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Wednesday, June 18, 2008

L'obbligatorietà alla base del "caso giustizia" in Italia

C'è da rimanere allibiti da alcune obiezioni sugli emendamenti Vizzini-Berselli sollevate da il Riformista, da alcuni senatori, tra cui ex magistrati, intervistati da Radio Radicale, e dalla vicepresidente del Senato, Emma Bonino, in aula. Si obietta che invece di accelerarli si sospendono i processi, senza tener conto del triste e pericoloso fenomeno dell'«indulto di fatto». Già oggi molti processi rischiano la prescrizione, verranno non solo sospesi, ma cancellati de facto, con l'unica differenza che ciò avverrà senza criteri, secondo il capriccio del caso o la discrezionalità birichina dei magistrati. Una politica giudiziaria significa, invece, stabilire che hanno priorità quei processi in cui gli imputati sono già in galera (quindi innocenti: presunti tali secondo la Costituzione, riconosciuti tali nella maggior parte dei casi secondo le statistiche); e quei processi con i capi d'imputazione più gravi, in modo che la prescrizione (e la scarcerazione) riguardi semmai un ladro di polli piuttosto che un mafioso. E questo riguarda eccome la sicurezza, rendendo gli emendamenti omogenei alla materia del decreto.

Si protesta per il fatto che il decreto non corrisponde più al testo firmato dal presidente Napolitano. Ma qualsiasi studente di giurisprudenza al primo anno sa che in sede di conversione i decreti diventano legge e il Parlamento ha il potere di emendarli come vuole, mentre il testo già in vigore è quello stesso firmato dal presidente e rimarrà tale, non emendato, fino alla promulgazione della legge di conversione. Toccherà comunque di nuovo a Napolitano promulgare la legge (ed effettuare il controllo di costituzionalità che gli spetta).

Ciò che si propone di fare il legislatore con gli emendamenti Vizzini-Berselli l'hanno fatto a suo tempo Zagrebelsky e Maddalena. Lo stesso procuratore Maddalena racconta a il Giornale della sua discussa circolare con cui due anni fa i procedimenti «azzoppati» dall'indulto venivano messi in coda, dando la precedenza agli altri: «Il vecchio codice, seguito sul punto anche dal nuovo, dava criteri di priorità e assegnava una corsia preferenziale ai processi con detenuti» e su reati di particolare gravità. Dunque, stabilire delle priorità non sarebbe neanche in contrasto con l'obbligatorietà dell'azione penale.

Cosa dovrebbe fare un magistrato, o qualsiasi funzionario pubblico, nel momento in cui si accorgesse che una norma costituzionale è fisicamente, oggettivamente impossibile da rispettare. In attesa che cambi, opta per l'opportuno: «Ho preso atto dell'impossibilità di celebrare tutti i processi».

Il punto è proprio questo. L'obbligatorietà è un assoluto impossibile da rispettare. E' come se la costituzione imponesse l'ubiquità. Attualmente da questo non senso giuridico si esce in due modi. Ci sono magistrati come Maddalena, che responsabilmente danno a se stessi, o alle loro strutture, criteri di opportunità; ci sono magistrati che ci marciano, che approfittano della loro autonomia per trarne profitto per loro stessi o la categoria, senza esserne chiamati a rispondere in prima persona. Per costoro è più comodo pescare dal mazzo l'inchiesta sui paparazzi e le veline, che ti dà notorietà e magari ti fa trovare una bella moglie, piuttosto che rischiare le lupare; è più comodo aspettare che di intercettazione in intercettazione esca fuori il nome di un politico; è più appagante attribuirsi un ruolo politico, difendere il potere della propria corporazione dagli attacchi di un governo che ne minaccia i privilegi.

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