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Monday, September 06, 2010

Fini rompe "ma anche" no

Se nel suo discorso di ieri a Mirabello Fini non ha annunciato esplicitamente un nuovo partito, è solo per non contraddire la narrativa della sua "cacciata" dal Pdl (a cui contribuisce l'inutile documento approvato a fine luglio dal Pdl). Ma il nuovo partito è nei fatti, come trova conferma tutto ciò che scrivo da mesi sulle sue reali intenzioni. Un discorso ben poco "alto", da capopartito più che da terza carica dello Stato. Altro che "manifesto", è pieno di polemichette e battute caustiche, alternate a lunghe tirate demagogiche (che flirtano con insegnanti della scuola, poliziotti, magistrati, meridionali e "gggiovani", tanto per avere un'idea del tipo di elettorato cui intende rivolgersi). Diverso da quello che pronunciò in direzione lo scorso aprile solo per la carica molto più intensa e nervosa di antiberlusconismo.

Non lo può ammettere, ma Fini sa bene che non gli si contestano idee, opinioni, analisi, diverse da quelle maggioritarie nel Pdl o da quelle di Berlusconi, né i suoi "appunti" sull'operato del governo, ma il fatto che non vengano espressi nelle sedi opportune, in modo costruttivo, e che prendono piuttosto la forma di attacchi esterni, dissociazioni, sponde offerte alle opposizioni o, peggio, alla magistratura politicizzata che cerca di delegittimare per via mediatico-giudiziaria l'esecutivo e il premier. Se Fini avesse voluto influenzare davvero, in buona fede, la linea, avrebbe dovuto accettare un incarico nel Pdl o nel governo, come gli era stato prospettato all'inizio della legislatura, in questo modo essendo anche costretto a condividere la responsabilità dell'azione politica di entrambi. Invece, ha scelto per sé una carica di garanzia, "irresponsabile" rispetto all'azione di governo e persino rispetto all'iniziativa legislativa, pretendendo però di usarla non solo come tribuna da cui emettere sentenze di merito, impallinare, "picconare" quotidianamente, ma anche come cabina di regia di un'ostruzionistica attività parlamentare.

Vorrei tornare di nuovo su questo aspetto, davvero decisivo: il presidente del Consiglio dovrebbe negoziare con lui, presidente della Camera, un «nuovo patto di legislatura», come ha detto Fini ieri sera? Non si è mai visto. Mai un presidente della Camera si era permesso di rivendicare per sé un ruolo di vero e proprio indirizzo politico nell'azione di governo; mai nessuno ha costituito "suoi" gruppi parlamentari in dissenso dal suo partito; mai ha utilizzato la carica per condurre la sua personale lotta politica all'interno del partito e per la sua leadership; ed è certamente scorretto per un presidente della Camera esprimersi nel merito di un provvedimento appena uscito dal Senato, che dovrà quindi iniziare il suo iter proprio alla Camera, come ha fatto ieri sul cosiddetto "processo breve".

Al contrario di quanto ripete Fini sui partiti moderni, europei, liberali, in nessun'altra parte d'Europa vediamo svolgersi in questo modo la dialettica all'interno dei partiti di governo. Possono essere di destra o di sinistra, ma la sfida alle leadership avviene prima delle elezioni, non dopo. Dopo, quando si è al governo, si governa. Non che il dissenso o gli avversari interni spariscano, o vengano annientati. Continuano a "covare" all'interno, ma il confronto avviene nel partito, non prende le forme di una critica ostentata, costante e demolitoria del partito stesso e dell'esperienza di governo. Tanto meno utilizzando una carica istituzionale. Nessuno in Europa, né Sarkozy, né la Merkel, né Cameron, ha il suo "Fini". Tutti hanno avversari nel partito, certamente, ma nessuno che si comporti come Fini.

Quando ha parlato di un «nuovo patto di legislatura», teorizzato una coalizione di governo non più a due ma a tre gambe, quando ha detto di condividere i cinque punti programmatici, ma solo i titoli, perché poi vanno riempiti andando a trattarli con lui (anzi, con i «nostri capigruppo»), Fini ha confermato la linea del logoramento. Vorrebbe ricreare le stesse condizioni politiche, ritrovare lo stesso potere di ricatto, della legislatura 2001-2006, quando la coalizione di governo aveva in An e Udc una terza e anche una quarta gamba. Vuole replicare quello schema per far arrivare Berlusconi a fine legislatura esausto politicamente, come vi arrivò nel 2006. Fini ha quindi offerto un patto di legislatura sì, ma ad una condizione inaccettabile per il premier e il Pdl: accettare di farsi logorare, tornare allo status quo ante, proprio quello che si voleva superare con il partito unico del centrodestra.

Una posizione di cui Casini e Di Pietro nei loro commenti hanno rilevato le contraddizioni: il primo rivendicando, dal suo punto di vista, la coerenza di non essersi piegato ad entrare nel "partito del predellino", come invece ha fatto Fini evidentemente, bisogna concludere, per mera scelta tattica o per un errore madornale. E come può, osserva giustamente il leader dell'Idv, un giudizio così impietoso sul berlusconismo e sul Pdl, di cui l'ex pm rivendica il copyright, convivere con il rilancio di un «patto di legislatura» proprio con il detestato Berlusconi, se non semplicemente per sfuggire al giudizio degli elettori? Fini vuole restare dov'è, essere la "terza gamba" della coalizione, ma pretende di restarci da antiberlusconiano.

Già, perché è proprio questo a contraddire ogni moralità politica: come mai quando si tratta di prendere i voti, si corre, come ha fatto Fini, sotto l'ombrello berlusconiano, per poi un minuto dopo aver preso i voti, solo quando ci si è accomodati sulla propria poltrona grazie a quei voti, scoprire la vera natura del berlusconismo, contrastarlo apertamente, sfidare la sua leadership non nelle urne ma nei Palazzi? Berlusconi fa l'annuncio del Predellino, e Fini reagisce in modo sprezzante («comiche finali») sulla base di un calcolo politico sbagliato, e cioè che il governo Prodi non sarebbe caduto e la leadership di Berlusconi non avrebbe retto per altri cinque anni all'opposizione; Prodi invece cade subito dopo, e Fini (a differenza di Casini) accetta "obtorto collo" di entrare nel Pdl, invece di lanciare - in quel momento sì - una sfida aperta alla leadership berlusconiana. Non è che Fini si sia pentito di averlo cofondato, è che nel Pdl non ha mai creduto. Lo ha sempre vissuto come una scelta tattica da cui distinguersi prima possibile per tornare a sfidare Berlusconi nell'unico modo in cui è capace e sa di avere qualche chance: logorandolo dall'interno, e dall'esterno offrendo sponde alle opposizioni, politiche e mediatico-giudiziarie.

Non ci sono dubbi: Fini vuole essere un leader di centrodestra, ma quell'accenno alla legge elettorale è una minaccia di disponibilità a un governo di transizione, in caso di crisi, per ritardare il più possibile il ritorno alle urne e affrontarle magari con un sistema di voto più favorevole. Cosa può fare Berlusconi a questo punto? L'unica via - difficile - è questa.

P.S.: Del tutto superfluo concentrarsi sul merito delle questioni poste da Fini: solo puro tatticismo, non poteva che uscirne fuori un minestrone contraddittorio di "ma anche" in puro stile Veltroni. Ma già che ci siamo: il federalismo ma anche la retorica meridionalista e nazionalista; il rigore ma anche i precari della scuola, per carità, e i poliziotti senza benzina; il Lodo Alfano ma anche no alle leggi "ad personam"; la magistratura politicizzata, ma anche «caposaldo»; il governo «ha operato bene» ma anche no; né sono mancate vuote banalità come il «patto tra capitale e lavoro», il «patto generazionale», il «quoziente familiare», la «meritocrazia», di tutto di più, purché si rimanga sul vago. Unici spunti apprezzabili la liberalizzazione dei servizi pubblici locali e l'abolizione delle Province, che fanno parte del programma del Pdl (già, che fine hanno fatto?). E a proposito, che fine ha fatto la bioetica?

7 comments:

Anonymous said...

"...ma Fini sa bene che non gli si contestano idee, opinioni, analisi, diverse da quelle maggioritarie nel Pdl o da quelle di Berlusconi, né i suoi "appunti" sull'operato del governo, ma il fatto che non vengano espressi nelle sedi opportune, in modo costruttivo, e che prendono piuttosto la forma di attacchi esterni, dissociazioni, sponde offerte alle opposizioni o, peggio, alla magistratura politicizzata che cerca di delegittimare per via mediatico-giudiziaria l'esecutivo e il premier."


tipo ad un congresso?

Anonymous said...

tra l'altro non ha citato uno dei cavalli di battaglia di questo governo: sconfiggere il cancro in tre anni

Anonymous said...

I CONGRESSI SONO PER I PAROLAI INUTILI E PETULANTI .....
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non servono ad un fico secco ...se non a mettersi in mostra .
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AL MONDO c'è chi lavora ...e chi chiacchiera ....
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FINI NON HA MAI COSTRUITO NULLA IN TUTTA LA SUA VITA
non si è mai impegnato in niente
nel governo precedente si era ritagliato uno dei ministeri del NON FAR NULLA ....quello degli esteri.
ora non fa nulla .... a parte parlare parlare parlare.

Anonymous said...

a quanto vedo, invece, al mondo c'è chi vuole essere sotto una repubblica democratica o sotto una monarchia...

Anonymous said...

non centra nulla la democrazia .
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A FINI non gli frega un tubo della democrazia
FINI VUOLE LA DITTATURA .....LA SUA .
vuole essere lui a decidere , con la dittatura della minoranza , impiegata per decenni dai micropartitini durante il secolo scorso.
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e soprattutto .....gli interessa mettere il bastone tra le ruote a Berlusconi ....
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tutto questo casino nasce da un sentimento tanto semplice quanto diffuso .
A FINI GLI RODE IL CULO ...
gli rode il culo che lui in 50 anni di politica non è riuscito a fare nulla
e soprattutto COME A TUTTI GLI ALTRI POLITICI .....GLI RODE IL CULO che invece Berlusconi sia arrivato dal nulla , senza mai frequentare i salotti politici e sia riuscito dove nessun altro è mai riuscito ....
e soprattutto gli rode che Berlusconi non sia ancora morto.
.
saluti............. Mauriziosat

Anonymous said...

oggesù...

Cachorro Quente said...

"GLI RODE IL CULO che invece Berlusconi sia arrivato dal nulla , senza mai frequentare i salotti politici e sia riuscito dove nessun altro è mai riuscito ...."

[senza parole]