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Monday, November 08, 2004

Non è il momento di piangere...

... ma di rimboccarsi le maniche. L'ex presidente Bill Clinton commenta la vittoria di Bush. E' lucido e consapevole, sembra quasi che vi fosse preparato da tempo. Non c'è da disperarsi, ma da lavorare, quello sì. Clinton sa che non esistono due Americhe, che esistono delle divisioni anche nette - e se non ci fossero in democrazia ci sarebbe da preoccuparsi - sull'Iraq come sulle moral issues, per citare solo un paio di esempi, ma sa che, quando si tratta della sicurezza e del potere americano, l'America è una.
«Eravamo il partito di Franklin D. Roosevelt, siamo diventati il partito del regista Michael Moore», ha osservato con amarezza l'ex-capo dello staff alla Casa Bianca Leon Panetta. Ecco, diciamo che i Dem. si sono illusi che potesse esistere un'America alla Michael Moore.

Attrezzarsi ideologicamente. Kerry ha dato l'impressione che come presidente avrebbe sì liberato gli americani dal peso della dottrina Bush, ma senza sostituirla con un'altra che non si limitasse a promettere un impegno generico nella protezione della sicurezza e degli interessi americani. Ma l'America è in guerra e questo lo percepiscono tutti gli americani. Chiedono quindi una leadership portatrice di una visione "morale" salda, e ritengono insufficiente affidarsi al pragmatismo caso per caso per combattere un nemico così attrezzato ideologicamente. Questa visione "morale" comprende il fattore religioso, ma non si esaurisce in esso. Vi rientrano la guerra al terrorismo e quelle motivazioni, che non possono non essere "morali", di cui gli americani sentono il bisogno di ri-attrezzarsi per poter affrontare un nuovo scontro ideologico.

Clinton stesso riconosce quindi che i democratici hanno mancato nell'offrire tale visione, distanziandosi, agli occhi degli elettori, da valori di fondo e sentimenti contingenti di ogni americano. Non è un dramma, spiega l'ex presidente parlando allo Urban Land Institute di New York:
«Coraggio, non va così male, abbiamo solo bisogno di migliorare la nostra immagine (...) Se permettiamo ai conservatori di far credere alla gente che il nostro partito non crede nei valori della famiglia e della fede, nel lavoro e nella libertà, la colpa è solo nostra. (...) I democratici devono avere un messaggio chiaro: in questo modo renderemo difficile ai nostri avversari dipingere i nostri candidati come la personificazione del male. (...) Bisogna ammetterlo, quest'anno i repubblicani sono riusciti a trovare un messaggio chiaro, un bravo comunicatore, una grande organizzazione e una strategia efficace. La loro forza è stata quella di spingere al voto quegli elettori registrati che prima disertavano le urne».
Tuttavia, osserva Clinton, la rielezione di Bush «offre grandi opportunità sia allo stesso Bush sia al partito democratico. E le due cose non sono necessariamente in contraddizione». Tra le speranze espresse da Clinton, c'è quella che Bush si sforzi, durante il suo secondo mandato, di rendere l'economia americana meno dipendente dal petrolio straniero e si adoperi per aiutare israeliani e palestinesi a trovare un accordo di pace. Compito che potrebbe essere agevolato dall'uscita di scena di Yasser Arafat. Così due delle migliori frecce nell'arco dei fondamentalisti islamici risulterebbero spuntate.

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