Pagine

Monday, April 02, 2007

Conversazione con Mina Welby

Piergiorgio WelbyCome si può far percorrere a un paese molta più strada immobilizzati nel proprio letto che in decenni di carriera ministeriale

[La mia intervista a Mina Welby è anche disponibile in versione integrale su LibMagazine]

Il caso giudiziario legato alla morte di Piergiorgio Welby ha fatto registrare uno sviluppo inatteso. Il gip di Roma, Renato Laviola, ha rigettato la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura per il dottor Mario Riccio, l'anestesista che ha staccato il respiratore artificiale a Piergiorgio, e ordinato la sua iscrizione nel registro degli indagati, nonostante a seguito delle consulenze medico-legali gli stessi procuratori avessero accertato che la morte di Welby non fu causata dalla sedazione, ma dall'insufficienza respiratoria provocata dalla legittima interruzione del trattamento.

La decisione del Tribunale potrebbe costituire un precedente importante per future pronunce in casi analoghi. L'ordinanza del gip, intanto, potrebbe influenzare negativamente la discussione in Parlamento sul testamento biologico. «Vedo che i tempi sono lunghi. Prima ci avevano detto 60/70 giorni, ma abbiamo già passato abbondantemente i 90», osserva Mina Welby, moglie di Piergiorgio, che avverte segnali «poco tranquillizzanti» e ricorda, tra l'altro, che il corpo del marito non è stato ancora restituito per la cremazione.

Lo stesso Tribunale, lo scorso autunno, ha dato a Welby una risposta "kafkiana", ammettendo che aveva ragione nella sua richiesta, il diritto a sospendere la sua terapia era costituzionalmente garantito, ma che non si poteva procedere perché non tutelato concretamente dall'ordinamento. Un espediente, neanche troppo sottile, per non assumersi la responsabilità della decisione, criticato dall'ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky: «Se un diritto c'è (tanto più se previsto nella Costituzione) non può mancare un giudice davanti al quale farlo valere». Mina pensa che sia «un fatto personale, etico-religioso», ad avere indotto il giudice a lavarsene le mani. «In Italia siamo ancora in un limbo, troppa interferenza da parte del Vaticano», osserva. C'è il rischio che «se il giudice non si pronuncia adesso, entro poco tempo, ciò abbia dei riflessi negativi sul Parlamento. Non vedo una classe politica con le capacità decisionali, autonome. E' come se ciascuno scaricasse la sua coscienza sugli altri».

Più volte Piero ha chiesto a Mina di aiutarlo a morire, ma non se l'è mai sentita: «Non che io non lo voglia fare, ma non so come ne esci, potresti rimanere in stato vegetativo. Di quello ho paura, e tu non vorresti una cosa simile». «Potevo cercare un medico, ma ormai – spiega – la sua richiesta era pubblica, scritta su un forum letto da migliaia di persone ogni giorno». "Eutanasia", il thread aperto da Piergiorgio sul forum di Radicali.it. «Cominciava a postare che nemmeno la persona più cara lo aiutava a morire, a chiudere la sua vita che era diventata veramente insopportabile». Da lì in poi la sua richiesta si è fatta sempre più pressante e impellente, «perché lui ha sentito sempre più andare giù le sue forze. Forse non pensava che andasse così velocemente».

Mina e Piergiorgio hanno sofferto l'esposizione mediatica, lìinvadenza dei media, dei politici che volevano venire a casa. «Ma che venivano a fare? Assolutamente non c'era bisogno, dovevano fare qualcosa in Parlamento». Eppure Mina riconosce che quella fatica è stata ripagata, che c'è stato un risvolto positivo: la partecipazione dell'opinione pubblica. Moltissimi commentavano sul blog di Piero, il Calibano, e il suo thread.

«Per me è stata sempre una cosa terribile, perché io non lo volevo lasciare. Da una parte capivo la sua sofferenza, dall'altra ero aggrappata a lui...». Mina racconta di aver chiesto migliaia di volte a Piergiorgio se volesse davvero farla finita. «Ma sei proprio sicuro, ma dài, lasciamo perdere, andiamo avanti». Quando non ha più potuto scrivere, o reggersi sulla sedia a rotelle, Mina ha capito che «non era proprio più possibile portare avanti la sua situazione fisica. Così, ma era proprio l'ultimo mese, mi sono cominciata a rendere conto che era veramente finita. Prima, spesso, avevo anche litigato con lui», per quella che le sembrava essere una «caparbietà». Ma Piergiorgio rifiutò anche farmaci che lo aiutassero a dormire meglio la notte. «Non ho bisogno di questo, ma soltanto di essere tranquillo, di arrivare alla fine della mia vita e sapere che questo lo posso chiedere, che possa essere staccato dal respiratore e morire, perché non ce la faccio veramente più».

E' stata dura per Mina accettare la decisione del marito. La pregava: «Cerca di capire. Abbiamo vissuto tanto bene tutti questi anni...». Un pomeriggio, ricorda Mina, «forse anche questo è stato il mio trampolino di lancio nell'accettare, gli ho chiesto proprio perdono, per averlo fatto ricoverare nel 1997 e portato alla tracheotomia. Perdonami». E lui: «Questi nove anni come li hai vissuti?» «Sono stata felice vicino a te», rispose Mina. «Anch'io sono stato felice e sono stato contento di aver vissuto così». «Ma non avresti avuto tutta questa sofferenza...» «I nove anni mi ripagano di tutto questo. E vedrai che ce la farò». Il dottor Riccio li ha aiutati. «Per me è stata dura anche in quel momento e gliel'ho chiesto ancora mezzo minuto prima che il dottor Riccio facesse l'anestesia: Piero, ma sei sicuro che lo vuoi? – Sì – Lui mi ha fatto un sorriso, io gli ho fatto un sorriso, gli ho stretto la mano e sono rimasta vicino a lui proprio fino all'ultimo battito cardiaco».

Un caso che ha colpito anche perché al centro non c'era solo la prospettiva della malattia e della morte, ma una grande storia d'amore. Un coinvolgimento che Mina ha sentito in prima persona. «L'ho visto già dal primo giorno, ai funerali». Non era più uscita di casa, né aveva più incontrato nessuno, nemmeno quelli della scala, che appena l'hanno rivista, le hanno detto: «Ti siamo sempre stati vicini, adesso Piergiorgio sta in pace, stai tranquilla, lui sta vicino a te». Tanti le hanno chiesto: «Ma è stato ucciso o lasciato morire?» Tranquillizzandosi, poi, alla risposta: «Lasciato morire». Tutti, ci dice Mina, «erano veramente arrabbiati, nessuno che avesse dato ragione al Vicariato nel non voler celebrare un funerale religioso». E ci tenevano a dire: «Io sono stato lì in piazza ed è stato un funerale bellissimo».

Mina è credente, cattolica, e si sente in pace con la sua fede, molto meno con il Vaticano. «Noi abbiamo un catechismo e lì c'è scritto che un malato può rifiutare determinate cure, ma siccome Piero l'ha detto molto ad alta voce... Si parlava di eutanasia, ma per lui era lasciar morire in pace una persona, avere una morte tranquilla, senza gravi dolori... Questo non gli è stato perdonato dalla Chiesa». Ma Gesù Cristo la Chiesa l'ha fondata «come una cosa molto semplice. La prima Chiesa era povera. Oggi invece deve avere l'8 per mille, le ricchezze, lo Stato. Ecco, tutte queste sovrastrutture alla fine le hanno fatto male... Il vero Vangelo è rimasto un po' troppo sotto la cenere». Un approccio che la stessa Mina riconosce essere più cristiano che cattolico romano. «Per me è stata una lenta conversione». Educata in modo cattolico, in una famiglia «molto severa», e cresciuta con una sua coscienza «molto rigida», a un certo punto si è detta: «No, questo qui, adesso, non è più evangelico. Tu qui, adesso, devi correggere un po' il tuo corso. Era come cambiare corso su una barca...».

Anche in Piergiorgio, ricorda, c'era una religiosità, «schietta, sincera». «Aveva lasciato tutto quello a cui era stato educato: la scuola, il catechismo». Si era interessato anche alla filosofia, ma dopo la rianimazione non vedeva più il sacerdote che lo veniva a trovare, che si era ammalato, mentre lui non riusciva più a parlare. E poi «mi sembrava che qualcosa si fosse rotto, tra lui e un essere fuori di lui. Però dentro di sé... penso che lui sicuramente credesse che dopo questa vita si continuasse a vivere. Le sue poesie mostrano come lui parlasse dentro di sé con questo dio...». Il modo di scrivere era un tratto fondamentale «dell'essere di Piero». L'uso di un umorismo pungente, che però toccava nel profondo. Nella lettera al Cardinale Tonini, per esempio: «Quasi quasi lo prendeva in giro, ma era molto molto serio».

L'incontro di Piero e Mina con i radicali non è degli ultimi tempi. «Li abbiamo sempre sentiti. Per anni abbiamo votato radicale». Particolarmente «entusiasti» della battaglia contro la fame nel mondo. «Ascoltavamo radio bestemmia e ci divertivamo». Ma «non siamo mai stati iscritti». La svolta con Luca Coscioni. All'inizio, come a tanti, anche a Piero e Mina sembrò che lo strumentalizzassero. «Poi, a un certo momento ci siamo detti: qui è Luca che vuole. C'è stata la molla giusta... Andando a fondo ci siamo accorti che era il contrario. Era Luca che strumentalizzava, eccome se ha strumentalizzato, e ha fatto benissimo!»

Poi «la molla è scattata proprio in pieno» quando Pannella ha spiegato che avere nella propria vita una sola cosa radicale basta per poter essere radicali. «Noi abbiamo una cosa, ha pensato Piero: l'eutanasia». Ed «è stata pure colpa mia», ammette Mina, se ha cominciato a scriverlo sul forum. Si lamentava che in Italia non se ne parlasse granché. «Vai a vedere sul sito dei radicali, che parlano sempre di tutto». Lì ha aperto il suo thread. «Ho soltanto riscontrato che era diventato molto silenzioso, aveva tanto da fare, io avevo da fare in casa e per farlo star bene... Si stava rianimando, ha ricominciato a vivere». Anche Pannella ha ricominciato a parlarne e Piergiorgio ha detto: «Voglio l'eutanasia e se i radicali parlano di questo mi iscrivo ai radicali». Un giorno, ricorda Mina, «mi chiama per vedere che gli ha risposto una ragazza, di sedici anni». Era la prima a rispondere al suo "Svegliaaaaa!". E tutto è cominciato...