Pagine

Wednesday, November 10, 2004

Altro che Bush fondamentalista, guardiamo a casa nostra

Lucidissima analisi elettorale di Christian Rocca (Il Foglio) su che cosa sia andato storto per i democratici, su quanto siano campate in aria le analisi sul neofondamentalismo religioso degli americani e sul paese diviso perfettamente a metà.
I democratici hanno perso il contatto con l'America:
«Gli Stati Uniti sono un paese in continua crescita e con un popolo in perenne movimento. La gente lascia le città e si trasferisce a ritmi impressionanti alla ricerca di migliori condizioni di vita, di lavoro, di spazio. Nascono nuove comunità, nuove città e i quartieri suburbani delle metropoli sono circondati da un'ulteriore cintura residenziale. (...) David Brooks ieri sul New York Times ha scritto che quando i democratici ne parlano usano tutti gli stereotipi possibili, descrivono una vita materialista, vuota e conformista. Secondo Brooks, invece si tratta della parte più vitale della società americana, gente che lascia mutui, pendolarismo, difficoltà e strutture sociali stressate per andare in posti con ampi spazi, magari facendo un salto nell'ignoto, in città che ancora non sono state costruite, ma che promettono una prospettiva, un futuro, tasse basse e lavori pionieristici nel campo della bio e della nanotecnologia: "I repubblicani hanno vinto anche perché Bush e Rove hanno capito questa cultura". E' la conquista del West che non s'è mai fermata, è la conferma che lo spirito della frontiera non ha mai abbandonato gli americani.

Eppure è come se i democratici non vedessero questo dinamismo, non parlassero a questa gente, come se disprezzassero chi insegue il sogno di una vita tranquilla e a misura familiare. Come sia possibile che i democratici abbiano perso il contatto con l'America e siano rimasti confinati nelle riserve metropolitane è l'argomento di dibattito di questi giorni. (...) Con la medesima mancanza di contatto con la realtà americana che hanno dimostrato il 2 novembre ora tendono a semplificare le ragioni della sconfitta. (...) Finché non capiranno in pieno che cosa è successo il 2 novembre (e l'11 settembre) sarà difficile che riescano a elaborare una strategia per uscire dall'isolamento».
L'America non è diventata una nazione di fondamentalisti religiosi in preda alla paura. E' solo il nuovo trip intellettuale di chi si sente superiore antropologicamente:
Il 60% degli elettori è favorevole a qualche forma di riconoscimento legale per le coppie omosessuali, con il 25% favorevole ai diritti matrimoniali e il 35% alle unioni civili. Se la percentuale di elettori che quest'anno ha detto di aver votato per i "valori morali" è davvero del 22%, quattro anni fa fu del 49%, come anche nel 1996, quando fu eletto Clinton.
«Bush ha aumentato i consensi rispetto a qualsiasi categoria di elettori. (...) Insomma dire che la coalizione bushiana sia dominata dai fondamentalisti della Bibbia è una stupidaggine autoassolutoria, oltre che una palese dimostrazione di scarsa conoscenza del pluralismo religioso e dello spirito individualista del cristianesimo americano. (...) Anche Bush, come i democratici, dovrà stare attento a leggere bene i dati, perché se dovesse governare abbracciando l'agenda politica della coalizione cristiana rischia di sfaldare la maggioranza repubblicana, che "è moderata, non morale" come ha scritto ieri sul Washington Post, E. J. Dionne jr».
Quali rimedi? I clintoniani provano ad indicare la strada:
«Il Democratic Leadership Council ha diffuso un'analisi del voto straordinaria quanto a schiettezza e acutezza. Non ha perso tempo ad accusare il candidato Kerry, né a demonizzare il presidente né a insultare gli elettori. Su questa stessa linea c'è anche la stella nascente del partito, il neosenatore nero dell'Illinois, Barack Obama, il quale domenica a Meet The Press ha detto che Kerry ha perso contro "un presidente di guerra molto popolare" e che i repubblicani avevano "una delle migliori squadre politiche che si siano mai viste in America". Il documento dei clintoniani si chiede "che cosa sia accaduto" e dice subito che i democratici non hanno scuse facili per questa sconfitta: "Avevamo un forte e intelligente candidato, migliori candidati in giro per il paese, eravamo pieni di soldi, con la migliore organizzazione di tutta la nostra vita, un entusiasmo straordinario e la più grande unità nel partito che si ricordi a memoria d'uomo. Abbiamo affrontato un presidente vulnerabile, con un cattivo record... con tanti fallimenti a carico... E con Ralph Nader elettoralmente nullo". Il risultato, riconoscono, è stata un'enorme vittoria per i repubblicani e la conferma della lenta ma significativa erosione dei democratici. Per uscirne, scrivono i clintoniani, "non basta spostarsi meccanicamente a sinistra o a destra, né raccogliere più soldi né mobilitare i militanti né cambiare i vertici del partito né trovare magicamente candidati carismatici. Iniziare una battaglia per l'anima del partito o accusare qualcuno sarebbe una assoluta perdita di tempo"».
I clintoniani individuano tre deficit di credibilità: sicurezza nazionale; programma di riforme; valori e cultura:
«I democratici, scrivono i clintoniani, "hanno bisogno di una strategia che raggiunga il cuore dell'America con un messaggio positivo che scaldi sia i cuori sia i portafogli"».
E oggi Christopher Hitchens su Slate offre un'intelligente provocazione. Bush, più dei democratici, si batte per la laicità nel mondo:
«George Bush may subjectively be a Christian, but he—and the U.S. armed forces—have objectively done more for secularism than the whole of the American agnostic community combined and doubled. The demolition of the Taliban, the huge damage inflicted on the al-Qaida network, and the confrontation with theocratic saboteurs in Iraq represent huge advances for the non-fundamentalist forces in many countries». Leggi tutto

No comments: