La critica di Kagan è rivolta ai Democratici ma anche agli annunci prematuri e alle promesse provenienti da alcuni funzionari dell'amministrazione Usa. E parla di «errore comprovato» del Pentagono nell'aver creduto che il numero di truppe necessarie alla stabilizzazione dell'Iraq potesse essere uguale a quello impiegato per invaderlo.
«The U.S. force was too small at the beginning and remained too small for most of the past two years. As a result, it did not play the role that an occupying force must play in bringing stability to the country, the prerequisites to producing a secure Iraq capable of standing on its own feet...»Uno che si è fatto un'idea precisa è Victor David Hanson: «Quasi tutto ciò che è stato scritto sull'Iraq non suona affatto bene: è una cantonata». Il processo iracheno può aver successo e «lasciare i suoi critici ad arrampicarsi sugli specchi».
Per tutte le volte che i critici hanno annunciato disastri che non si sono mai verificati, hanno ormai perso ogni credibilità, ma continuano a pontificare. Certo, la Casa Bianca ha fatto degli errori, ma il vero lapsus dell'amministrazione è stato non aver presentato l'intera guerra «nel suo corretto contesto dal punto di vista morale». Non una guerra per il petrolio, per fare un favore a Israele, non per conquista, ma ogni giorno al popolo americano andrebbe ricordato... il singolare idealismo del suo paese, il suo sforzo nel ripudiare il realismo del passato... i suoi terribili sacrifici per offrire a sciiti e curdi qualcosa di diverso dal genocidio... e in ultima istanza la sicurezza agli Stati Uniti.
«I critici della guerra dovrebbero spiegarci perché è stato sbagliato rimuovere dal potere un assassino fascista, perché è stato sbagliato restare piuttosto che lasciare il paese nel caos, perché è stato sbagliato non abbandonare donne coraggiose, curdi e sciiti, che desiderano solo una chance di libertà».
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