Con i soliti esperti che vedendo ogni volta smentite le loro fosche previsioni continuano a fare i pompieri sulle fiammelle di ottimismo se la prendono Robert Kagan e William Kristol dalle pagine del Weekly Standard. Stavolta è un lavoro particolarmente duro spiegare perché elezioni pacifiche di un'assemblea nazionale in una democrazia araba completamente indipendente non rappresentino una svolta. C'è qualcuno a sinistra che senza ambiguità e distinguo celebra l'«eruzione della democrazia nel cuore del mondo arabo»? Non è forse uno «spartiacque» l'elevata partecipazione dei sunniti al voto?
La strategia antiguerriglia adottata dalle forze americane impegnate sul campo e sempre maggiori truppe irachene finalmente operative hanno creato un contesto di maggiore sicurezza nel quale più iracheni hanno trovato il coraggio di recarsi alle urne. Era la paura di essere uccisi, non la contrarietà al processo democratico, che teneva lontani anche molti sunniti.
E siamo sicuri che non si tratti di un punto di svolta anche per l'intera regione? Un insegnante sciita ha detto al Los Angeles Times di essere «orgoglioso come iracheno perché il nostro paese sta diventando un centro di attrazione per tutti i paesi arabi. La nuova situazione in Iraq, il sistema democratico, sta iniziando a esercitare pressione sui sistemi arabi perché si faccia qualche cambiamento verso la democrazia». Kagan e Kristol osservano che «tali considerazioni non possono ancora essere liberamente espresse nelle sale di Washington e New York. Ma sembrano avere senso nell'Iraq di oggi».
Anche il "pragmatico" Kissinger ritiene «plausibile» la strategia di Bush in Iraq e avverte che «la pazienza, questo la storia insegna, è prerequisito indispensabile per la vittoria...». L'ex segretaio di Stato affronta in modo pragmatico lo spinoso tema del rientro delle truppe, spiegando che questo non deve dipendere da fattori di politica interna.
Il ruolo delle nuove truppe irachene non dovrà essere di sostituire quelle americane, ma di affiancarsi a quelle della coalizione. E il grado della loro preparazione non dev'essere misurato tanto in abilità tecniche quanto nella consapevolezza di ciò per cui combattono, cioè la difesa del processo politico democratico e degli interessi della nazione, e non regionali o etnici.
Kissinger rilancia la sua proposta di un gruppo di contatto per la stabilità della regione che includa i paesi europei alleati chiave, India, Pakistan, Turchia e i paesi confinanti con l'Iraq. Perché il processo politico in Iraq non avrà successo finché non verrà «ancorato» a un qualche consenso internazionale, non in ossequio al multilateralismo, ma per determinare un nuovo sistema regionale condiviso.
3 comments:
in verità i sunniti erano distanti dal processo politico perchè credevano che si stesse operando per sfavorirli (vedi: debaathificazion). Quando ai sunniti è stata data l'ancora per entrare nel processo politico, questi sono entrati. Fino a quando quest'ancora non è stata lanciata, hanno combattuto.
Tutto in linea con Clausewitz.
Ciao, aa.
una cosa su kissinger
un sistema regionale condiviso vuol dire stabilità
ma non credo sia la stabilità (in senso stretto) ciò di cui abbiamo bisogno
in un regime di stabilità gli americani hanno visto esplodere due ambasciate in africa, crollare le twin towers e un'ala del pentagono
si chiamava grande medio oriente, la nuova idea di bush, no? beh, a parte la dose necessaria di pragmatismo dovuta all'esistenza dei vicini di casa, non credo che una stabilizzazione kissingeriana che sembra voler essere un percorso verso la ri-stabilizzazione sia utile
o no?
La penso come te Corrado, era per sottolineare la posizione di Henry sul rientro delle truppe e sulla "pazienza" necessaria.
ciao
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