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Monday, August 07, 2006

Italiani si nasce e si diventa

Non può e non deve spaventare né scandalizzare che africani o asiatici, musulmani o indù, diventino o già siano cittadini italiani.

Di ciò, se vogliamo che la nostra società sia aperta, multiculturale, libera e democratica, non razzista e xenofoba, non possiamo lamentarci.

Il disegno di legge varato dal Governo e preparato dal ministro degli Interni Amato tratta il tema della cittadinanza, mentre molte delle paure per quelle che sarebbero le sue conseguenze - paure strumentalmente sbandierate dagli esponenti del centrodestra e dai giornali vicini all'opposizione, a volte in modo così rozzo da confermare l'involuzione cupa e reazionaria della destra italiana - riguardano il governo di altre situazioni.

Sarebbe sbagliato legiferare sulla cittadinanza avendo a mente l'immigrato clandestino o la cellula di Al Qaeda. Il fenomeno dell'immigrazione si governa con una buona legge sull'immigrazione, meglio se elaborata a livello europeo, e il terrorismo si combatte con le forze di sicurezza, con le leggi che abbiamo e le misure che si renderanno necessarie, anche qui meglio se coordinandoci a livello europeo. Ma non si può far pagare ai tanti stranieri onesti che vivono e lavorano in Italia, amando e arricchendo, in tutti i sensi, il nostro paese, la nostra incapacità di affrontare quei due fenomeni.

Intanto, come osservava anche Magdi Allam sul Corriere (anche se poi il suo pezzo naufraga nel discorso identitario), il disegno di legge alcuni principi importanti li introduce, come il criterio che la concessione della cittadinanza non è automatica, bensì subordinata alla «verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero», e che la cittadinanza consta di «diritti e doveri».
Un periodo di 5 anni, di residenza e lavoro in Italia, mi sembra sufficiente per poter richiedere la cittadinanza italiana. D'altronde, non scordiamoci del basilare principio "No taxation without representation". Se si vuole far prevalere lo ius solis sullo ius sanguinis, criterio che ritengo più civile oltre che più concreto e applicabile nel mondo d'oggi, o per lo meno integrarli, occorre che siano meno automaci i parametri da soddisfare per acquisire la cittadinanza.

Mi sembra ragionevole, quindi, che oltre a risiedere, ed effettivamente vivere, e lavorare in Italia, a saper leggere, scrivere e parlare l'italiano, si verifichi una conoscenza minima della storia e del funzionamento delle istituzioni di governo italiane. Non è il colore della pelle, o il luogo di culto che si frequenta, a doverci preoccupare, ma il reale desiderio di vivere secondo i principi di libertà e democrazia e la leale accettazione delle "nostre" regole, cioè delle regole della convivenza civile che ci siamo democraticamente dati.

La nuova legge dovrebbe stabilire che si accertino questo desiderio e questa accettazione, ma non predisponendo ipocriti "esami delle coscienze". Sarà sufficiente che il candidato sottoscriva una dichiarazione in tal senso. Si potrebbe prevedere anche la revoca della cittadinanza, nel caso in cui, entro i dieci anni dall'ottenimento, si macchiasse di reati che contraddicano la sua dichiarazione.

Non si può negare, tuttavia, che quali che siano le regole della cittadinanza, esse funzionino se anche le politiche di integrazione sono efficaci. In Italia, come in Europa, è necessario capovolgerne il senso, passando da una logica che potremmo definire corporativa e concordataria a una liberale.

Le politiche di integrazione dovrebbero fondarsi su base individuale e non etnico-confessionale. Per esempio, non si dovrebbero creare situazioni di eccezione legale e apartheid autorizzato, come accaduto di recente con una spiaggia che un comune ha messo a disposizione esclusiva delle donne musulmane, cosicché non possano essere viste senza velo che dai loro mariti.

Il problema dell'Europa, spiega Francis Fukuyama, è che spesso «la tolleranza liberale è stata interpretata come rispetto non per i diritti dei singoli ma dei gruppi, alcuni dei quali proprio loro intolleranti (...) Per un senso sbagliato di rispetto nei confronti delle altre culture, si è dunque lasciato che le minoranze musulmane autodisciplinassero i propri comportamenti, un atteggiamento che si coniugava con un approccio corporativo tradizionalmente europeo nei confronti dell'organizzazione sociale».

Anziché integrare individui, integriamo comunità; invece di assicurare l'esercizio di libertà e diritti a quei singoli individui, all'interno delle nostre città concediamo autonomie etnico-confessionali, se non veri e propri rapporti privilegiati con lo Stato, a etnie e gruppi religiosi in quanto comunità, "enclave". Esse, con i loro rappresentanti di dubbia legittimità democratica, e non il singolo individuo, divengono così i naturali soggetti di diritto, portatrici di istanze meritevoli di attenzione e destinatarie dei benefici di solerti sindaci.

Occorre recuperare la dimensione dell'individuo come soggetto di diritti, dando minore spazio a politiche pubbliche incentrate sul riconoscimento identitario di questo o quel gruppo. Altrimenti, il rischio è quello di trovarci di fronte a società tribalizzate, frammentate, prive di centro politico, dove molti gruppi culturali affermano la propria identità attraverso il vittimismo, il risentimento, l'ideologia politica.

3 comments:

perdukistan said...

Allam non naufraga, ci sguazza ;)



http://www.blogger.com/comment.g?blogID=18914125&postID=115504795329746405

Anonymous said...

jim, il concetto di nazione è stato il motore di tutto le guerre del secolo passato e non c'è motivo di credere che non possa continuare ad esserlo in futuro. A sinistra anzichè capire questi fatti, si fa moralismo da cattedra sulla rozzezza di tali argomenti. Poi ci si stupisce se la Lega prende tanti voti.

Stai diventando come i tuoi amici di sinistra: moralista e snob. :)

aa

perdukistan said...

aa facci il piacere, figurati se siamo disposti, nel 2006, a continuare a baciare il culo di kissinger, su, il tempo passa per tutti (e la lega prende sempre meno voti). fa caldo in california?

http://perdukistan.blogspot.com/2006/08/questo-per-allam-sicuramente-va-bene.html