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Monday, August 06, 2007

Su Don Gelmini una distorta forma di garantismo

Don GelminiLa vicenda di Don Gelmini sta prendendo sempre più una piega grottesca. Giorni fa si era detto «sereno» nonostante la comprensibile amarezza per le accuse ricevute, ma poi ha cominciato a sparare idiozie a raffica e tra lui e il suo brillante portavoce hanno inanellato gaffe su gaffe. Prima le accuse di un complotto «ebraico-radical chic contro la Chiesa», e quindi la polemica, non ancora del tutto placata, con la comunità ebraica. Accortosi dell'errore, Don Pierino cerca di mettere una toppa facendo diventare la lobby contro la Chiesa «massonico-radical chic».

A questo punto a pretendere le sue scuse sono i massoni (e i «radical chic», quando si faranno vivi?), anche perché viene fuori - credo sia stato Pannella a rivelarlo - che il suo portavoce, Alessandro Meluzzi, è egli stesso un massone e che la massoneria italiana, il Grande Oriente d'Italia, chiede ai suoi soci di finanziare la comunità Incontro di Don Gelmini. Sul sito grandeoriente.it, infatti, in un elenco in cui venivano segnalate ai "fratelli" 22 associazioni possibili destinatarie del 5 per mille, figuravano sia la comunità Incontro sia la Fondazione Giovanni XXIII di Don Benzi. Curioso modo di complottare «contro la Chiesa». Chissà quale oscura trama deve aver visto Don Pierino nell'offerta giunta dall'avvocato Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, di «officiarne gratuitamente la difesa» in giudizio.

Ma Don Gelmini non parlava della Massoneria intesa come istituzione, corre ai ripari il portavoce massone: l'incauto e confuso sacerdote si riferiva a «un ambiente politico e culturale radical-chic, la new left laicista, anticlericale, politically correct, che in America ha rovinato i college americani e fa proseliti anche da noi... I nomi non li so e se li sapessi non li faccio», precisa Meluzzi, che a questo punto andrebbe sommerso da risate generali.
«Don Pierino ha parlato con la franchezza e la schiettezza dei profeti. E' stato ingenuo, ma nel senso latino del termine, "in-gens", cioè nobile: nella commedia plautina era il nobile quello buono e onesto, e lui è così: sembra semplice perché manca di malizia. Siamo orgogliosi della sua ingenuità».
Ecco, appunto, giusto il personaggio di una commedia plautina.

Ma le stupidaggini non finiscono qui. C'è chi parla di «lobby della droga», Gasparri che ha proposto un "Gelmini Day" e che si è permesso di consigliare ad Elkan - che ha invitato la comunità ebraica a rompere con Gelmini per la sua frase offensiva - di portare il figlio Lapo da Don Pierino, spiegando, con una grazia da elefante, che il ragazzo non ha avuto «l'affetto necessario» e che Don Gelmini «ha sostituito con i suoi insegnamenti tanti padri che hanno fallito nella loro più importante missione, quella di educare i propri figli».

Eppure, c'è qualcosa di più serio da osservare. Come mi ha fatto notare Castaldi, una peculiare forma di "garantismo" si sta affermando: non quella generica, che anche qui è stata affermata, che chiunque è innocente fino alla condanna definitiva, ma il pregiudizio di innocenza che deriva in qualche modo dalla specchiata reputazione e dalla conclamata attività benefica dell'indagato. Se è un sacerdote l'abito che indossa gli dà diritto anche a un bonus supplementare.

Cosicché un indagato la cui vita sia sconosciuta ai media, alla politica e all'opinione pubblica, sembra spacciato, non trovando alcuno pronto a giurare sulla sua innocenza e a scandalizzarsi. Nel caso di Don Gelmini, inoltre, questo singolare modo di far valere il pregiudizio di non colpevolezza gli si può ritorcere contro. Don Pierini infatti - forse i colonnelli di An e dell'Udc lo ignoravano - è a tutti gli effetti un pregiudicato. Semmai, cioè, a suo carico ci sono precedenti penali non proprio irrilevanti, come ha scoperto Francesco Grignetti (La Stampa, 5 agosto 2007) - e non si tratta di dossieraggio, ma di sentenze passate in giudicato e pene scontate:

«Era il 13 novembre 1969 quando i carabinieri lo arrestarono per la prima volta, nella sua villa all'Infernetto, zona Casal Palocco, alla periferia di Roma. E già all'epoca fece scalpore che questo sacerdote avesse una Jaguar in giardino. (...) I freddi resoconti di giustizia dicono in verità che fu inquisito per bancarotta fraudolenta, emissione di assegni a vuoto, e truffa. Lo accusarono di avere sfruttato l'incarico di segretario del cardinale [Luis Copello] per organizzare un'ambigua ditta di import-export con l'America Latina. E restò impigliato in una storia poco chiara legata a una cooperativa edilizia collegata con le Acli che dovrebbe costruire palazzine all'Eur. La cooperativa fallì mentre lui rispondeva della cassa. Il giudice fallimentare fu quasi costretto a spiccare un mandato di cattura. Don Pierino, che amava farsi chiamare "monsignore", e per questo motivo si era beccato anche una diffida della Curia, sparì dalla circolazione. Si saprà poi che era finito nel cattolicissimo Vietnam del Sud dove era entrato in contatto con l'arcivescovo della cittadina di Hué. Ma la storia finì di nuovo male: sua eminenza Dihn-Thuc, e anche la signora Nhu, vedova del Presidente Diem, lo denunciarono per appropriazione indebita. Ci fecero i titoloni sui giornali: "Chi è il monsignore che raggirò la vedova di Presidente vietnamita". Dovette rientrare in Italia. Però l'aspettavano al varco. Si legge su un ingiallito ritaglio del Messaggero: "Gli danno quattro anni di carcere, nel luglio del '71. Li sconta tutti. Come detenuto, non è esattamente un modello e spesso costringe il direttore a isolarlo per evitare 'promiscuità' con gli altri reclusi"».

Attenzione, quindi: la colpevolezza di Don Gelmini, non la sua innocenza, dev'essere dimostrata. Né l'innocenza si dimostra con l'acquisita reputazione o notorietà.

Tra l'altro, aggiungiamo una considerazione. Siamo tutti pronti a festeggiare se Don Gelmini o Don Mazzi strappano un ragazzo dalla tossicodipendenza, o se Don Benzi toglie dalla strada una prostituta semi-schiava, o per necessità. Ma da qui a santificare e a mettere sul piedistallo questa specie di santoni delle varie comunità starei attento.

Primo, perché poi ce li ritroviamo, un giorno sì e l'altro pure, nei talk show politici e d'intrattenimento a darci lezioni su come si combattono la droga e la prostituzione - naturalmente a colpi di proibizionismo e di stato di polizia. Fare una buona azione non significa che si sia in grado di elaborare una politica efficace per contrastare un fenomeno sociale e nemmeno che debba essere lo Stato a contrastarlo. E' avvilente vedere ministri e politici, di destra e di sinistra, ascoltare in modo ossequioso le ramanzine dei santoni di queste comunità di recupero da qualsiasi cosa. Secondo, perché sui loro metodi e sui risultati non c'è sufficiente trasparenza.

C'è infine la testimonianza di un certo Marco Salvia, che tre anni fa ha scritto e pubblicato un libro in cui, in forma di romanzo, racconta la sua esperienza e una trentina di testimonianze di altri ragazzi in alcune comunità di recupero per tossicodipendenti, tra le quali quella di Don Gelmini.

«Indipendentemente da quello che Don Gelmini può aver fatto, che se provato è gravissimo, queste strutture si reggono su presupposti allucinanti e su un meccanismo potente di lavaggio del cervello. Basta vedere le reazioni dei ragazzi ora, all'interno della comunità: c'è un clima omertoso, c'è paura». Per quanto riguarda la sua esperienza personale, lo scrittore parla di «torture», a cominciare dalle «28 notti senza dormire» che ha passato appena arrivato ad Amelia, perché in crisi di astinenza, ma le regole della comunità non ammettono farmaci. «E' un processo di espiazione, tu hai fatto qualcosa che è contrario a una legge morale, religiosa e lo devi espiare attraverso il dolore». E poi le botte, le 10-12 ore di duro lavoro nei campi. Per non parlare di quella volta che «Don Gelmini minacciò di buttarmi dalla finestra...».

Chissà che tra qualche settimana non ci troviamo a parlare della Abu Ghraib di Don Pierino.

5 comments:

Anonymous said...

In merito al vostro articolo ultimo sulla vicenda di Don Gelmini, sarebbe meglio precisare che la "fondazione per gli studi religiosi Giovanni XXIII" non ha nulla a che vedere con l'Associazione Comunita' Papa Giovanni XXIII, fondata e diretta da Don Oreste Benzi, quindi quest'ultima non fa parte della lista indicata dal sito del Grande Oriente d'italia, inerente le indicazioni per il 5 per mille.
saluti

Anonymous said...

...il pregiudizio di innocenza che deriva in qualche modo dalla specchiata reputazione e dalla conclamata attività benefica dell'indagato...

E' questa "l'autorità" cui fa riferimento il nuovo programma dei valori del cdx?
Stiamo messi bene!

Anonymous said...

posso darti ragione su quel sentimento popolarepopulista che vede in alcune figure (gelmini, benzi ecc) dei santoni intoccabili. Ma io ritengo don Gelmini innocente semplicemente fino a prova contraria.
Rispetto alla testimonianza dell'ex tossico...beh non so chi ha avuto a che fare con tossicodipendenti, ma spaccarsi la schiena nei campi è uno dei modi migliori per venirne fuori. E non credo spetti a lui giudicare i metodi, che cmq se non graditi, sono passibili di rinuncia. Nessuno obbliga a drogarsi, nessuno obbliga a curarsi son scelte, ma quando si fanno le scelte, se ne pagano le conseguenze.

Anonymous said...

...nel frattempo molte altre cose sul Santo gelmini sono saltate fuori e postate anche sui cessi della rete vedi: http://www.gay.it/channel/attualita/23397/Io-molestato-da-don-Pierino-Gelmini.html

Anonymous said...

//www.gay.it/channel/attualita/23397/Io-molesta
to-da-don-Pierino-Gelmini.html