Pagine

Wednesday, March 23, 2005

Il destino di Terri Schiavo. «Tragedia indecidibile»

E' l'ultima istanza possibile per far riprendere l'alimentazione alla figlia. I genitori di Terri Schiavo si rivolgono alla Corte Suprema. Il giudice Kennedy dovrà decidere se accettare il ricorso (improbabile), respingerlo, oppure rinviarlo a una riunione plenaria alla presenza di nove togati. Terri non ha i mezzi per far conoscere la sua volontà. In questo caso, per giunta, non sono concordi neanche i suoi cari sulla sua volontà. Il marito è il tutore legale di Terri e le Corti della Florida non hanno fatto altro che applicare il principio della supremazia del coniuge tutore, giungendo anche a conclusioni «ripugnanti», poiché un punto di vista umano suggerirebbe di affidare la sua custodia a quella parte della famiglia che vuole Terri viva e che promette di prendersene cura. E' la posizione espressa ieri dal neocon Charles Krauthammer sul Washington Post, mentre in Italia la leggevamo su Il Foglio, firma Adriano Sofri:
«Mi è molto difficile ammettere che si interrompa la vita, anche la vita detta vegetativa, di una persona, quando accanto a lei altre persone che la amano e vogliono prendersene cura. Mi pare che in caso la tutela legale degli uni debba cedere provvisoriamente il passo all'affetto insindacabile degli altri. E dovrebbe farlo spontaneamente, senza ricorsi a tribunali e parlamenti».
Krauthammer si sofferma sullo stato "vegetativo" che ha colpito Terri: la corte federale ha riscontrato che la maggior parte della corteccia cerebrale di Terri è andata. Ma "la maggior parte" non significa tutta.
«Let's be clear about her condition. She is not dead. If she were brain-dead, we would be talking about harvesting her organs. She is a living, breathing human being. Some people have called her a vegetable. Apart from the term being disgusting, how do they know? How can we be sure of the complete absence of any consciousness, any awareness, any anything "inside" this person?

The crucial issue in deciding whether one would want to intervene to keep her alive is whether there is, as one bioethicist put it to me, "anyone home." Her parents, who see her often, believe that there is. The husband maintains that there is no one home. (But then again he has another home, making his judgment somewhat suspect.) The husband has not allowed a lot of medical testing in the past few years. I have tried to find out what her neurological condition actually is. But the evidence is sketchy, old and conflicting. The Florida court found that most of her cerebral cortex is gone. But "most" does not mean all. There may be some cortex functioning. The severely retarded or brain-damaged can have some consciousness. And we do not go around euthanizing the minimally conscious in the back wards of mental hospitals on the grounds that their lives are not worth living».
Purtroppo, commenta Krauthammer, la legge della Florida porta alle legittime conclusioni prese dalle Corti e gli interventi del Congresso e del presidente nel tentativo di far esaminare il caso della tutela legale di Terri alle Corti federali «è una flagrante violazione del federalismo e della separazione di poteri». L'unica soluzione potrebbe essere un intervento legislativo, a livello statale, che garantisca l'autorità in questi casi non necessariamente al coniuge, come attualmente, ma «all'eventuale parente di grado più vicino, anche se in minoranza, che sceglie la vita e si impegna a prendersene cura».

Una «tragedia indecidibile» quella di Terri, la definisce Daniele Capezzone in un'intervista a Radio Radicale, nella quale critica l'intervento che la politica americana, sia di parte repubblicana che democratica, ha esercitato sulla vicenda. «Lo Stato di queste questioni non deve occuparsi, è bene che se ne occupi il meno possibile la sfera dalla decisione pubblica, il più possibile la sfera della decisione individuale». Un «elemento di consolazione nella realtà americana», al di là del merito, è rappresentato dall'applicazione della common law, che si applica sul caso singolo.

Al centro dovrebbe esserci sempre la volontà della persona interessata. La «tragedia indecidibile» della situazione di Terri Schiavo sta nell'assenza di una sua manifestazone di volontà precedente, nella divisione tra i parenti. Dinanzi a questo, occorre «rispetto, silenzio, fede o pietas». Una «differenza fondamentale» con il caso italiano di Eluana Englaro, in stato vegetativo da 13 anni, per il quale «la scienza assicura che non c'è nessuna possiblità di progresso». Qui la volontà di Eluana è stata chiaramente espressa e tutti sono concordi in questa testimonianza. Capezzone individua quindi degli «spartiacque»: primo, la decisione che deve essere privata e non pubblica; secondo, il problema è l'accertamento della manifestazione di volontà; in mancanza di questo, «se c'è univocità delle testimonianze non ci sarebbero dubbi, il guaio è quando, come nel caso Schiavo, questa chiarezza non c'è».

Tutt'altro ci vuole che stabilire per legge se Terri sia o meno già morta, se il suo stato valga la pena di essere o meno protratto, tutt'altro che imporre la propria visione, di ogni segno, il problema rimane l'accertamento della volontà individuale, le cui modalità e forme devono sì essere stabilite per legge, e nel caso manchi far prevalere l'eventuale disponibilità del parente più prossimo.
Il pericolo insito nell'eutanasia è stato ben individuato da Claudio Magris sul Corriere della Sera di ieri.
Con essa ci «si propone di porre fine all'esistenza di un individuo nel suo interesse, per risparmiargli sofferenze o condizioni giudicate incurabili, irreversibili e intollerabili», ma il rischio si concretizza quando, «in nome della pietà e della dignità umana» essa diviene «inconscia igiene sociale, l'arbitrio di chi, in nome della qualità della vita, afferma che al di sotto di una certa qualità la vita non è degna di essere vissuta e si arroga il diritto di stabilire quale sia tale livello che autorizzi ad eliminare chi non lo possiede o non lo raggiunge».
Il caso Schiavo «non sembra avere a che fare con questo supponente igienismo etico-sociale così frequente nei fautori dell'eutanasia... Il disaccordo fra genitori e marito dimostra quanto sia discutibile affidare la sorte di qualcuno ad altri, solo perché legati da rapporti familiari; non si può disporre della vita di un altro perché lo si è messo al mondo o si è fatto l'amore con lui o con lei.

«Rispetto» è la parola appropriata sia per chi ritiene «la vita umana inviolabile in ogni sua fase, pure la più spenta», ma anche per «chi sente il dovere di porre fine alla condizione disperata di un altro». Ma nel caso di Terri, che, questo sì, sta soffrendo la fame e la sete è «una pura ipocrisia e viltà non praticare una iniezione che ponga subito fine a quelle probabili residue sofferenze».
Oscar Giannino su il Riformista scrive dell'interesse di Papa Wojtyla per il valore della sofferenza umana, «cioè dei limiti entro i quali essa continua a declinarsi nella piena dignità umana, e oltre i quali essa diventa invece indicibile hybris».
Il catechismo cattolico afferma il «no» all'eutanasia, ma «l'astensione terapeutica per evitare l'accanimento di fronte all'irreversibile è altro, e la Chiesa l'accoglie: staccare la spina di fronte alla residua sola attività di parti del tronco encefalico e alla comprovata irreversibile lesione della parte corticale e subcorticale, è altro che praticare iniezioni letali a chi ha paura del dolore o chiede suicidi assistiti.
(...)
E' vero anche quel che scrive Mark Steyn sul Telegraph, che un Occidente liberale che non fa più figli e preferisce la morte dolce alla sofferenza rivela il nichilismo di cui è sempre più impastato.
(...)
Da liberale, non voglio parlamenti di mezzo. So troppo bene che ai terminali o anche solo a tanti anziani parcheggiati negli ospedali la morte, fuori dalle prime pagine, viene da decisioni anonime di medici e paramedici, assai più che da coscienti volizioni dei parenti. Date a tutti il diritto-dovere di procedere al living-will, il testamento biologico in cui disporre di sé contro le ipotesi di accanimento terapeutico. Anche la Chiesa cattolica, nella sua saggezza, è favorevole.
(...)
Nel mio living will non mi faccio staccare la spina, nelle condizioni di Terri. E stilo una casistica precisa delle lesioni cerebrali per le quali staccarla o no: la morte clinica e anche quella cerebrale non è "oggettiva". Potrei intrattenervi con l'uso della scala di Glasgow o di altre, per stimare le conseguenze delle lesioni corticali o mesoencefaliche. Ma è solo per dire che anche della morte non si finisce mai di imparare. Non c'è bisogno necessariamente di credere - anche se aiuta - per impedirsi di vedere altro tra noi e il cielo che la pala del becchino».
Per una volta trovo utile, non è un disonore, citare persino l'Avvenire da cui quasi tutto mi divide, l'editoriale di ieri di Marina Corradi, che non ritiene quello della Schiavo né un caso di «accanimento terapeutico» («Quel tubo» porta solo acqua e cibo, «che non si nega a nessun malato»), né di "eutanasia" («Questa donna non ha lasciato espressa alcuna volontà»).
«In assenza di una volontà si è al di fuori della sfera dell'eutanasia così come è ammessa in Occidente, dove la scelta espressa dal malato è essenziale. Piuttosto, questa storia sembra configurare qualcosa di ancora peggiore. Se Terri Schiavo, in stato neurovegetativo da 15 anni, quindi in modo persistente priva di coscienza, e tuttavia con funzioni vitali autonome, può essere lasciata morire sospendendole acqua e cibo, non è eutanasia, ma soppressione legale dell'"inutile" - del presunto tale.

L'eugenetica dell'inutile, aperto uno spiraglio attraverso i buoni sentimenti e la "pietà" per chi non tollera la sofferenza, potrebbe in progressione facilmente allargarsi. Quanti sono, negli istituti per handicappati, quei ricoverati con lesioni così gravi da poter essere solo nutriti, senza dare un cenno di coscienza? Quanti vecchi vivono i loro ultimi anni persi nella demenza senile, a tutto assenti? Quel tubo staccato senza alcuna volontà espressa dalla malata, senza alcuna macchina da bloccare - quel brusco, semplice dire: basta cibo, e acqua, sono un passo sinistro».
Per concludere, sempre di ieri è l'intervista del Corriere della Sera a Luca Coscioni.
«Il solo pensiero che mi viene in mente in questo momento è pensarmi Terri Schiavo. Pensarmi in un corpo privato di vita e di morte. Anche se non mi è facile pensare che soffro di una malattia che può portarmi alla decisione di attaccare o negare il mio corpo ad una macchina, ad un respiratore per essere ventilato, per poter respirare, altrimenti soffocare. Vorrei semplicemente essere libero di scegliere... La dignità del morire è un diritto che deve essere tutelato e difeso per mezzo della legge».
(...)
A chi spetta la scelta, solo al malato o anche ai parenti quando il malato non ha espresso la sua volontà?
«Nessuno può decidere per lui, naturalmente. La volontà del vivente deve essere espressa in una sorte di testamento nel quale sia chiaro il comportamento che i medici e/o i familiari dovrebbero tenere nei suoi riguardi se si trovasse in condizioni di sofferenza e/o di incoscienza.
(...)
«La mia battaglia riguarda la libertà di ricerca scientifica e, più in generale, la libertà e responsabilità delle scelte individuali, sia quelle relative alla vita che quelle relative alla morte. Anche se non fosse scientificamente provata l'esistenza di una "speranza", sarebbe doveroso rispettare le volontà della persona.
(...)
Un atto di civiltà e carità cristiane. L'eutanasia riguarda innanzitutto se stessi, la scelta sulla propria morte. Intesa In questo senso, non si tratta né di pietà né tanto meno di crimine, ma di autodeterminazione sulla propria vita. Gli "altri" possono intervenire per aiutare una scelta drammatica, quando la persona non è in grado di praticarla da sola, obbedendo alla sua volontà».

No comments: