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Wednesday, March 30, 2005

Terri Schiavo: caso e necessità

Si può essere a favore dell'eutanasia, rispettosi della certezza del diritto e del rispetto delle leggi e costituzioni vigenti, e allo stesso tempo considerare moralmente intollerabile la morte per fame di Terri Schiavo? Cerca di dare una risposta Enzo Reale (1972), in questo articolo pubblicato su Ideazione.com. Una riflessione, forse conclusiva su questo caso, seria e ben argomentata, che cerca delle risposte senza adesioni ideologiche e pregiudiziali. 1972 riconosce che «la rule of law è stata perfettamente rispettata», che la condizione di Terri, sebbene non corrisponda esattamente a quella descrittaci dagli old media americani, perché più simile a una portatrice di handicap che a una malata terminale («non è una malata terminale che sta trascorrendo i suoi ultimi giorni tra indicibili sofferenze»), convince probabilmente molti di noi che la sua vita sia «indegna di essere vissuta», ma sente quanto «la fine decretata per questa donna dai tribunali sia profondamente ingiusta».
«Per rendersi conto che nel caso Schiavo si è saltato almeno un passaggio: se è quantomeno discutibile che la vita vada difesa ad ogni costo e contro ogni evidenza è a maggior ragione opinabile che della vita di un soggetto terzo si possa disporre in base a mere considerazioni di carattere qualitativo.
(...)
la sua vicenda assume ogni giorno di più i tratti di una macabra riedizione della scommessa pascaliana: puntare sull'esistenza di Dio o sulla non-esistenza? Stavolta non è necessario scomodare il Padre Eterno (per chi ci crede) per rendersi conto che nella scelta tra la vita e la morte si è scommesso sulla seconda». Da leggere tutto
Altri post che segnalo qui sotto dimostrano l'alto livello della riflessione sul caso di Terri Schiavo raggiunto dai blog italiani.
«Sembra che vi siano tutti gli elementi di una "tragedia classica", come ha scritto sabato il Foglio, tirando frettolosamente in ballo Antigone. Invece manca l'essenziale. Manca all'intera vicenda, e manca all'uomo contemporaneo, quel senso del destino che permetteva di ammutolire ammirati e atterriti dinanzi alla scelta dell'eroe di infrangersi contro il fato. Per noi, la tragedia non consiste affatto nell'irrevocabilità del destino, ma tutt'al contrario nella nostra possibilità di deciderlo. Il nostro sapere ammutolisce non dinanzi al destino, ma dinanzi a noi stessi: e noi non siamo più grandi nella sconfitta contro gli dei o il fato, come l'eroe tragico, ma piccoli nella vittoria che la tecnica ogni giorno riporta sulla natura.

In fondo, la linea del conflitto di principio che si scatena in tema di eutanasia si può tracciare con facilità: in una prospettiva laica, non vi è alcuna autorità superiore all'individuo che possa decidere nelle questioni che riguardano la sua vita e la sua salute. In una prospettiva religiosa (e in specie cristiana), la vita e la salute di ciascun individuo non sono nella sua intera disponibilità. Questo conflitto non è risolubile, e si può solo sperare che chi difende una prospettiva religiosa accetti che uno Stato laico non la assuma tal quale e non la traduca in principi normativi. Ma quel che vicende come questa di Terri Schiavo insegnano, è che non c'è più un sapere adeguato alla nostra esperienza del morire. Rileggete Montaigne: non è più vero che il morire sia la più autentica e decisiva delle esperienze, e che ci si possa e ci si debba rapportare alla nostra morte tra le mura del nostro castello interiore; ma non è vero neppure che la natura ci istruirà sul campo, così che non dobbiamo darcene pensiero. Non c'è più una verità del morire: non ci sono più istruzioni, e non c'è più un destino. E così, non solo non sappiamo quando Terri Schiavo morirà, ma non sappiamo neppure quando sapremo di nuovo morire».
Massimo Adinolfi
«... in una società dove convivono opinioni diverse e persino antitetiche a proposito del tema dell'eutanasia, è necessario trovare laicamente (e come altrimenti?) una prospettiva comune per determinare una legislazione in proposito. È a questo punto che Terri Schiavo (pace all'anima sua) diventa inutilizzabile da qualsiasi parte la si voglia tirare: là tutta la questione, in presenza di leggi che autorizzano il diritto dei singoli a non essere rianimati, si riduce a un conflitto di competenze tra familiari e alla natura specifica delle condizioni cliniche della donna; qui da noi il punto non può essere tifare per la morte della Schiavo (il problema, etico, se lo porranno semmai il marito, i genitori e i giudici chiamati a deliberare in proposito e se la vedranno con la loro coscienza) o per il fatto che possa sopravvivere alla settimana (e poi?), ma semmai provare a trovare un punto d'equilibrio passabilmente condivisibile per dirimere questioni analoghe che potessero sorgere, e già sorgono.
Far finta di essere sani
«Se proprio vogliamo stare all'etimo della parola, eutanasia significa buona morte (o morir bene). Una buona morte non è necessariamente una morte volontaria, né una morte volontaria (un suicidio, ad esempio, o anche un suicidio assistito) è necessariamente un caso di buona morte. Non credo, ad ogni modo, che convenga far passare per una decisione sul significato della parola vicende come quella di Terri Schiavo, discutendo se sia o non sia eutanasia. Posso concedere che, dato un significato di eutanasia ristretto in un certo modo, non si tratta di eutanasia nel caso di Terri. Ma ciò non toglie che l'oggetto della discussione è se sia legittimo o meno sospendere l'alimentazione e l'idratazione in casi come quello di Terri. Insomma: (1) c'è chi ritiene che la "buona morte" non è mai legittima, che si sia manifestata o meno la volontà dell'individuo; (2) c'è chi ritiene che sia sempre legittima, quando la volontà dell'individuo si è manifestata in tal senso; (3) c'è chi ritiene che sia legittimo, quando la volontà si sia manifestata e sussistano determinate condizioni di vita e di salute; (4) c'è infine chi ritiene che sia legittimo, quando sussistano determinate condizioni di vita e di salute, che la volontà si sia manifestata o meno. Chiamateli i casi 1 2 3 e 4, invece che eutanasia, e discutete. (Il caso Terri impegna 1 e 4)».
Azione Parallela

1 comment:

Anonymous said...

Grazie
Massimo Adinolfi (e Azione Parallela)