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Friday, July 24, 2009

Eppur si muove

Finalmente qualcosa si muove sul piano delle riforme. Poco - non quanto dovrebbe e sarebbe necessario per assicurarci un'uscita di slancio dalla crisi - ma si muove e non era scontato, visto l'immobilismo economico-sociale che contraddistingue la politica nel nostro Paese. «Negli ultimi vent'anni - osservava tempo fa il governatore Draghi - la nostra è stata una storia di produttività stagnante, bassi investimenti, bassi salari, bassi consumi, tasse alte». Quindi, non basterà aspettare con le mani in mano che la tempesta della crisi passi, «una risposta incisiva all'emergenza è possibile solo se accompagnata da comportamenti e da riforme che rialzino la crescita dal basso sentiero degli ultimi decenni».

I sindacati (tutti tranne la Cgil) e l'opinione pubblica (il 59%, almeno stando ad un recente sondaggio del Financial Times) sembrano ormai favorevoli, o per lo meno possibilisti, all'innalzamento graduale dell'età effettiva di pensionamento, e Confindustria l'ha richiesta a gran voce. Il governo deve aver preso una briciola di coraggio - dalla totale chiusura di poche settimane fa di Tremonti e Sacconi (secondo cui in tempo di crisi non si doveva toccare nulla) - e un passo nella direzione giusta l'ha mosso. Non solo l'aumento graduale dell'età di pensionamento per le donne nella pubblica amministrazione a partire dal 2010 - per il quale il governo ha astutamente aspettato la "copertura" politica della condanna da parte della Corte di Giustizia europea - ma a sorpresa anche un percorso che porterà nel 2015 ad agganciare, in modo parziale, le pensioni alle aspettative di vita media.

Certo, il 2015 è lontano e queste riforme differite nel tempo rischiano di essere revocate dai successivi governi, come accadde con la controriforma del Governo Prodi che abolì lo "scalone" Maroni, diminuendo di fatto l'età di pensionamento e soprattutto caricandone i costi sulle spalle dei lavoratori flessibili, i più indifesi. Ma l'agganciamento delle pensioni alla speranza di vita è una «riforma strutturale fondamentale. Ci porta come sistema delle pensioni alle condizioni di maggiore affidabilità e stabilità in Europa», ha rivendicato Tremonti, per il quale solo poche settimane fa quel sistema andava bene così com'era.

I risparmi economici non saranno dispersi nel mare magnum della spesa pubblica, ma «rimarranno nel circuito del welfare», ha assicurato il ministro evocando proprio quel riequilibrio tra le varie categorie della nostra spesa sociale di cui l'Italia ha bisogno per adeguarsi al livello di servizi e ammortizzatori degli altri grandi Paesi europei come Francia, Germania e Gran Bretagna.

L'Italia infatti ha assoluto bisogno che la sua spesa pensionistica pesi di meno in rapporto al PIL. Dagli ultimi dati Eurostat relativi al 2006 sulla composizione della spesa sociale nei 27 Paesi membri dell'Unione europea risulta che mentre gli altri paesi spendono in pensioni mediamente il 46,2% del loro budget sociale (il 11,9% del PIL), in Italia le pensioni assorbono ben il 60,5% dell'intera spesa sociale (e il 15,5% del PIL). Squilibrio ancora maggiore se ci confrontiamo con le nazioni paragonabili all'Italia per dimensioni e strutture economico-sociali e demografiche (Francia, Germania, Gran Bretagna). Ciò permette a queste nazioni di dedicare più risorse dell'Italia ad altre voci di spesa sociale: gli ammortizzatori sociali; l'assistenza sanitaria; i servizi sociali alla famiglia e ai bambini (anche il doppio o il triplo dell'Italia), come gli asili nido (che incentivano il lavoro femminile e aiutano le donne a conciliare carriera e famiglia, con effetti positivi anche sui redditi e sul PIL).

Manca il capitolo tasse. Nel nostro Paese sopportiamo ancora una delle pressioni fiscali più elevate d'Europa - oltre il 43% - ed è un sistema che continua ad essere iniquo ed evaso, e a costituire un freno per l'economia. E' difficile in tempi di crisi, quando il bilancio statale è sottoposto a uno stress inevitabile a causa della recessione, parlare di tagli alle tasse, ma nell'orizzonte di una legislatura è un tema che dovrà essere affrontato.

Sulle pensioni come su altri temi (l'università, la pubblica amministrazione), il governo muove piccoli passi, troppo piccoli, e con piccole dosi di coraggio, ma nelle giuste direzioni. Qual è stata finora la reazione del Pd a questi piccoli passi? Non quella di incoraggiarlo a fare di più, magari offrendosi di condividere la responsabilità politica di scelte più coraggiose, ma tanti "no" pregiudiziali. Sulle pensioni, tranne isolati e lodevoli casi individuali, il Pd è apparso appiattito sulle posizioni immobiliste della Cgil, contestando persino l'adeguamento dell'età pensionabile delle donne a quella degli uomini nella PA, imposto dall'Ue; sulla giustizia insegue l'alleato Di Pietro, dal quale si riesce a distinguere solo quando l'ex pm attacca il capo dello Stato; ha cavalcato la protesta dell'Onda studentesca contro i tentativi della Gelmini di riformare l'università; per non parlare di certi epiteti usati nei confronti del ministro Brunetta.

L'unico fronte su cui il Pd ha incalzato il governo rimproverandogli di non avere coraggio è quello – sbagliato – della spesa pubblica come strategia anti-crisi. Tremonti stavolta ha risposto bene, bisogna dargliene atto: «Se avessimo avuto più coraggio avremmo potuto fare più deficit e debito. Ma avremmo aumentato i rischi e i costi per l'Italia. Non credo sia questo l'interesse del Paese né degli italiani». A parte il deterioramento del bilancio statale, fisiologico per effetto della recessione, l'Italia non sta peggio di altri Paesi che hanno messo in atto enormi piani di spesa pubblica. Non si troverà neanche meglio, ma certamente non peggio. E ciò dovrebbe far riflettere sull'utilità di certi pacchetti di stimolo.

La reazione del Pd spiega perché non possiamo far altro che tenerci stretti i piccoli passi che muove il governo di centrodestra. Se il governo si muove poco ma nella giusta direzione, il Pd andrebbe in senso opposto. Una linea, quella di Tremonti e Sacconi, definita dal Sole 24 Ore «del riformismo nordeuropeo». E' questo uno degli "eccezionalismi" della politica italiana. I socialisti in Italia sono stati per decenni odiati e demonizzati dai comunisti prima e dai post-comunisti poi, egemoni a sinistra. Dopo Tangentopoli, nel corso degli anni, alcuni dalla mentalità più aperta e pragmatica sono passati da sinistra a destra, da dove ora governano la politica economica del Paese con le loro idee (vedi Tremonti, Sacconi, Brunetta e Cazzola).

Abbiamo così in Italia la stranezza di un centrodestra che invece di politiche orientate al libero mercato, ai tagli della spesa e delle tasse, pratica una politica economica e sociale ispirata al riformismo delle socialdemocrazie nordeuropee, moderatamente e responsabilmente statalista (che cerca cioè di far funzionare lo stato, ma non di alleggerirlo); e dall'altra parte un centrosinistra egemonizzato da ex e post-comunisti e da ex Dc di sinistra, che invece di sposare il mercato e il riformismo blairiano è arroccato su una linea immobilista, assistenzialista, tassa & spendi.

3 comments:

Anonymous said...

A questo ci siamo ridotti, a un timido e rassegnato elogio del meno peggio? Noi eravamo quelli che dovevano dare la scossa liberale a questa destra sociale e consociativa e ora come vecchi sdentati ce ne stiamo qui ad accontentarci di quello che passa il convento... no, io non mi accontento, io non mi arrenderò mai.

Gaetano

Anonymous said...

"Eppur si muove" l'ho pensato anch'io di Berlusconi, pensavo non gli tirasse più come a Prodi.

Anonymous said...

Non sono d'accordo se vuoi far ripartire l'economia devi attuare una politica di spesa pubblica.
Non sono cosi sicuro che l'Italia non stia peggio degli altri paesi europei ma tra un anno loro saranno ripartiti noi no.
Inoltre il governo ha subito un rovescio spaventoso sul fronte della negoziazione (l'accordo firmato con Cisl e Uil è stato bocciato nel referendum confermativo) perché ha scelto la linea dello scontro con la Cgil, a mio modesto parere c'erano gli spazi per coinvolgere la Cgil nella trattativa.
Che poi il Pd non offra alternative siamo d'accordo ma mi sembra che l'attività del governo sia largamente in passivo.

Carlo