Mi pare che ormai in dieci delle 13 regioni in cui si vota i rapporti di forza tra i candidati si siano abbastanza consolidati: al centrosinistra dovrebbero andarne sei (Emilia, Toscana, Marche, Umbria, Puglia e Basilicata) e al centrodestra quattro (Lombardia, Veneto, Campania, Calabria). Ciò significa che a decretare la vittoria dell'uno o dell'altro schieramento sarà il responso delle urne nelle tre regioni rimanenti. Oltre che in Liguria (dov'è leggermente in vantaggio il centrosinistra), soprattutto nelle due più pesanti e in bilico, Lazio e Piemonte. Considerando che il centrodestra, pur perdendo in tutte e tre queste regioni, passerebbe comunque da due a quattro regioni governate, ma che il centrosinistra parte da una base di consensi fortemente ridotta rispetto alle ultime regionali nel 2005 (e che pochi mesi fa la prospettiva del sorpasso - 7 a 6 o addirittura 8 a 5 - sembrava alla portata del centrodestra), bisognerebbe parlare di pareggio nel caso in cui il Lazio andasse agli uni e il Piemonte agli altri, o viceversa, mentre se in entrambe le regioni si affermasse una sola coalizione, allora avremmo una vittoria piena.
Di elementi anomali in questa campagna elettorale ce ne sono stati tali e tanti che prevedere l'impatto che avranno sulle intenzioni di voto dei cittadini in una regione come il Lazio, dov'è testa-a-testa tra Polverini e Bonino, è impossibile. Ieri si è aggiunta anche la variabile vaticana, con l'intervento a gamba tesa del segretario della Cei Bagnasco, che ha voluto richiamare i cattolici disorientati a «inquadrare» il proprio voto, in qualsiasi competizione elettorale, anche locale e regionale, nell'ottica di quei «valori non negoziabili» che sono in gioco su temi quali l'aborto e la famiglia. Tradotto: non votate per la Bonino o per la Bresso.
Un richiamo così esplicito e a così pochi giorni dal voto significa che le gerarchie ecclesiastiche ritengono realistica - e temibile - la vittoria di Emma Bonino nel Lazio e ciò che più temono non è certo la sorte dei «valori non negoziabili», su cui i governatori possono ben poco, ma quella di ben altri "valori", le «strutture sanitarie di ispirazione cristiana», che però non hanno altrettanto presa sugli elettori.
La reazione delle due candidate è stata composta e saggia dal punto di vista di entrambe. Né la Polverini ha strumentalizzato le parole di Bagnasco (al contrario di quanto stanno tentando di fare le forze politiche che la sostengono, Pdl e Udc), né la Bonino è caduta nella trappola di una reazione anticlericale come in passato. Non ha certo bisogno di ispessire il suo profilo "laicista", correndo il pericolo di alienarsi davvero qualche voto cattolico, mentre la Polverini è consapevole che il bacino elettorale del centrodestra, quello a cui può rivolgersi, è ben più ampio di quello delimitato dalle posizioni del Vaticano.
Difficile valutare l'effetto di questo intervento. Apparentemente, e nelle intenzioni della Cei, dovrebbe avvantaggiare la Polverini, ma non mi stupirei se avesse l'effetto opposto, anche considerando la crisi di credibilità morale della Chiesa in questo periodo di scandali sulla pedofilia. Come ho già avuto modo di scrivere, non credo che il problema della Bonino sia mai stato il cosiddetto "voto cattolico". Piuttosto, è in generale la mobilitazione di tutto l'elettorato Pd e a sinistra del Pd. E per i cattolici che solitamente votano centrosinistra, esattamente come per gli altri, è l'esame di antiberlusconismo quello che conta per capire se possono fidarsi di un candidato e mobilitarsi per esso. La Bonino questo esame mi pare averlo superato brillantemente. Il resto, viene dopo. Piuttosto, la forte personalizzazione della campagna ancora una volta su Berlusconi rischia di dividere gli elettori nei soliti blocchi, impedendo alla Bonino di attrarre voti da destra e alla Polverini di attrarne da sinistra, come i loro profili autorizzavano a ritenere possibile.
1 comment:
Mi rifiuto di considerare il risultato della Toscana come acquisito al centrosinistra.
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