Se il voto del 28 e 29 marzo si caratterizza, come si sta sforzando di caratterizzarlo Berlusconi, non solo come voto per scegliere i governi regionali ma anche per dare «nuova forza e supporto al mio governo per operare nella direzione delle riforme» (il premier, ormai non sappiamo con quale credibilità, è tornato a parlare di «rivoluzione liberale», dal presidenzialismo alla riforma della giustizia e del fisco), allora c'è qualche possibilità che i candidati di centrodestra riescano a strappare la vittoria al foto-finish in Piemonte e Lazio. Ma se si caratterizza come voto "religioso" contro i candidati "laicisti" le possibilità a mio avviso diminuiscono.
Il tentativo di mobilitazione in cui si sta spendendo in quest'ultima settimana Berlusconi contro il pericolo dell'astensionismo, toccando i tasti giusti (voto utile, scelta di campo, promessa di riforme, carattere nazionale del voto), può riuscire, ma rischia di essere indebolito, e non rafforzato dalla mobilitazione del voto cattolico tentata dal cardinale Bagnasco con l'intervento a gamba tesa dell'altro giorno. Se la Polverini appare voler resistere alla tentazione, giornali e politici di centrodestra sembrano voler ricorrere nuovamente, come all'inizio della campagna, all'arma religiosa, non avvedendosi che il bacino elettorale cui possono rivolgersi i candidati di centrodestra è ben più ampio di quello delimitato da quegli elettori disposti a rispondere presente fin dentro le urne ad un richiamo integralista alla dottrina etica e sociale della Chiesa. Sono ben pochi, e a mio avviso comunque meno di quanti sarebbero allontanati da quella vera e propria intimazione.
L'intervista del Mons. Fisichella a il Giornale rischia di peggiorare le cose: non solo si chiede ormai esplicitamente ai cattolici di non votare la Bonino nel Lazio e la Bresso in Piemonte («il richiamo alla libertà di coscienza è sacrosanto, ma... il cattolico non può con il proprio voto favorire leggi o programmi che non sono conformi ai principi non negoziabili»), ma si intima anche a quei politici di non chiederlo neanche, il voto ai cattolici («i candidati i quali hanno impegnato tutta la loro attività politica nel perseguire programmi che contrastano apertamente con alcuni fondamentali valori a noi cari, sarebbe opportuno che per coerenza essi stessi chiedessero ai cattolici di non essere votati»).
Un intervento, quello di Bagnasco, che Il Secolo XIX definisce «uno scivolone di prim'ordine» per lo stesso segretario della Cei («aver affidato a un pugno di voti le sorti della Chiesa italiana, è apparso, nei sacri palazzi, come un passo a dir poco improvvido. Anche perché il colpo assestato da Bagnasco è arrivato troppo tardi, a pochi giorni dal voto»). E perché potrebbe mobilitare l'elettorato di sinistra a sostegno della Bonino più di quanto sia in grado di mobilitare contro di lei quello moderato e gli indecisi.
2 comments:
sai che forse hai ragione?
in effetti la candidatura di cicciorutelli prima e dopo la sua svolta cattolica, ha avuto esiti ben diversi...
Innanzitutto complimenti per il blog che leggo sempre con piacere.
Dico la mia sull'articolo; se si parla di calcoli politici posso anche essere d'accordo con te, ma se il piano passa ai valori dissento da quello che hai scritto.
La chiesa fa bene a ricordare, a quelli che si professano cattolici, che non si può esserlo solo una volta alla settimana.
E fa bene a porre l'accento su una questione come quella sull'aborto che non può continuare ad essere evitata solo perché scomoda.
In America ci si fanno campagne elettorali, è ora di affrontare seriamente il problema anche qui.
Se continueremo a rimandare i nodi prima o poi verranno al pettine comunque
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