Pagine

Thursday, December 28, 2006

Una battaglia per valori universali

Tony Blair con alcune donne musulmane«Molti nei Paesi occidentali danno ascolto alla propaganda degli estremisti. Se riconoscessimo questa battaglia per quello che è realmente, saremmo almeno ai primi passi del cammino verso la vittoria. Ma buona parte della nostra opinione pubblica è distante da questa meta»

Tony Blair è un leader che ha compreso la natura dello scontro, e che il maggiore pericolo per l'Occidente è un'opinione pubblica che invece non l'ha compresa o si rifiuta di comprenderla preferendo dare ascolto alla propaganda dei nemici.

E' il leader, l'unico, di una sinistra liberale che non si accontenta di difendere lo status quo e la stabilità, ma che raccoglie la bandiera dell'espansione della democrazia, della lotta contro la tirannia e l'oppressione, sfidando il pacifismo e l'anti-americanismo dei salotti. Lo dimostra in un lungo intervento su Foreign Affairs, da cui il Corriere della Sera ha riportato ieri ampi estratti.

E' una battaglia di idee, innanzitutto. Se non si comprende il carattere ideologico della guerra al terrorismo non la si potrà vincere per quanta forza o mezzi si sia disposti a impiegare: «... non si può sconfiggere un'ideologia fanatica imprigionando o uccidendo i suoi leader: bisogna sconfiggerne le idee».

Sì, anche Blair non teme di infrangere il tabù: siamo in guerra. «Io penso che la situazione che stiamo affrontando sia di guerra, ma è una guerra non convenzionale, e non si può vincerla in modo convenzionale. Non vinceremo la battaglia contro l'estremismo globale se non avremo successo sul piano dei valori, oltre che della forza. Possiamo prevalere solo dimostrando che i nostri valori sono più forti, migliori, e più giusti di quelli che ci si oppongono».

A differenza di Papa Benedetto XVI, Blair ritiene che l'Islam e il suo testo sacro, il Corano, non siano intrinsecamente violenti. In passato l'Islam «ha guidato il mondo nelle scoperte, nell'arte e nella cultura». Fu all'inizio del XX secolo che le cose cominciarono a cambiare:

«Dopo che in Occidente vi erano stati il Rinascimento, la Riforma e l'Illuminismo, il mondo musulmano e arabo era incerto, insicuro e sulla difensiva. Alcuni paesi musulmani, come la Turchia, fecero un passo deciso verso il laicismo. Altri furono attraversati dalla colonizzazione, dal nascente nazionalismo, dall'oppressione politica e dal radicalismo religioso».
Gli atti di terrorismo non sono incidenti isolati, ma la precisa strategia di un movimento fondamentalista in crescita, che non si accontenta più di colpire i musulmani che si sono allontanati dalla loro vera fede, che si sono arresi alla cultura occidentale o che sono governati da "servi" dell'Occidente. Con gli attacchi dell'11 settembre si è voluto dare inizio a una guerra dell'Islam contro l'Occidente.

Per questa ideologia fondamentalista «noi siamo il nemico». Ma, precisa Blair, «noi non siamo l'Occidente. Noi possiamo essere musulmani o cristiani, ebrei o indù. Noi siamo tutti coloro che credono nella tolleranza religiosa, nell'essere aperti agli altri, nella democrazia, nella libertà e nei diritti umani garantiti da tribunali laici».

Ecco perché «questo non è uno scontro di civiltà», ma è «uno scontro per la civiltà. È la vecchia lotta tra il progresso e la reazione, tra chi abbraccia il mondo moderno e chi ne rifiuta l'esistenza — tra l'ottimismo e la speranza da un lato, e il pessimismo e la paura dall'altro». E' una guerra anti-fascista.

Non uno scontro di civiltà o di religioni, dunque. Il terrorismo colpisce non solo paesi occidentali, non solo popolazioni cristiane. Anzi, lo scopo degli estremisti è impedire che i paesi musulmani diventino delle democrazie — non delle democrazie «all'occidentale», ma democrazie di qualsiasi genere.

Occorre sfatare alcuni miti della propaganda islamista. «È stupido dire che il terrorismo islamista sia il prodotto della povertà. Certo, usa la povertà per giustificare i suoi atti. Ma i suoi fanatici non sono di sicuro campioni dello sviluppo economico... I terroristi non vogliono che i paesi musulmani si modernizzino». Il loro scopo non è la nascita di uno Stato palestinese, ma di impedirlo e di cancellare Israele.

«In tutte le battaglie la prima sfida è capire con esattezza la natura di quello per cui ci si batte, e qui c'è ancora molto da fare. Mi sembra quasi incredibile che l'opinione pubblica occidentale pensi in così larga misura che l'emergere di questo terrorismo globale sia in qualche modo colpa nostra... Dobbiamo rifiutare non solo i loro atti barbarici, ma anche il loro falso senso di rivalsa contro l'Occidente, il tentativo di persuaderci che sono altri, e non loro stessi, i responsabili della loro violenza».

In ultima istanza, conclude Blair, «questa è una battaglia per la modernità». In parte dovrà essere «condotta e vinta all'interno dell'Islam stesso», perché «l'estremismo non è la vera voce dell'Islam». Il carattere universale dei valori che difendiamo ci viene ricordato dal fatto che «milioni di musulmani nel mondo vogliono quel che vogliamo tutti: la libertà per noi e per gli altri. Considerano la tolleranza una virtù e il rispetto per la fede altrui parte della loro fede».

E' «una battaglia di valori e per il progresso»: «Se vogliamo difendere il nostro modo di vivere, non abbiamo alternative se non combattere per esso. Questo significa sostenere i nostri valori, non solo nei nostri paesi ma in tutto il mondo».

Come? Costruendo «un'alleanza globale per difendere questi valori globali e portarli avanti insieme». Perché «l'inazione è una scelta di segno politico, che ha delle conseguenze. Ed è la scelta sbagliata».

Non solo tattica militare o sicurezza, ma «cuori e menti», la «capacità di ispirare le persone, di convincerle, di mostrare che cosa rappresentano i nostri valori. Perché non ci siamo ancora riusciti? Perché non siamo abbastanza coraggiosi, coerenti, scrupolosi nel combattere per i valori in cui crediamo. (...) Dobbiamo mostrare che i nostri valori non sono occidentali, e ancor meno americani o anglosassoni, ma sono valori che appartengono all'umanità, valori universali che dovrebbero essere un diritto per i cittadini del mondo».

Per questo ci vuole «un'alleanza forte, che abbia al centro Stati Uniti ed Europa». I sentimenti anti-americani che percorrono parte dell'Europa sono una «pazzia»:

«Il pericolo oggi non è che gli Stati Uniti siano troppo impegnati nelle questioni mondiali, ma semmai che smettano di occuparsene e se ne lavino le mani».
Per dare coerenza ai valori in cui crediamo bisogna «combattere la povertà, la fame, le malattie...», attraverso uno sviluppo fondato sull'«accesso completo al mercato». Il protezionismo agricolo europeo è «una politica superata, che è ora di abbandonare».

Nei suoi nove anni da primo ministro, conclude Blair, non è diventato meno idealista o più cinico: «Mi sono solo convinto ancor di più che distinguere una politica estera guidata dai valori da una guidata dagli interessi è sbagliato. La globalizzazione genera interdipendenza e l'interdipendenza genera la necessità di un sistema comune di valori per funzionare. L'idealismo diventa, così, realpolitik».
«Tutto questo non esclude battute d'arresto, problemi, contraddizioni e ipocrisie che sono una conseguenza della necessità di decidere in un mondo difficile. Ma mostra anche che il meglio dello spirito umano, che ha fatto progredire l'umanità, è la miglior speranza per il futuro del mondo. Per questo dico che la battaglia è sui valori. I nostri valori sono la nostra guida. Rappresentano il progresso dell'umanità attraverso i secoli. A ogni punto di svolta abbiamo dovuto combattere per difenderli. Ora che una nuova era si sta avvicinando, dobbiamo farlo di nuovo».

2 comments:

Anonymous said...

si io l'ho letto ieri sul corrierone,e mi è sembrato molto, molto interessante,bravo Tony!

Anonymous said...

e bravo lo straordinario Federico naturalmente...