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Thursday, December 15, 2005

Civiltà cattolica sbaglia bersaglio

Al solito, un problema di equazioni sbagliate. La «retorica» di Bush «sulla guerra mondiale contro il terrorismo è politicamente controproducente, perché porta acqua al mulino di quegli stessi che pretende di combattere». Lo scrive sul prossimo numero di Civiltà cattolica Christian Mellon, che mostra di non aver capito gran ché:
«Globalizzare la nozione di terrorismo, negando la specificità di ognuno dei "diversi terreni" del terrorismo, significa fare precisamente quello che vogliono gli islamici radicali; annettendo in qualche modo alla strategia non legata al territorio di al-Qaeda azioni che sono invece molto legate al territorio, si aiuta Bin Laden e i suoi seguaci a consolidare il mito di un'unica impresa di opposizione frontale, su scala mondiale, tra l'umma musulmana e un Occidente demonizzato in blocco. Parlare di "guerra mondiale al terrorismo" significa favorire uno degli obiettivi che si può attribuire all'islamismo più radicale: dare ragione alla celebre tesi di Huntington sullo scontro di civiltà: non basta dire che tale tesi ha scarso fondamento bisogna anche agire in maniera tale che essa non finisca per realizzarsi».
Non è sottolineando il carattere mondiale dello scontro, o la comune matrice del terrorismo, che si avvalora la tesi dello scontro di civiltà. Il presidente Bush, gli esponenti della sua amministrazione, gli intellettuali di riferimento, non hanno mai parlato di scontro di civiltà o di religione. Hanno sempre sostenuto anche in articoli e documenti, come per esempio i consiglieri per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Stephen J. Hadley e Frances Fragos, la natura politico-ideologica dello scontro. Un confronto non fra culture ma fra sistemi politici e modelli di convivenza. Di scontro di civiltà e di religione si è parlato molto di più in Italia. Più equivoche le posizioni della Fallaci, di Pera e di Ferrara, qualche gaffe - prontamente corretta - di Ratzinger.

Più convincenti i suggerimenti dell'editoriale.
«Privilegiare piuttosto la sicurezza o piuttosto la libertà, accettare rischi più o meno gravi, andare più o meno lontano nelle misure eccezionali dipende da opzioni politiche ed etiche», ma «se una società democratica ne discute serenamente, se per tutelare i propri principi resiste ai richiami dovuti ai timori per la sicurezza pubblica, se rifiuta di farsi dettare le proprie opzioni politiche, nazionali e internazionali, per il timore di eventuali attentati, accetta con successo la sfida terroristica».

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