Secondo le anticipazioni sia del New York Times, ieri, che del Washington Post, oggi, la commissione di "saggi" guidata dall'ex segretario di Stato repubblicano James Baker e dal democratico Lee Hamilton consiglierà al presidente Bush di ritirare gran parte delle truppe di combattimento presenti in Iraq (circa la metà degli effettivi attuali) all'inizio del 2008.
Non verrebbe specificato un vero e proprio calendario per il ritiro, ma un obiettivo di massima. Secondo il Gruppo di Studio sull'Iraq sarebbe questo il momento di aumentare la pressione sui leader di Baghdad per accelerare i tempi del passaggio di consegne sul fronte della sicurezza (ma va'?). Responsabilizzare gli iracheni, quindi, ma avviare colloqui con Iran e Siria, anche con incontri diretti di alto livello.
La versione finale del documento sarà presentata alla Casa Bianca, al Congresso e all'opinione pubblica, la settimana prossima, ma il presidente Bush l'ha già bollato come «unrealistic» nel corso della conferenza stampa di Amman col premier iracheno al Maliki: «Questo affare di risolvere la questione andandosene via non ha semplicemente nulla di realistico».
Sempre di più abbiamo la conferma che le soluzioni realiste ai problemi del Medio Oriente sono anche le meno realistiche. Purtroppo, l'incertezza strategica e la debolezza politica della Casa Bianca in questo momento ci fanno temere che l'approccio "realista" possa in qualche modo prevalere. Come dicevamo, dialogare con Siria e Iran oggi significa innanzitutto due cose: sacrificare la fragile democrazia libanese; accettare che Teheran si doti dell'atomica. Che cosa in cambio? La stabilizzazione irachena, certo, ma non in senso democratico e quindi, alla lunga, la sconfitta anche in Iraq.
E' opportuno trattare con Damasco e Teheran mentre continuano ad alimentare le violenze in Iraq e sotto la minaccia dell'atomica iraniana? O mentre vengono assassinati i ministri del Governo libanese e Hezbollah viene riarmato per lanciare nuovi attacchi su Israele? E' opportuno rassegnarsi a perdere il Libano, accettare che Ahamadinejad abbia la sua bomba, e che su Israele incombano gravi minacce di distruzione, per ottenere in cambio niente più che degli interlocutori con i quali negoziare il futuro a Baghdad? E' opportuno trattare senza mettere sul tavolo una minaccia molto concreta di uso della forza?
Negoziare con Iran e Siria si può, basta essere consapevoli che potrebbe voler dire rinunciare a ogni speranza di trasformazione democratica del Medio Oriente. E saremmo davvero più sicuri?
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