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Saturday, November 20, 2004

Filosofia della spesa pubblica

«Lo Stato moderno è la grande finzione attraverso la quale ciascuno cerca di vivere a spese di tutti gli altri» (Frédéric Bastiat).
Da questa citazione parte il ragionamento di Piero Ostellino sul Corriere di oggi.
«I diritti costano, tanto quelli sociali, quanto quelli di proprietà. Per godere di un diritto, occorre rinunciare a qualcos'altro. Tagliare le spese, per abbassare le tasse, comporta la riduzione di alcuni diritti. (...) I diritti di proprietà - producendo ricchezza tassabile - si autofinanziano, cioè coprono i costi che lo Stato sostiene per difenderli (ad esempio, dalla criminalità). I diritti sociali del welfare non sono - a differenza di quelli di proprietà - un diritto naturale, bensì una garanzia "aperta", collegata al livello di tassazione e, quindi, alla varietà (e variabilità) delle scelte politiche».
Sui costi dei diritti sociali la sinistra «chiude gli occhi», la destra si chiede se ne «valga la pena», ma la vera questione è «quanto» e «come». Lezione di filosofia economica e politica:
«Il comunismo, che si proponeva di neutralizzare l'influenza che la disparità di condizioni economiche ha sulla allocazione dei diritti, ha prodotto storicamente un potere dello Stato così grande e arbitrario da rappresentare un rimedio peggiore delle disuguaglianze che avrebbe dovuto eliminare. L'accumulazione asimmetrica della ricchezza è giustificabile e giustificata dai princìpi della democrazia liberale perché, in un sistema capitalistico e di libero mercato, essa genera un vantaggio per l'intera collettività (sviluppo economico, creazione di nuovi posti di lavoro, miglioramenti salariali, eccetera). Perciò, un governo saggio non concepisce il fisco né come "confisca", né come "redistribuzione" della ricchezza, bensì come un costo flessibile e negoziabile».
Infine Ostellino indica le cause delle difficoltà di Berlusconi:
«Non aver saputo divulgare pubblicamente questi semplici concetti; non aver saputo spiegare che le spese che si volevano ridurre non erano tanto quelle sociali, quanto quelle che producono privilegi ai gruppi sociali meglio organizzati; aver sacrificato la capacità di governare alla stabilità e alla conservazione degli equilibri fra i diritti esistenti».
Ma la «cultura di sinistra» non ha ancora capito, anzi accettato, la realtà che:
«Compito di un welfare davvero efficace dovrebbe essere di aiutare i meno fortunati ad accrescere la propria capacità di iniziativa individuale, evitando di relegarli in una sorta di permanente "dipendenza" dalla collettività. (...) Così che i diritti sociali assomiglino sempre più ai diritti di proprietà, cioè diventino un vero strumento di libertà».

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