«Oggi la Rosa nel Pugno continua a vivere come gruppo parlamentare, con la sua presenza al governo con il ministro Emma Bonino, con il viceministro Ugo Intini, e altri compagni». La Rosa nel Pugno è stata un cartello elettorale che non è riuscito a divenire partito, perché «le differenze nel modo di fare politica hanno prevalso sulle convergenze». Tuttavia, «non siamo qui per chiudere la Rosa nel Pugno ma per aprire un cantiere più grande. Non c'è contrasto con quello che abbiamo fatto ma continuità». E con i radicali «abbiamo tante battaglie da fare ancora assieme: da quelle sulla laicità e sui diritti civili all'ultima, quella per una moratoria della pena di morte alle Nazioni Unite».
In queste parole, pronunciate da Enrico Boselli aprendo il V Congresso dello Sdi, sta tutto l'attuale pantano strategico in cui si trovano i radicali.
La mia è un'amarezza sincera e ragionata. All'inizio dell'esperienza della Rosa nel Pugno non avrei mai creduto che una vecchia volpe come Pannella si facesse fregare da due come Boselli e Villetti. Né che, una volta evidente quale fosse, dall'inizio, il loro disegno, continuasse a rincorrere, in quel "dramma della gelosia" che il tratto di Vincino ha così ben rappresentato ieri su Il Foglio. Eppure è ciò che è accaduto e mi è tornato in mente qualche vecchio dibattito di Direzione (dell'estate scorsa), in cui avevo cercato di accenare qualcosa dello schema che si andava delineando, in modo che si potessero studiare per tempo delle contromosse.
Entrare in Parlamento era per i radicali l'obiettivo minimo che chiedevano all'esperienza della Rosa nel Pugno. Per lo Sdi era l'unico. L'ennesima bicicletta da riportare in cantina alla domenica sera. Il loro disegno è riuscito in pieno, quello di Pannella è fallito. Oltre al danno, la beffa. Ad oggi la Rosa nel Pugno esiste solo in Parlamento e lo Sdi ne ha il pieno controllo. Il Gruppo è guidato da Villetti, che prende posizione anche per nome e per conto dei radicali, senza che il soggetto politico abbia una vita propria e democratica.
Intanto, lo Sdi ha mani libere di muoversi, progettare costituenti e ricostituenti, vagheggiare un improbabile partito con Mussi e Angius alla sinistra dei Ds, ma molto più prosaicamente accontentandosi - e sarebbe già molto - di una fragile unità socialista da esporre per alzare il prezzo dell'entrata differita nel Partito democratico. Mentre i radicali hanno mani e piedi legati a quel cartello elettorale ormai asfittico con il quale sono stati accettati, seppur malvolentieri, nell'Unione e al ministero che ne hanno ottenuto.
Ma le parole di Boselli non solo rivelano il compimento di quello che fin dall'inizio, da dopo le amministrative della primavera scorsa, era l'assetto cui mirava lo Sdi.
A questo punto Boselli completa l'operazione di normalizzazione dei radicali: le uniche battaglie da fare insieme sono quelle sui diritti civili. Sul resto guai a toccar palla. Uno schema classico, sempre usato dai comunisti negli anni '70, ripreso dal centrosinistra di oggi, per neutralizzare i radicali. Aprono il corral dei diritti civili e i radicali ci si ficcano ben contenti, credendo tramite quelli di entrare in sintonia con il popolo della sinistra e di instaurare un rapporto finalmente costruttivo con i suoi vertici, mentre quelli continuano indisturbati a mettere a sacco lo Stato e a rafforzare il regime partitocratico attraverso lo schema tasse-spesa pubblica.
Dopo di che, arriva un Bertinotti a riconoscere, rispondendo a Paolo Mieli durante la presentazione del suo libro, "La città degli uomini", che dai radicali «abbiamo imparato», «siamo andati avanti a rubargli sempre qualche cosa», la nonviolenza, i diritti civili e, infine, anche il nome: sinistra radicale, appunto.
C'è molto poco di cui essere soddisfatti per i radicali. Si tratta, infatti, di un'appropriazione puramente nominalistica, non di una vittoria culturale. La nonviolenza bertinottiana è semplicemente, sul piano degli strumenti di lotta del suo partito, rifiuto della violenza nelle manifestazioni, e su quello della politica estera, nient'altro che ambiguo pacifismo. Non c'è alcuna cultura liberale del rispetto della legalità e dello stato di diritto. L'aggettivo "radicale" accostato alla sinistra bertinottiana e neocomunista è ritornato ad essere sinonimo di estremo, se non estremista. Un fenomeno mediatico non so fino a che punto pianificato, quanto piuttosto sintomo dell'irrilevanza e dello svuotamento di significato del radicalismo liberale.
4 comments:
A me l'esperienza ridicola e prevedibile dei Radicali nel centrosinistra, ovvero nella palude ancora e sempre controllata dai guardiani marxisti, è servita. Radicale da trent'anni, desideravo separare il grano dal loglio e capire quali potessero essere i miei referenti oggi, nel 2007. Provo ancora affetto per Marco ed Emma, ma è uno di quegli affetti che sopravvive, come un bonsai, sull'energia minima degli struggimenti passati, dei ricordi.
Ora ho ritrovato stima per Daniele Capezzone, nonostante tutto, e di là sento affinità con i pochi rimasti lontani da queste sabbie mobili liberal-socialiste, con lo sguardo rivolto a ben altri orizzonti, che sono anche i miei e sono sempre stati i miei, e credevo fossero anche quelli dei Radicali.
Forse mi sono sempre sbagliato io, nulla vieta che sia così: però ora ho le idee più chiare, e nessun ottimismo per il futuro. Il concetto di Radicale sopravvive nella mia mente, ed è una raffigurazione ormai totalmente personale.
Woody
jim, non è proprio come la racconti tu...
se hai memoria, qualcuno fin dal congressino CHE FARE?, e poi successivamente e con una certa risonanza nell'ambientino, aveva già chiaro e chiarito che i radicali si stavano rinchiudendo "da soli" nel recinto che unico poteva contenerli nel csx: i diritti civili...
e chi fossero gli SDI si sapeva da un secolo...
e chi osò parlare fu tacciato di "omnia munda mundi?"...
ma ormai è solo aria fritta e rifritta
Bravo Daniele che ha saputo aspettare.
la linea pannella bonino è perdente,
il futuro prossimo lo dimostrerà
Eheh vallo a dire a quelli come Beltrandi... Non ci resta che confidare in Capezzone.
P.S.: anche la Bonino con la Cina mi sta lasciando molto perplesso.
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