In migliaia di casi siamo in presenza di tali volontà, o quanto meno se ne può discutere. Ma non nel caso di Terry Schiavo. Pur volendo tralasciare i sospetti che in queste ore ricadono sul marito - l'unico testimone della presunta volontà della donna, espressa vedendo un film, ma riferita dall'uomo solo dopo 7 anni dall'inizio dello stato vegetativo - sempre di una delega si tratta. Si può delegare la gestione di un azienda, di un terreno, delle proprietà, perfino le scelte sulle cure mediche di cui si ha bisogno, ma non la decisione sulla propria vita o la morte. Prima che dal punto di vista religioso ed etico (ognuno ha le sue convinzioni), scientifico o giuridico, praticare l'eutanasia in questo caso sarebbe illiberale.
Sono sconcertanti le dichiarazioni di Silvio Viale di Exit-Italia, secondo il quale addirittura non si tratta di eutanasia, Terry è già morta punto e basta. Chi è a dirlo? Lui, naturalmente. Come mai allora sente la necessità che sia una nuova legge a stabilirlo?
Nel caso di Terry «non si tratta di porre fine volontariamente alla propria vita, come nel caso dell'eutanasia, ma di prendere atto che la vita è ormai finita e che occorre certificarlo... La legge dovrebbe riconoscere, dopo un congruo lasso di tempo (?), che negli stati vegetativi permanenti siamo di fronte ad una condizione irreversibile di morte, come accade per quella "cerebrale", che permettere di procedere ai trapianti».Stupisce con quanta sicurezza egli affermi che:
«Le funzioni cerebrali che presiedono alla vita vegetativa sono variamente funzionanti, ma quelli della coscienza sono completamente compromessi. Così, può chiudere gli occhi per dormire ed aprirli per svegliarsi; se qualcosa va in gola, può stimolare il riflesso della tosse; insomma una vita da vegetale senza più alcuna possibilità di recupero della coscienza».Insomma, chi può dire se la coscienza ancora abiti o meno in Terry? Certo, ci verrà detto che la coscienza è legata all'attività cerebrale, ma sono questi gli approcci che vanno evitati. Se l'embrione sia o meno già persona, se Terry sia o meno già morta, sono questioni che appartengono alla sfera della coscienza e delle convinzioni individuali di ciascuno, mentre il punto è che è illiberale imporre per legge l'una o l'altra visione. Chi può decidere se la vita di un uomo, per quanto menomata e sofferente, valga la pena di essere vissuta, se non quell'uomo e, per chi ci crede, Dio. Né medici, né giudici, né parlamenti, né parenti.
Nell'assenza di una accertabile manifestazione di volontà, nei pareri dei familiari che divergono, in un caso che non è di accanimento terapeutico, in tutto questo sta il destino tragico, cinico e baro, di Terry Schiavo. Il suo nodo è impossibile da sciogliere.
L'eutanasia è un atto di pietà e di dignità, e in Italia esiste un'eutanasia clandestina (come un tempo l'aborto), praticata tra ipocrisie e torbide contrattazioni negli ospedali, dove spesso la volontà del moribondo viene ignorata. Un individuo adulto e consenziente puo' rifiutare una cura per una malattia non infettiva e che non procura danni ad altri e scegliere così di porre fine alla propria vita. Un individuo ha tutto il diritto di prendere in autonomia decisioni che riguardano il proprio corpo e la propria vita, inclusa quella di porvi fine. Certo che serve una legge, ma non per stabilire se lo stato vegetativo sia o meno già morte, o quando valga la pena o meno di lasciarsi morire. Piuttosto dovrebbe limitarsi a legalizzare l'opzione dell'eutanasia come libera scelta individuale, regolamentando i casi, le forme e i modi dell'accertamento dell'avvenuta scelta estrema.
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