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Friday, September 10, 2010

Non si risolve con un'alzata di spalle

L'intenzione di Berlusconi e Bossi di coinvolgere il Quirinale sul caso Fini è stata banalmente ridotta dai commentatori e dai costituzionalisti ad una improbabile pretesa di ottenere dal presidente Napolitano le dimissioni del presidente della Camera, facendo passare ovviamente i due per «analfabeti». Ad esporre correttamente i termini del problema che il premier e il leader della Lega faranno eventualmente presente a Napolitano è Calderoli: «Quello di cui deve preoccuparsi Napolitano è il corretto funzionamento di un ramo del Parlamento: non ha competenze rispetto a dimissioni o ruoli politici - è consapevole il ministro leghista - ma ce l'ha rispetto al corretto funzionamento di un ramo del Parlamento, al punto che la Costituzione prevede che non solo abbia la possibilità di sciogliere le Camere, ma possa scioglierne anche soltanto una». Una possibilità, aggiunge, «non legata a una maggioranza o a una posizione politica, ma ad una oggettiva possibilità di funzionamento della Camera» stessa.

Evidentemente molti credono che le funzioni del presidente della Camera si esauriscano nelle quattro banalità citate da Fini nella sua intervista da Mentana. In realtà, non si tratta di dare la parola e moderare il dibattito, il ruolo è delicatissimo ed estremamente "politico". Non tutti sanno, forse, che il calendario dei lavori viene deciso «con il consenso dei presidenti di Gruppi la cui consistenza numerica sia complessivamente pari almeno ai tre quarti dei componenti della Camera». In caso contrario, decide il presidente. A breve, tra l'altro, è previsto il rinnovo delle Commissioni. La loro composizione dev'essere proporzionale a quella dell'aula, ma essendo i loro membri in un numero molto inferiore ad essa, ci sono dei resti che vengono attribuiti ai vari gruppi a discrezione del presidente. In base all'assegnazione di questi resti, nelle commissioni può venir fuori una maggioranza di un tipo o di un altro. Essendo sorto un nuovo gruppo, costituito proprio da Fini, è fondato da parte di Pdl e Lega dubitare che sia in grado di adempiere questo passaggio con equilibrio e disinteresse.

Tra l'altro, si dimentica che essendo la maggioranza solida al Senato a prescindere dai voti finiani (almeno per ora), e se è vero che il sistema elettorale non dà la certezza che da ipotetiche elezioni anticipate emerga una maggioranza, nel caso in cui alla Camera venisse meno la fiducia al governo, in teoria nulla impedirebbe a Napolitano di sciogliere solo l'assemblea di Montecitorio.

Nella sua rubrica per Panorama, Giuliano Ferrara, che certo in questi mesi non ha mostrato antipatia nei confronti di Fini e, anzi, si è fatto promotore di ipotesi di ricomposizione e coesistenza, pone però una domanda ai «molti guru della Costituzione che offrono lezioni di alfabeto istituzionale a Berlusconi e a Bossi»:
«E' decente che un presidente di assemblea faccia politica attiva, costituisca un suo gruppo parlamentare a nome del quale parla, si faccia portavoce del progetto di fondazione di un partito e intraprenda un negoziato politico sulle sorti della legislatura con la maggioranza di centrodestra, con l'area di centro e con la minoranza di centrosinistra? Dico decente in senso non morale, ma politico. Fa bene questo quadretto alle istituzioni, alla loro credibilità civile, alla loro saldezza nello spirito pubblico?».
Il direttore del Foglio ha evidentemente il problema di riconoscere di essersi sbagliato sulle reali intenzioni di Fini. Il suo «piano originario», scrive, «anche in considerazione del ruolo che era andato a ricoprire, era diverso». Aveva suscitato il suo «interesse» perché «voleva o diceva di voler mettere in circolazione nuove idee di una destra diversa da quella di questi anni, sperimentare pluralismo e dissenso dentro il partitone unificato che aveva vinto le elezioni, e giocava la partita in solitario, come si conveniva a chi doveva funzionare da garante super partes. Questo era compatibile con la presidenza della Camera». Fin qui nulla di male. Anzi, avrebbe potuto dare un contributo positivo al partito con le sue distinzioni su temi quali la bioetica, l'immigrazione, la cittadinanza, persino il Sud e il federalismo. Conoscendo il percorso e gli errori politici di Fini (e l'uso fatto della presidenza di Montecitorio dai suoi predecessori) personalmente mi appariva chiaro, come a molti altri, dove voleva andare a parare. Ma, come detto, il dissenso poteva essere ancora gestito politicamente. Poi però Fini, coerentemente con le sue reali intenzioni, ha varcato la linea rossa, che in tempi non sospetti avevo individuato nella giustizia. Si è fatto sempre più chiaro l'obiettivo di sfidare la leadership di Berlusconi - non nelle urne, ma per logoramento nei Palazzi - non rinunciando a offrire sponde verbali e non solo agli attacchi mediatico-giudiziari.

«In parte per sua responsabilità, in parte per l'orgogliosa reazione politica e caratteriale di Berlusconi e del suo giro - ricostruisce Ferrara - tutto è precipitato verso un confronto correntizio, prima, e una deflagrazione scismatica piena di rancori e accuse personali poi». Ma pur avendo difeso Fini, Ferrara non transige sul ruolo di presidente della Camera:
«Fini non ha tutti i torti quando dice che è stato buttato fuori senza tanti complimenti, e attaccato pesantemente con notevole rozzezza, ma non è nel suo buon diritto quando aggiunge che può stare seduto dove sta, fino al compimento della legislatura, senza troppi problemi. È appena ovvio che non si può attribuire a Giorgio Napolitano il compito, come ha detto Bossi con formula esilarante, di "spostare Fini da un'altra parte". Ma i poteri di garanzia, invocati su Repubblica da Stefano Rodotà con puntigliosa e protocollare ipocrisia come poteri inattaccabili, hanno un protocollo deontologico che sta in stretta connessione con la loro inviolabilità virtuale: devono comportarsi in un certo modo. Ricordo gli strali di Rodotà contro i giudici costituzionali che accettarono un invito a cena del presidente del Consiglio: bisogna essere e parere inattaccabili, quando si maneggiano le garanzie. E, nonostante la privacy, forse non aveva torto. Nel caso di Fini, che tiene comizi alle feste del neonato suo partito, proclama l'inesistenza del partito di provenienza o Pdl, si tratta di ben più di un invito a cena privato (con sospetto delitto), forse inopportuno: si tratta di una performance da teatro politico, di una sortita in campo aperto che non fa essere il presidente, né certo lo fa parere, super partes ovvero capace di obiettività nella gestione dei lavori di assemblea. Le forme sono sostanza, ci insegnano su questo sempre i vati del costituzionalismo progressista, i profeti dell'establishment politicamente connotato. La questione formale di come si possano dirigere i lavori della Camera facendo attivamente politica, e conflittualmente esposti sulla scena dei rancori e delle polemiche, non si può risolvere con un'alzata di spalle».

1 comment:

Anonymous said...

cosa si deve scrive pè campà, eh Punzi?

lo scioglimento di una sola camera, e fu il senato la camera sciolta, è successo solamente due volta, l'ultima nel '58 ed ha creato casini inenarrabili, tanto che fu portata la durata del senato a 5 anni formando così il bicameralismo perfetto. e con il bicameralismo perfetto non è immaginabile lo scioglimento di una sola camera, tantomeno senza la richiesta del presidente del consiglio e su sola iniziativa del presidente della repubblica.

ovviamente sul ruolo del presidente della camera ti arrampichi parecchio sugli specchi: il nostro è un sistema parlamentare dove alla presidenza della camera è assegnato un ruolo di garanzia e per cui viene eletto dai parlamentari.
non c'è scritto da nessunissima parte che debba essere della maggioranza, e lo sai.
altrimenti l'opposizione potrebbe benissimo chiedere le dimissioni di schifani in quanto organico nella maggioranza e quindi non garante anche della minoranza.
ed è una cazzata e sai benissimo anche questo.

l'unico motivo per chiedergiele è che schifani o fini vengano meno proprio al loro ruolo di garanzia, esattamente il contrario per cui le ha chieste berlusconi.