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Tuesday, May 13, 2008

Il dialogo è virtù dei forti

Più di metodo che di merito, ma per questo sommamente politico, è stato il discorso di Berlusconi stamattina alla Camera nel dibattito per la fiducia. Ha indicato solo in modo generico, invece, le priorità su cui si concentrerà l'azione di governo, che d'altronde tutti hanno ben chiare.

Mai come oggi il clima politico sembra propizio per un dialogo produttivo tra maggioranza e opposizione. Da una parte, la vittoria netta nelle urne, l'ampia e più coesa maggioranza parlamentare, il preciso mandato ricevuto dagli elettori, attribuiscono a Berlusconi la tranquillità necessaria, la tipica posizione di forza dalla quale nulla c'è da temere dal tendere la mano all'avversario. E' il dialogo un lusso che solo chi non teme di perdere il potere può permettersi, per ricoprire di autorevolezza la propria autorità e far procedere in modo più spedito la sua azione.

Dall'altra, la disfatta del prodismo, o dell'utopia prodiana, sembra aver definitivamente aperto gli occhi ai riformisti, oggi consapevoli della necessità di disfarsi una volta per tutte dell'ideologia dell'antiberlusconismo e della conseguente strategia "frontista", per cui qualsiasi partito al di fuori del berlusconismo, anche i più incompatibili tra di loro, dovevano far fronte unico contro l'"uomo nero", a costo di sacrificare governabilità e identità riformista.

Sono rimasti il "travaglismo", il "grillismo", il giustizialismo "dipietrista", certo, ma il modo in cui gli esponenti del Pd hanno recepito il messaggio lanciato oggi dal premier alla Camera e in cui, nei giorni scorsi, hanno reagito all'ennesimo atto di teppismo televisivo dagli schermi Rai, stavolta contro il presidente del Senato Schifani, induce a ritenere che lo schema del "frontismo" e l'epoca della delegittimazione reciproca siano ormai alle spalle.

Il ragionamento del nuovo premier in aula ha preso le mosse dal significato del voto degli italiani, che il 13 e 14 aprile si sono espressi in modo chiaro: chiedendo alla politica di decidere e approvando la tendenza bipartitica avviata con la nascita di Pd e PdL, rispondendo positivamente da una parte e dall'altra agli appelli per il "voto utile" e bocciando clamorosamente e senz'appello le velleità terziste di Casini, le forze politiche anti-moderne e il partito del "No". I due partiti principali, PdL e Pd, sembrano ora intenzionati a consolidare questo risultato.

L'apertura di Berlusconi al dialogo si sviluppa in tre direzioni: verso le istituzioni (Parlamento e Quirinale); verso l'opposizione (il Pd); verso le forze sociali (diretti e inequivocabili i messaggi a sindacati e confindustria). Dialogo che dovrà riguardare innanzitutto le riforme istituzionali e la legge elettorale (anche per le europee). Berlusconi e Veltroni potrebbero riprendere il filo da quel quasi-accordo rimasto congelato dalla caduta del governo Prodi, e quindi dal precipitare verso elezioni anticipate, e minato dalle divisioni interne ai gruppi dell'Ulivo in Parlamento, nei quali allora prevalevano dalemiani e mariniani. Ma i contatti tra i leader di maggioranza e opposizione riguarderanno anche le riforme di cui il Paese ha urgente bisogno in vari settori: spesa pubblica, pubblica amministrazione, lavoro, redditi, sicurezza.

Berlusconi ha gettato le basi per una legislatura all'insegna del dialogo e delle riforme: ha riconosciuto il ruolo parlamentare dell'opposizione, mostrandosi disponibile a prendere in considerazione persino l'idea di istituzionalizzare lo "shadow cabinet" di cui si è dotato il Pd. Sarebbe un modo per salvaguardare la leadership veltroniana e il Pd, quindi l'assetto tendenzialmente bipartitico uscito dalle urne, contro la tattica neo-frontista riproposta - non è chiaro quanto strumentalmente in funzione anti-veltroniana - da D'Alema, che vorrebbe ritessere i rapporti con la sinistra radicale e con l'Udc.

Questa concertazione a tre livelli (istituzioni, opposizione, forze sociali), a cui Berlusconi sembra voler ispirare l'azione del suo governo, presenta però non pochi rischi: quando verrà il momento di entrare nel merito delle questioni, le riforme potrebbero venire annacquate dal metodo concertativo e risultare troppo timide. Al momento opportuno, governo e maggioranza dovranno dimostrarsi capaci di far pagare a opposizione e sindacati i costi politici del loro eventuale ruolo di freno e di interdizione. Denunciandolo di fronte ai cittadini, che si aspettano decisioni, riforme e cambiamento. Chiunque vi si oppone - ormai lo si è capito - va incontro a una pesante delegittimazione popolare.

1 comment:

Anonymous said...

Scusa JimMomo ma premesso che a me Travaglio non è mai piaciuto, mi spieghi perchè uno è un teppista perchè parla degli amici mafiosi di qualcuno se si puo' provare che questo qualcuno era un loro socio ? Forse il dibattito è sull'uso parola "amico" e se Travaglio avesse parlato dei soci mafiosi di Schifani sarebbe andata meglio ? (non a noi comunque)