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Wednesday, June 04, 2008

Un modo ipocrita di difendere l'Onu

Dopo aver sottolineato l'importanza della «bella protesta», promossa da il Riformista e dalla comunità ebraica, che si è svolta ieri in Campidoglio contro la presenza a Roma del presidente iraniano Ahmadinejad, Piero Ostellino, sul Corriere, si è soffermato sull'ultimo «tragico esempio di quel "mondo alla rovescia" che sono ormai diventate da tempo le Nazioni Unite». Mentre a Roma, al vertice della Fao, partecipavano affamatori e massacratori del calibro di Mugabe e Ahmadinejad, l'alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Louise Arbour, non trovava di meglio da fare e da dire che accusare l'Italia di razzismo per la decisione - ancora tutta da discutere e da prendere - da parte del Parlamento (non del governo) di introdurre il reato di immigrazione clandestina.

Ma le Nazioni Unite e le sue agenzie principali, la Fao e l'Unesco, si rendono conto del discredito che alimentano intorno a loro ogni qual volta si celebrano questi vertici e vi partecipano «personaggi impresentabili ma capaci di monopolizzare su di sé i riflettori» come Mugabe e Ahmadinejad? Se lo chiede Guido Moltedo, su Europa, introducendo quello che giustamente individua come «un problema più di fondo»: la «tenuta» stessa di organismi come la Fao o l'Onu, da molti ritenuti «carrozzoni costosi e inutili, se non dannosi». Mi iscrivo tra questi «molti», pensando da tempo che l'Onu si sia fatta legare le mani dalle dittature e ormai la sua inazione procuri danno, giorno dopo giorno, ai principi della sua dichiarazione costitutiva, rendendoli carta straccia invece di promuoverli.

Da questo punto in poi, invece, l'editoriale di Moltedo sbanda e finisce fuori strada. Attribuisce ai critici radicali dell'Onu un'«idea fuorviante» dell'Onu stessa, «quasi fosse il governo o il parlamento del pianeta». E' un'idea, questa, che non appartiene affatto ai detrattori dell'Onu, mai vorrebbero che diventasse una cosa del genere. Chi auspica che lo sia, invece, sono i convinti fautori del riformismo onusiano, quelli che non muovono un dito se non l'ha detto l'Onu.

Tuttavia, Moltedo incorre in un altro errore, quando definisce l'Onu «il luogo d'incontro dei 191 paesi, dove discutono e, quando è possibile, affrontano e risolvono i loro problemi»; un mero «specchio del mondo come veramente è, un caleidoscopio di nazioni i cui colori spesso, purtroppo, sono opachi e tutt'altro che allegri», con i suoi Mugabe e i suoi Ahmadinejad. In effetti, l'Onu ad oggi non è nulla più che questa accozzaglia, ma avrebbe dovuto essere ben altro. Almeno, avrebbe dovuto promuovere i principi della sua dichiarazione costitutiva, anziché negarli e non alzare né un dito né una voce mentre i suoi stati membri li negano ogni giorno.

Finché non si arriva alla domanda cruciale: «Vale la pena tenere in piedi questi organismi, con tutte le riforme del caso, starci dentro, oppure – per le democrazie occidentali – conviene crearsi una propria organizzazione e in qualche modo "imporre" al mondo i propri standard con gli strumenti della persuasione o con quelli, se è il caso, dell'intervento e dell'ingerenza?». Non è un mistero che per quanto mi riguarda le democrazie occidentali dovrebbero impegnarsi su questa seconda strada, e ne sono convinti anche autorevoli analisti americani sia di sponda democratica che repubblicana.

Il fatto bizzarro è che Moltedo ritiene invece che ne valga la pena, ma invoca un «cambiamento significativo d'indirizzo». Però poi si scopre che secondo l'editorialista di Europa a cambiare indirizzo non dovrebbe essere l'Onu, magari pretendendo dai suoi stati membri il rispetto dei diritti umani, ma dovrebbero essere gli Stati Uniti. Dovrebbero tornare a «investire nell'Onu, anche finanziariamente» (non sapendo che sono attualmente i maggiori contributori e che altre potenze non pagano quasi nulla), e fare «del dialogo e del confronto la loro arma principale». Cioè, alla fine, i problemi dell'Onu sarebbero risolti se solo fossero gli Usa a cambiare il loro atteggiamento.

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