Pagine

Monday, August 27, 2007

Pd e PdL, spettacoli deprimenti

Le vacanze sono agli sgoccioli e, seppure abbia tentato di evitarlo per qualche tempo, dedicandomi alla politica estera, tirare le somme (o piuttosto le differenze) di quanto nelle ultime settimane ha offerto il teatrino della politica può essere di una qualche utilità.

Se già ci stavamo avvilendo a sufficienza con il desolante spettacolo della fase costituente del Partito democratico e delle finte primarie, dall'altra parte, se possibile, sono riusciti a farci cadere le palle ancora più in basso.

Gli anni e le stagioni politiche passano ma Veltroni riesce sempre a presentarsi come il nuovo che avanza, l'ultima risorsa della sinistra. Ma adesso che si è buttato nella mischia, sia Berlusconi che Prodi puntano al suo logoramento, a farlo passare per l'uomo scelto dagli apparati per sopravvivere a se stessi. E in fondo è proprio così, sta a lui sorprendere.

E' bravo Veltroni, bisogna riconoscerlo, nelle tirate demagogiche su quanto ritiene importanti i giovani e la società civile nel Pd, ma sappiamo che è un "cementificatore". Ovunque passi, blinda tutti i posti con i suoi fedelissimi. E il suo fedele scudiero, Bettini, ha strappato la maschera dal volto del suo cavaliere quando ha scagliato la sua irritazione per gli attacchi di Letta e Bindi: aho, ma che, fate sul serio? Veltroni si aspettava di correre in solitario una marcia trionfale, mentre eccoli lì, i suoi sfidanti, a cercare il corpo a corpo.

Lotta non entusiasmante, perché i suoi avversari meno di lui si sono sbilanciati sul ruolo politico che hanno in mente per il Pd e sui contenuti. Gli altri due big (Letta e Bindi) sono lì per azioni di disturbo, commissionate da Prodi. La durata del suo governo è inversamente proporzionale alla portata della vittoria di Veltroni. I candidati meno noti, da Adinolfi a Gawronski, hanno poche idee e confuse, ma a non convincere è soprattutto il loro approccio "moralistico" nella denuncia di questa classe politica. "I capaci siamo noi", si limitano a dire, invocando il recupero dell'etica politica.

Il Partito democratico si avvia mestamente ad essere una semplice operazione di conservazione di due apparati, Ds e Margherita, accelerata dal sempre più imminente collasso del Governo Prodi. Laddove trapela, la cultura politica del nuovo partito mostra le rughe catto-comuniste. Se va bene, sarà un compromessino "bonsai" tra ex-Dc ed ex-Pci, se va male neanche quello. Nessuno saprebbe ancora indicare due o tre cose che il Partito democratico, se dovesse governare, farebbe con certezza.

Eppure, in extremis, sul finire dell'estate, ciò che potrebbe fare del Partito democratico una novità nel sistema politico italiano, di rottura con l'esperienza dei riformisti nell'Ulivo e del centrosinistra formato Unione, porsi cioè l'obiettivo di essere non solo maggioritario, ma anche autosufficiente, presentandosi agli elettori come forza politica in grado di assumere in pieno le responsabilità di governo, sembra improvvisamente a portata di mano. Veltroni sembra aver rotto con il prodismo, e anche dal suo ultimo discorso in Francia emergono passaggi incoraggianti.

Proponendo la costruzione di un soggetto sovranazionale «la cui denominazione possa essere Internazionale dei democratici e dei socialisti», sottolinea che «i vecchi schemi non reggono più», che «staccarsi dalle ideologie del passato rende liberi di guardare al futuro», che «non è guardando indietro che troveremo le risposte giuste». Se l'Europa è «andata a destra», spiega, è «perché la sinistra è rimasta imprigionata in categorie che l'hanno fatta apparire conservatrice, ideologica e chiusa».

Parla di lotta al precariato, non nel senso di abolire le forme contrattuali flessibili, ma di ammortizzatori sociali, di continuità previdenziale, della formazione nella transizione, perché ci sono «interessi comuni e delle giovani generazioni che vengono prima degli interessi di parte o dei vantaggi di breve termine di chi, peraltro, dispone di una buona quantità di garanzie». E' consapevole che «senza la crescita dell'economia e delle imprese ogni obiettivo di equità sociale si allontana... Il nostro avversario è la povertà, non la ricchezza». E infine: «Dobbiamo togliere alla destra la bandiera della libertà. Era una cattiva utopia quella che faceva dell'uguaglianza la nemica delle libertà».

Ma se da una parte un partito sta nascendo a prescindere dai contenuti e dalla cultura politica, partendo invece dalla conservazione di vecchi apparati, dall'altra parte neanche da quelli, ma da un nome e un simbolo, da un volto, quello della Brambilla, e null'altro dietro che un gran casino e un enorme vuoto ideale e culturale.

Che i voti siano importanti per definire la consistenza di un partito è senz'altro ineccepibile. Tuttavia, i voti non bastano, perché dopo le elezioni occorre governare, decidere, fare. Ha risposto bene Ernesto Galli Della Loggia a un editoriale su Il Foglio in cui si sosteneva che «partiti veri sono quelli che prendono i voti, e finti quelli che non li prendono»:
«Un partito di plastica può anche incontrare per mille ragioni il favore dell'elettorato e prendere un sacco di voti... ma è a questo punto che scatta la distinzione davvero capitale, che è quella tra partiti che con i voti presi riescono a farci qualcosa e quelli che invece riescono a farci poco o nulla».
Anche Piero Ostellino osserva che «con le Brambille si vincono magari le elezioni ma, poi, non si governa il Paese contro l'ostilità dell'establishment culturale di sinistra e la disaffezione di quello liberale». Il grande fallimento di Berlusconi è sul piano della cultura politica. Non è riuscito ad attirare neanche quegli intellettuali che diffidano della sinistra. Nonostante possedesse enormi mezzi, si è dotato solo di strumenti di bassa propaganda e non di analisi e fucina culturale. Se avesse guardato davvero a cos'è, oggi, il mondo culturale conservatore negli Stati Uniti, per esempio, con i think tank, le riviste, i quotidiani che fanno cultura e opinione, offrono idee, interpretazioni della realtà e, essenziale, coscienza critica. Se agli intellettuali di sinistra è mancata proprio questa ultima, in quelli liberali essa non è mai mancata, ma Berlusconi non se n'è servito.

Il paese che Berlusconi ha lasciato nel 2006, osserva Luca Ricolfi su La Stampa, pur avendo governato per 5 anni con maggioranze schiaccianti sia alla Camera che al Senato, è un'Italia «con più tasse e più criminalità dell'Italia che Berlusconi stesso, nel 2001, aveva ereditato dal centrosinistra. Quanto alle grandi riforme modernizzatrici, ne abbiamo viste in funzione pochine: niente ammortizzatori sociali, niente liberalizzazioni, niente federalismo, nessun intervento effettivo sulle pensioni».

Pesa sul centrodestra la maledizione della non-sconfitta, la presunzione cioè che il risultato di quasi pareggio dal punto di vista elettorale autorizzi a non affrontare e sciogliere i nodi irrisolti del centrodestra.

L'operazione Brambilla potrebbe rivelarsi elettoralmente azzeccata, intercettando quei segmenti di antipolitica e possibile astensionismo che sembrano ormai gli unici piccoli ostacoli sulla via del ritorno al potere di Berlusconi quando si tornerà a votare.

Sembra però che il Partito della Libertà sia «solo un espediente organizzativo per mascherare un vuoto politico, ossia l'endemica mancanza di discussione, di idee, di analisi del centrodestra italiano. Soprattutto l'incapacità dei leader della Casa delle Libertà di rispondere alla domanda delle domande: perché, nonostante una maggioranza parlamentare schiacciante, in cinque anni avete modernizzato così poco il Paese? Finché a questa domanda non verrà data alcuna risposta, è inutile illudersi che Berlusconi possa riuscire dove Prodi sta fallendo: il Partito della Libertà potrà anche ridare il governo a Berlusconi, ma difficilmente potrà dare un governo agli italiani», conclude impietosamente Ricolfi.

7 comments:

Anonymous said...

Scusa, ma prima leggi e poi parla, altrimenti sa di pre-giudizio e non sarebbe da te. Ti stai trasformando in pon pon girl? Non ho mai scritto di essere meglio degli altri, ho formulato solo proposte e programmi di estrema concretezza, alcuni assai vicini ai temi di Decidere. Liquidare con una riga un po' imbecille uno sforzo mio e di migliaia di persone che hanno firmato e si stanno candidando sulla base di quelle proposte, non è liberale.

Mario Adinolfi

JimMomo said...

Le proposte concrete sono due. "100", con la quale sono d'accordo. "2", sono contrario. Gli zero non sono che zero un po' demagogici a tutte le cose "cattive".

Non credo che se a rappresentarmi è un under 40 avrò più possibilità che i problemi della mia generazione vengano considerati. E' qui la presunzione di essere migliori, ma un over 60 davvero liberale potrebbe rappresentarmi meglio di under 40 non liberale. La "questione generazionale" c'è, ma non passa per una "rappresentanza generazionale", bensì per una politica e riforme liberali delle istituzioni e dell'economia. E tra i giovani c'è meno consapevolezza di questo che in altre generazioni.

Oppure devo pensare che compiuti 40 tu smetterai di proporre la quota 100 sul pensionamento?

Come vedi, è vero che nel post sono stato stringato, perché ho cercato di parlare di molto altro, ma le mie obiezioni sono di merito. Con ciò ti auguro comunque un in bocca al lupo per la campagna!

Anonymous said...

Sei scorretto. C'è il cento, c'è il due che oltre quello della spesa in innovazione e ricerca scientifica sul pil è anche il numero riguardante la coppia e sulla giovane coppia abbiamo scritto molto di incisivo e propositivo, zero è un numero che riguarda anche politiche abitative precise. Poi ci sono le proposte tematiche su lavoro e precariato, anche queste legate a una proposta tecnica che si ritrova in tito boeri. Infine c'è il tema della democrazia diretta e del modello web, che tiene insieme tutta la mobilitazione. Si può non essere d'accordo, non dire che le proposte sono due. Comunque, per gli interessati, tutte le proposte sono riassunte nel mio ultimo post sul blog, che forse Punzi non ha fatto in tempo a leggere incorrendo in questo infortunio più per leggerezza e foga alla ce-capisco-solo-io-e-al-limite-daniele che per vera malafede.

Anonymous said...

Stimo Ricolfi. Però è ora di smetterla con questa stronzata, ripetuta, chissa perchè, anche da grandi firme di giornali "seri", di annoverare tra gli innegabili insuccessi di Berlusconi le pensioni. Perchè Berlusconi una riforma delle pensioni l'aveva approvata, sarebbe entrata in vigore tra poco ed era molto meglio della controriforma di Damiano. Per il semplice motivo che la riforma delle pensioni serve a far quadrare i conti, e questa del centrosinistra butta al gabinetto minimo 10 miliardi di euro per mandare in pensione prima (prima!) un massimo di 143mila persone. Del resto, quando cè stato l'accordo ha sparato pure l'Economist. Il quale, però, parlava di fallimento bipartisan nell'affrontare il tema citando, quanto a Berlusconi, solo il tentativo abortito del '94: lo scalone, semplicemente, non esisteva. Strano? No: è che in certi ambienti, che non sono di per sè demenziali come quelli girotondini, non si può ammettere, dopo averlo cannoneggiato per anni, che per quanto il Cav sia stato deludente questi qui lo fanno impallidire per capacità di fare le cose sbagliate.

JimMomo said...

Allora, ale.ga.

Berlusconi ha previsto che la riforma entrasse in vigore nel 2008 per scaricare difficoltà dal suo governo a quello successivo. Sapeva, come in effetti è avvenuto, che Prodi si sarebbe trovato in grande difficoltà.

Se fosse stato responsabile avrebbe fatto entrare in vigore la riforma nei suoi primi anni di legislatura, caricandosene la responsabilità. Ma non lo ha fatto perché a quel punto, anche nel centrodestra, c'era chi non voleva pagare i costi dello scontro con i sindacati e scontrarsi con la propria base di pensionandi.

E' per questo che la situazione è bloccata e deprimente, se non l'hai ancora capito.

ciao,
Federico

Anonymous said...

Guarda Federi', che la situazione sia deprimente l'ho capito benissimo, e stranamente l'ho capito da me. E anche la tua analisi è sostanzialmente corretta. Però. Primo: nè Berlusconi nè nessun altro poteva avere la certezza matematica che nella legislatura successiva non sarebbe più stato al governo. Secondo: rimane il fatto, e parlano i numeri, che la Maroni era meglio della Damiano. Detto questo, che l'Italia vada a rotoli e che nessuno sia intenzionato a rimetterla a posto non mi sogno di negarlo. Anche perchè sulle ricette la pensiamo allo stesso modo. Però, gradirei - e qui mi riferisco ai Ricolfi, ai Galli della Loggia eccetera- che la si smettesse di far passare l'idea che è tutto uguale, perchè questo governo è peggiore di quello che l'ha preceduto. Altro che riformisti e coraggiosi. Si accontentino di farci sapere per chi vota alle primarie Michael Jackson.

JimMomo said...

"questo governo è peggiore di quello che l'ha preceduto"

Su questo concordo, il problema però non è fare la bilancina. Entrambi sono comunque al di sotto del necessario, ben oltre il famoso male minore accettabile. E sosprattutto, a questo punto è all'orizzonte futuro che bisogna guardare.

E credo che quando Berlusconi dovrà ricostruire il centrodestra, se Veltroni avrà continuato per questa strada non avrà gioco facile.