Nell'analisi del Foglio, Berlusconi che «immalinconisce» nell'ammettere di non aver potuto attuare la riforma fiscale che aveva promesso agli italiani («Avrei osato di più, ma non ho il 51 per cento dei consensi, e queste sono le mie truppe», e la decisione maturata mercoledì:
«... la fine di una stagione: riduzione delle tasse sui redditi rinviate al 2006 (a tempo scaduto, ne sentiremo gli effetti sulla denuncia dei redditi 2007); in cambio via libera alle richieste concertative dei tre sindacati degli imprenditori – guidati dalla zazzeruta Confindustria di Luca di Montezemolo – e alle rivendicazioni postdemocristiane degli onorevoli Gianni Alemanno e Marco Follini. Qualcuno dice che era inevitabile. Ecco Tito Boeri, professore di economia alla Bocconi, animatore del sito lavoce.info: "Era una decisione obbligata. Con quella situazione finanziaria, non si poteva fare altrimenti. E' stata una scelta di realismo".Come predisse Marco Pannella, è ormai chiaro a tutti che Berlusconi è solo l'ultimo in ordine di tempo, il "salvatore", del regime:
Ma non era il realismo la posta iniziale con cui il Cav. si era seduto al tavolo della politica dieci anni fa. Berlusconi aveva vinto le elezioni del 1994 e poi quelle del 2001 con una carica eversiva di liberismo temperato da padano buonsenso. E oggi sono proprio i liberisti i più immalinconiti. Dice Alberto Mingardi, direttore della Fondazione Bruno Leoni: "La fine del berlusconismo era già avvenuta. Mercoledì, però, abbiamo assistito al funerale solenne. E' vero che il programma di governo del centrodestra era articolato su cinque punti, ma la riduzione della pressione fiscale era la cosa più importante, quella su cui Berlusconi aveva costruito il suo consenso"».
«Nell'assestamento dei rapporti di forza nel sistema politico, finanziario e industriale, è sembrato abdicare al suo ruolo di outsider preferendo una specie di integrazione che molti suoi sostenitori vorrebbero scoraggiare: pensano che oggi Berlusconi faccia parte del sistema. Dice Mingardi: "E' facile individuare il primo errore. Ha vanificato il suo momento d'oro nei primi cento giorni. Era allora che poteva fare tutto. Invece è sembrato concentrarsi su una scaletta il cui ordine di priorità non era l'economia, ma quelle difficoltà personali che riteneva gli fossero d'ostacolo per ben governare. Ma è da lì che è cominciata la lenta agonia del suo governo».Giuliano Ferrara chiama Berlusconi, e quei «guerrieri» che nel '94 «riaprirono in Italia la questione delle libertà, per poi dimenticarsela» al «grande discorso pubblico», ad intraprendere una «guerra culturale». Per ora però, deve ammettere ciò che nel 2006 si potrà facilmente constatare:
«L'Italia è sempre più la stessa, le corporazioni trionfano nella concertazione e nel mediocre scambio di interessi contingenti, nessuna radicale misura di taglio della spesa pubblica improduttiva è stata varata, nessun serio ridimensionamento della pressione fiscale su imprese e redditi ha visto la luce, la giustizia è sempre immersa nel suo degrado borbonico così lontano dal modello anglosassone, dodici anni dopo l'entrata in politica del Cav. stenta a farsi largo, a parte qualche segnale sporadico, una vera e solida nuova classe dirigente, sia a destra sia a sinistra (sono più attrezzati, a sinistra, ma privi di idee e qualche volta un po' loschi)».
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