consentendo al Governo di Baghdad di ottenere il controllo del territorio, si può però ragionevolmente sostenere che Saddam rinchiuso per decenni in un carcere iracheno rappresenti un'ombra incombente, un elemento di destabilizzazione troppo pericoloso per la giovane democrazia.

2) E' storicamente falso che non possa nascere una vera democrazia dall'uccisione di un tiranno. Anzi, spesso un episodio violento di quel genere si rivela un contributo proprio alla democrazia e alla pace.

3) La commutazione della pena di morte a Saddam in ergastolo, in assenza di un suo impegno concreto per la pacificazione, non sarebbe affatto di per sé «un grande atto di pace», ma verrebbe percepita come un segno di debolezza nel contesto di guerra che si vive in Iraq.

Insomma, l'unico argomento fondato contro la condanna a morte di Saddam Hussein rimane quello di principio: uno Stato non ha il diritto di uccidere un suo cittadino attraverso la sentenza di un tribunale, neanche un genocida.

Non ci si venga però a raccontare che i popoli arabi per qualche innata ragione non siano in grado di convincersi di questo principio, o che non siano pronti per la democrazia. Pensare di «trasferire» queste concezioni in una società islamica sarà anche «una forma di colonialismo culturale», ma ritenere che la pena di morte, come l'assenza di democrazia, sia qualcosa di connaturato all'essere arabo è di sicuro una forma di relativismo culturale e di strisciante razzismo.

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