«Gli occhi amorevoli di Dio si rivolgono all'essere umano, considerato nel suo inizio pieno e completo mentre è ancora informe nell'utero materno». Pare, ci fidiamo della sapienza di Papa Ratzinger, che il vocabolo ebraico usato sia da intendere come rimando all'«embrione», descritto come «una piccola realtà ovale, arrotolata, ma sulla quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di Dio».
Nella rubrica "Dizionario", in prima pagina su il Riformista di ieri, Polito (credo si tratti di lui) commentava: «Quanti non credenti potrebbero condividere le parole pronunciate ieri da papa Benedetto XVI? Molti, noi di certo». Chi non crede non vedrà lo «sguardo amorevole» di Dio, ma senz'altro almeno «il miracolo della vita e dell'amore che si compie, fin dal concepimento, nel corpo della madre».
Tuttavia pochi mezzi di stampa hanno riportato il resto del discorso del Pontefice, che citando, speriamo fedelmente e rispettandone il senso del pensiero, Gregorio Magno (2, 3, 12-13, Opere di Gregorio Magno, III/2, Roma 1993, pp. 79.81), aggiunge: «È vero, sono imperfetti e piccoli, tuttavia per quanto riescono a comprendere, amano Dio e il prossimo e non trascurano di compiere il bene che possono. Anche se non arrivano ancora ai doni spirituali, tanto da aprire l'anima all'azione perfetta e all'ardente contemplazione, tuttavia non si tirano indietro dall'amore di Dio e del prossimo, nella misura in cui sono in grado di capirlo. Per cui avviene che anch'essi contribuiscono, pur collocati in posto meno importante, all'edificazione della Chiesa, poiché, sebbene inferiori per dottrina, profezia, grazia dei miracoli e completo disprezzo del mondo, tuttavia poggiano sul fondamento del timore e dell'amore, nel quale trovano la loro solidità».
A preoccuparci non è l'«elogio biblico dell'essere umano dal primo momento della sua esistenza», né il "laico" vedere nel concepimento «il miracolo della vita e dell'amore», ma il passo successivo: vedere nell'embrione (di embrione si parla e non di feto al sesto mese) una forma di vita tanto autonoma da essere capace, per quanto riesce a comprendere (ma quindi un poco deve comprendere), di fare consapevolmente del bene. Ne consegue che se l'embrione sa anche minimamente discernere nelle proprie azioni (l'embrione agisce) tra bene e male è una persona soggetto di diritti al pari o in modo superiore alla madre e non una forma di vita oggetto di doveri.
Attenzione che non si finisca per anteporre a tutto e a tutti, agli individui e al loro diritto all'autodeterminazione, la sacralità dell'«embrione» antropomorfizzato.
1 comment:
Autodeterminazione e' determinazione su se stessi; l'embrione non e' piu' un ovulo: e' gia' altro da se'. "Attenzione che non si finisca per trattare" l'autodeterminazione come l'autocritica che, -se ricordo bene-, Giancarlo Pajetta diceva molti suoi compagni essere particolarmente bravi a farla agli altri.
Omnia munda mundis.
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