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Wednesday, March 02, 2005

La libertà, la nostra arma più letale

I libanesi in piazza piantano le tendeSu Libano ed "effetto domino" in Medio Oriente: Ledeen, Taheri, Panella, Panebianco, Rocca

E' il titolo dell'articolo di Michael Leeden su National Review. Siamo nell'era della seconda rivoluzione democratica. La prima è partita dalla Spagna oltre 30 anni fa, investendo il Portogallo, l'America Latina, l'Europa dell'Est, poi la caduta dell'Unione sovietica e le prime democrazie in Africa e Asia. Oggi - dopo la pausa degli incerti anni '90 - il mondo arabo. Il ruolo degli Stati Uniti è stato ampiamente positivo, come quello di figure rivoluzionarie come Reagan, Walesa, Havel, Thatcher, Giovanni Paolo II, Bukovsky, Sharansky... E il ruolo della forza militare, non va negato.
«While most of the revolutions have been accomplished with a minimum of armed force, military power has been used on several of the battlefields, and not only in the recent cases of Afghanistan and Iraq. It is often said that the Cold War was won without firing a shot, but that is false... The repeated defeats of Soviet proxies and the Red Army itself were important in shattering the myth that the laws of history guaranteed the ultimate triumph of communism. Once that myth had been destroyed, the peoples of the Soviet Empire lost their paralyzing fear of the Kremlin, and they risked a direct challenge».
Allo stesso modo con cui è caduto il mito del comunismo sovietico...
«... the defeats of the fanatics in Afghanistan and Iraq, followed by free elections in both countries, destroyed two myths: of the inevitability of tyranny in the Muslim world, and of the divinely guaranteed success of the jihad. Once those myths were shattered, others in the region lost their fear of the tyrants, and they are now risking a direct challenge».
Il compito dell'occidente è sostenere quanti rivendicano libertà e democrazia. Un supporto innanzitutto politico - da parte dei nostri leader, sostenendo radio, tv e blogger, assistenza finanziaria agli scioperanti - ma anche militare. La via che deve essere intrapresa è quella di referendum nazionali per la scelta della forma di governo in Iran e in Siria, Egitto, Arabia Saudita.
«Our most lethal weapon against the tyrants is freedom, It would be tragic if we backed off now, when revolution is gathering momentum for a glorious victory. We must be unyielding in our demand that the peoples of the Middle East design their own polities, and elect their own leaders».
Il Corriere della Sera di oggi traduce invece un articolo di Amir Taheri: «Dopo la liberazione dell'Iraq, quanti aspettavano che il Medio Oriente imboccasse la via della democrazia hanno iniziato a domandarsi: chi sarà il prossimo?». Appena un mese fa, chiedere la fine della presenza militare siriana sarebbe stato «inconcepibile» in Libano, significava «firmare la propria condanna a morte», ma dopo gli ultimi eventi in Medio Oriente, grazie al nuovo vento che spira, la spirale del silenzio e della paura è stata spezzata e per ora i dittatori non possono ricorrere neanche alla repressione in campo aperto. «Il terrore ha cambiato casa— dichiara Walid Jumblatt, il capo druso avviato a diventare il leader dell'opposizione libanese all'occupazione siriana —. È giunto il momento che sia l'occupante ad avere paura».
«L'assassinio di Hariri non ha introdotto un nuovo elemento nella politica libanese: il potere del popolo. Trascinati dall'onda delle libere elezioni in Afghanistan, Iraq, Cisgiordania e Gaza, libanesi di tutte le comunità si erano messi in marcia contro la soffocante presenza siriana già prima dell'omicidio di Hariri».
La politica della Siria in Libano è stata finora totalmente nelle mani del presidente Bashar Assad. Quindi Taheri prova a dipingere il prossimo scenario in Libano anticipando le intenzioni di Siria e Iran.
«Il presidente siriano e i mullah concordarono la linea della "resistenza all'egemonia americana" su tutti i fronti, primo fra tutti l'Iraq, dove occorreva prolungare il più possibile una guerra di "bassa intensità"... Le mosse di Assad in Libano sono ispirate alla tattica del "concedi e ritratta", per anni utilizzata da Saddam Hussein e dai mullah di Teheran: consiste nell'offrire concessioni minime per uscire da una situazione difficile e spostarsi rapidamente in uno spazio più praticabile... Una distensione all'interno del governo libanese per consentire così ai suoi alleati di organizzare in primavera elezioni generali dalle quali emerga un Parlamento disposto ad accettare la presenza siriana. La comunità internazionale dovrebbe fare attenzione a questa tattica... Occorre esercitare pressioni affinché la Siria mantenga l'impegno di completare il ritiro entro la fine di marzo, prima dell'inizio della campagna elettorale libanese; e bisogna fare in modo che le elezioni si svolgano nel rispetto della legge, al sicuro dai maneggi di Damasco. Dovranno essere garantite da un governo tecnico insospettabilmente neutrale e sottoposte a un rigoroso controllo internazionale».
Anche Carlo Panella, su Il Foglio, prova ad analizzare gli sviluppi della situazione libanese e a tracciare uno scenario, puntando l'indice su cosa faranno gli sciiti libanesi e gli hezbollah, una compenente maggioritaria, un "partito siriano" nel Paese.
«Tutto il sud del Libano è nel pieno dominio delle sue milizie e delle sue strutture. Tutta la frontiera con Israele è presidiata da Hezbollah in armi che dirige anche il piccolo gruppo palestinese del jihad islamico, autore della strage di Tel Aviv della settimana scorsa».
Hezbollah agisce come parte dell'"Internazionale sciita" che incita alla Rivoluzione islamica. Teheran che «gioca di sponda con Damasco». Il presidente libanese Emile Lahoud che dovrà formare il nuovo governo è controllato dalla Siria. Per fortuna, c'è la strana stretta alleanza tra Washington e Parigi.

L'editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera fornisce una lettura dell'insieme che si sta confermando settimana dopo settimana. Dietro a tutto, occorre riconoscerlo, la «concezione visionaria» dei neocon e di Bush.
«La guerra in Iraq ha messo ora in moto potenti forze che scuotono l'area. Le prime elezioni libere in Iraq e in Palestina stanno scatenando un'onda democratica, un effetto di contagio, destinato a durare... la falla si è aperta e chiuderla, per i tiranni mediorientali, non sarà facile. È difficile negare che dietro a tutto questo ci sia la concezione visionaria di chi, dopo l'11 settembre, ha pensato che solo spingendo il Medio Oriente verso la democrazia fosse possibile, in prospettiva, essiccare le fonti del terrorismo islamico. Può essere che tra dieci anni accada a George Bush ciò che è accaduto a Ronald Reagan, il vincitore della guerra fredda».
Quelli che hanno condannato la guerra in Iraq hanno il diritto di continuare a pensare che fosse sbagliata o immorale, ma adesso devono aprire gli occhi e riconoscere che la «storia è di nuovo in cammino», e che «compito di noi occidentali è fare il possibile per aiutare il mondo arabo a liberarsi delle sue catene».

Un vero statista intervistato dal Guardian parla dei cambiamenti che si stanno verificando in Medio Oriente e sulla Siria non ha dubbi: per Assad è l'ultima chance. David Ignatius scrive oggi sul Washington Post che il sistema tirannico che opprime il mondo arabo è arrivato al punto di rottura, sembra non aver retto allo "stress" della fine del regime di Saddam in Iraq. Ma la forza reale che lo sta per buttare giù è l'incazzatura della gente. Ma un momewnto di rottura è sempre pericoloso e non è il momento di trionfalismi. L'America può aiutare, ma è la loro rivoluzione
«There's no stopping the Middle East's glorious catastrophe now that it has begun. We are careening around the curve of history, and it's useful to remember a basic rule for navigating slippery roads: Once you're in the curve, you can't hit the brakes. The only way for America to keep this car on the road is to keep its foot on the accelerator».
Su Il Foglio un interessante articolo descrive le tattiche non violente della piazza libanese: gli sms. Alcune frasi del pubblicitario Mazen Khaled:
«La nostra unica possibilità di salvezza passa attraverso il rifiuto della violenza. Noi libanesi abbiamo sempre preferito accusare gli altri delle nostre disgrazie, dicendo, ad esempio, che la guerra non era scoppiata per colpa nostra: in parte forse è vero, ma nelle strade eravamo noi col fucile in mano. Oggi credo sia arrivato il tempo della maturità, il momento di essere sinceri con noi stessi e parlare di tutto... Per la prima volta i libanesi vanno in piazza uniti da ideali, non da appartenenze religiose... A una manifestazione c'erano due signori di mezza età, che per un po' si sono scrutati. Alla fine uno è andato verso l'altro: "Ti conosco, tu durante la guerra stavi all'hotel Phoenicia e hai ucciso molti miei amici". Poi l'ha abbracciato».
Christian Rocca su Il Foglio raccoglie in un unico articolo i recenti e sbalorditivi «revisionismi d'occidente e d'oriente» sul pensiero neocon e la dottrina Bush. Colpaccio di Giulianone, che al mercato di riparazione acquista David Frum come columnist.

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