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Monday, November 20, 2006

Quando Bush disse: sì a uno Stato palestinese, ma solo se democratico

Bush in uno degli incontri con Abu Mazen«Due popoli, due stati» sembra la formula magica, come se non fosse importante quale stato, di che tipo, si sta promettendo ai palestinesi.

Memori dell'esperienza dei movimenti di liberazione nazionale, che tutto hanno portato ai popoli che volevano liberare tranne che la libertà, e della realtà di oppressione e tirannia che caratterizza il mondo arabo, siamo ancora convinti che sia uno Stato nazionale ciò di cui hanno bisogno i palestinesi? Non è il caso forse di specificare subito che istituzioni politiche palestinesi autonome dovrebbero innanzitutto garantire democrazia e diritti umani?

«Due popoli, due democrazie», è la politica dei radicali, in una prospettiva di riforme democratiche e di modello federalista, anti-nazionalista, per il Mediterraneo e l'intero Medio Oriente, ad oggi strutturalmente portato ad essere causa e teatro di conflitti devastanti e inestinguibili.

Non passa domenica sera però senza che Pannella accusi il «fondamentalista» George W. Bush di ogni nefandezza. Eppure, tra tutte le accuse che si possono muovere al presidente americano, non si può disconoscere un dato politico prezioso, che converrebbe valorizzare: tra mille errori e contraddizioni Bush ha posto la democrazia come obiettivo di breve e lungo termine della strategia di politica estera americana in Medio Oriente dopo l'11 settembre 2001. Una svolta da salutare positivamente e da incoraggiare rispetto alla tradizione "realista" delle amministrazioni repubblicane.

E' il primo presidente americano, e il primo leader occidentale, ad aver condizionato, fin dall'ormai lontano giugno 2002, la nascita di uno Stato palestinese al suo carattere democratico, proprio secondo la formula «due stati, due democrazie», mentre i leader europei, tranne Blair, continuano ancora oggi a parlare di «due popoli, due stati», guardandosi bene dallo specificare l'essenziale per i palestinesi: due stati sì, ma «democratici».

Il nuovo piano della Casa Bianca per il processo di pace tra israeliani e palestinesi fu illustrato dal presidente Bush il 24 giugno 2002, in un discorso che fu interpretato da molti in Europa, facendo da eco all'Anp di Arafat, come un atto di arroganza.

Quel discorso divenne famoso per la delegittimazione definitiva di Arafat quale interlocutore. Il presidente Usa, invitando il popolo palestinese ad «eleggere nuovi leader non compromessi con il terrorismo», di fatto stava scaricando Arafat. «La pace richiede una nuova leadership palestinese, affinché uno Stato palestinese possa nascere», dichiarò Bush, formulando una promessa: «Quando il popolo palestinese avrà nuovi leaders, nuove istituzioni e nuovi accordi di sicurezza con i suoi vicini, gli Stati Uniti appoggeranno la creazione di uno Stato palestinese».

Tuttavia, aggiunse, «uno Stato palestinese non nascerà mai dal terrore, ma dalle riforme. E la riforma dev'essere qualcosa di più che un cambiamento di facciata, o un velato tentativo di mantenere lo status quo. La vera riforma richiede istituzioni politiche ed economiche interamente rinnovate, fondate sulla democrazia, l'economia di mercato, e l'azione contro il terrorismo».

Gli Stati Uniti, assicurò Bush, si sarebbero impegnati «a lavorare con i leader palestinesi per creare un nuovo contesto costituzionale e una democrazia funzionante per il popolo palestinese». E con l'Unione europea, gli altri paesi arabi, e il resto della comunità internazionale, «ad aiutare i palestinesi ad organizzare e monitorare elezioni libere e corrette, locali e nazionali a seguire».

Le condizioni poste da Bush per la nascita di uno Stato palestinese sono quindi chiare: «Se i palestinesi scelgono la democrazia, combattono la corruzione e rigettano in modo fermo il terrorismo, possono contare sull'appoggio americano per la creazione di uno Stato provvisorio di Palestina».

Purtroppo, la vittoria di Hamas alle ultime elezioni legislative ha reso le cose più difficili, ma Bush non ha mai dismesso la sua «visione» strategica: «Due stati, due democrazie, che vivano in pace e sicurezza l'una accanto all'altra». E la ripete in ogni occasione, in ogni incontro, facendo esplicito riferimento a quel suo discorso del 24 giugno 2002, anche se l'Unione europea sembra sorda, cieca e muta.

Il 28 gennaio 2003, nel discorso sullo "Stato dell'Unione": «In the Middle East, we will continue to seek peace between a secure Israel and a democratic Palestine».

Il 26 febbraio 2003, parlando all'American Enterprise Institute di uno Stato palestinese «autenticamente democratico».

Il 14 marzo 2003: «... two states, Israel and Palestine, will live side by side in peace and security... The Palestinian state must be a reformed and peaceful and democratic state... And the Arab states must oppose terrorism, support the emergence of a peaceful and democratic Palestine».

Il 30 aprile 2003: «... the vision of two states, a secure State of Israel and a viable, peaceful, democratic Palestine».

Il 9 maggio 2003: «If the Palestinian people take concrete steps to crack down on terror, continue on a path of peace, reform and democracy, they and all the world will see the flag of Palestine raised over a free and independent nation».

Il 3 giugno 2003, incontrando il presidente egiziano Mubarak a Sharm el-Sheikh: «Last year on June 24th, I put forth a proposal for two states, Israel and Palestine, living side-by-side in peace. I called on Israel to respect the rights of Palestinians, including the right to live in dignity in a free and peaceful Palestine. I urged the Palestinian people to embrace new leaders who stand for reform, democracy and for fighting terror».

Il 4 giugno 2003, al vertice di Aqaba con i leader di Israele, Anp e Giordania: «... it is in Israel's own interest for Palestinians to govern themselves in their own state. These are meaningful signs of respect for the rights of the Palestinians and their hopes for a viable, democratic, peaceful, Palestinian state».

Il 25 giugno 2003, incontrando Abu Mazen: «... the Palestinians govern themselves in their own state, a peaceful, democratic state where the forces of terror have been replaced by the rule of law».

Il 25 luglio 2003, incontrando di nuovo Abu Mazen: «We do not merely seek a state, but we seek for a state that is built on the solid foundations of the modern constitution, democracy, transparency, the rule of law, and the market economy».

Il 6 novembre 2003, parlando al XX anniversario del National Endowment for Democracy: «For the Palestinian people, the only path to independence and dignity and progress is the path of democracy. And the Palestinian leaders who block and undermine democratic reform, and feed hatred and encourage violence are not leaders at all. They're the main obstacles to peace, and to the success of the Palestinian people».

Il 14 aprile 2004, esprimendo il suo appoggio al piano di ritiro da Gaza formulato dal premier israeliano Sharon: «... a peaceful, democratic, viable Palestinian state».

Il 26 giugno 2004, presentando l'iniziativa di riforma per il Medio Oriente allargato e il Mediterraneo: «We reiterate our common vision of two states, Israel and a viable, democratic, sovereign, and contiguous Palestine, living side by side in peace and security».

Il 12 novembre 2004, in sintonia con Blair: «We seek a democratic, independent and viable state for the Palestinian people. We are committed to the security of Israel as a Jewish state. These objectives - two states living side-by-side in peace and security - can be reached by only one path: the path of democracy, reform, and the rule of law».

Bush e Blair ribadiscono il loro appoggio a un processo di pace «based on two democratic states - Israel and Palestine - living side by side in peace and security... There will be no lasting solution without a Palestinian state that is democratic and free, including free press, free speech, an open political process, and religious tolerance».

L'11 aprile 2005, incontrando il premier israeliano Sharon: «I remain strongly committed to the vision of two democratic states, Israel and Palestine».

Il 26 maggio 2005, incontrando il presidente dell'Anp Abu Mazen: «The United States remains committed... to realize the vision of two democratic states living side-by-side in peace and security».

Il 20 ottobre 2005, incontrando di nuovo Abu Mazen: «... two states, living side-by-side in peace; two democracies living side-by-side in peace... I assured him that the United States will use our influence to help realize a shared vision of two democratic states, Israel and Palestine, living side-by-side in peace and security».

Il 23 maggio 2006, incontrando il nuovo premier israeliano Olmert: «In 2002, I outlined my vision of two democratic states, Israel and Palestine, living side-by-side in peace and security».

Il 28 luglio 2006, durante la guerra tra Israele ed Hezbollah in Libano: «Prime Minister Blair and I remain committed to the vision of two democratic states, Israel and Palestine, living side-by-side in peace and security».

Il 7 agosto 2006: «... a two state solution between Israel and the Palestinians, two democracies living side-by-side in peace».

Il 14 agosto 2006: «We'll continue to work for the day when a democratic Israel and a democratic Palestine are neighbors in a peaceful and secure Middle East».

Il 20 settembre 2006, incontrando Abu Mazen: «... the best way to bring peace to the Holy Land is for two democratic states living side-by-side in peace».

3 comments:

Anonymous said...

Ciao!

L'antiamericanismo dilaga.
Qua in Germania hanno messo Rumsfeld sotto accusa per crimini di guerra e la gente già si domanda che aspettano a mettere sotto accusa Bush.

PS: hai visto che parlano di te sull'Indipendente?

http://mattinale.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1253402

Gionata Pacor

Anonymous said...

http://www.lavoce.info/news/view.php?id=9&cms_pk=2443&from=index

Anonymous said...

come la penso io, dovrebbe essere chiaro, ormai; piuttosto, come la pensano gli americani?

dunque, vediamo...l'amministrazione bbbush ritiene che gli stati uniti siano in guerra contro il radicalismo islamico. azz...ma se questo è vero, allora ultimamente mi è sfuggito qualcosa; se è così, mi chiedo...ma non l'abbiamo ancora capito che "fuggire via" non conviene, se non al terrore che persiste??? si parlava del vietnam in un altro post...credo che quell'esperienza, dovrebbe aver insegnato qualcosa a proposito di fughe ( inutili ).

ed allora - mi chiedo ancora -, non è forse arrivato il momento, per washington, dico...di prendere veramente in considerazione la remota ipotesi di continuare a lottare - fino in fondo - per la sconfitta dei terroristi e dei loro sodali?...io risponderei...sìììììììììììì!!! ed invece no...piuttosto washington, almeno nel caso israeliano, esorta alla comprensione...alla moderazione...ai compromessi ed invita a "gestire" il problema...ma mi faccia il piacere, direbbe totò!

qui, infatti, c'è poco da ridere e le poche, tristi risate residuali fanno male come ferite profonde, perché è vero che a proposito di "problemi"...il più grave di essi risiede proprio nella perniciosa circostanza che un atteggiamento siffatto ( che sostanzialmente equivale ad un ossequioso scappellarsi al passaggio di don rodrigo... ) non può portare che a rimedi deboli, incerti, inutili per le ragioni della pace, che è vera solo se riconosciuta da tutti ma utilissimi per coloro, pochi in realtà ( e per fortuna! ) che nutrendosi solo di morte, troverebbero benefici infiniti nel continuare a poter gestire le masse dei...fedeli, chiamiamoli così... ridotti male, tanto male, così male come solo possono esserlo coloro che sono trattati ( consapevolmente?!? ) alla stregua di schiavi.

nel caso israeliano, dunque, l'unico risultato sarebbe quello di avere una popolazione palestinese ancor più aggressiva, determinata fino alla morte nella sua criminale convinzione di poter cancellare - sul serio e col benestare "politicamente corretto" della comunità internazionale - ogni traccia dello stato di israele.

se le cose continueranno così, credo proprio che la democrazia israeliana sarà spacciata, condannata a rimanere sola, veramente sola questa volta, in balia del terrore estremista ( di ogni "fede" ), terrore che è spinto, anche dall'occidente, a ritenere che la vittoria finale sia finalmente a portata di mano.

in questa lercia accozzaglia di appeasement e ritiro, i nemici di israele ci sguazzano e presto, molto presto...credo proprio che si sbarazzeranno definitivamente delle loro ultime paure....questo accadrà...stiamone certi!

io, nel mio stronzo piccolo, spero solo che l'amministrazione di washington ritorni in sé e cambi rotta; spero che israele, avvalendosi del ritrovato - ed incondizionato - appoggio americano, riesca a vanificare le ripugnanti ambizioni dei terroristi e dei loro sodali ( anche gli amici degli amici degli amici degli amici, quelli disseminati ovunque nel mondo, anche in italia, specie quelli che starnazzano nei cortei sediziosi, nascosti come fanno i criminali, travisati e confusi grazie ai benefici dell'anonimato, da vili che sono ).

il porre fine alle criminali ambizioni di prima, rispecchiando in pieno il merito di come la penso io, implica la necessità ed urgenza di infliggere non tanto una caporetto sul campo quanto, piuttosto, una vera e propria sensazione di sconfitta storica ai palestinesi e far sì che essi riconoscano l'esistenza di uno stato ebraico, libero e democratico.

solo allora la violenza avrà fine.


ciao.


io ero tzunami...