Sta preparando proprio una bella sorpresa di Natale John Bolton per le Nazioni Unite. Ne parlava ieri il Corriere. Non è certo un neoconservatore, come erroneamente, ma siamo abituati, scrive Danilo Taino, e contrariamente alle chiacchiere sprecate dai suoi detrattori e dai disinformati, non è stato affatto mandato da Bush al Palazzo di Vetro per farlo a pezzi. E' un diplomatico duro con un compito preciso: ottenere la riforma delle Nazioni Unite. E in queste ore sta spingendo l'Onu sull'orlo di una crisi di nervi, minacciando di bloccare il budget preventivo biennale, 3,9 miliardi di dollari, se non vengono prima approvate le riforme. Affamare l'elefantiaca burocrazia è forse l'unico modo. Qualche settimana fa lo stesso Bolton, e Bush in persona, fermarono il Congresso Usa determinatissimo a decurtare della metà il contributo americano all'Onu, a prescindere, come misura preventiva dopo le conclusioni del rapporto Volcker sullo scandalo Oil for Food (sì, lì gli scandali finanziari contano ancora qualcosa).
A proposito di Oil for Food, c'è ancora qualcuno che si chiede come mai la Francia fosse contraria al cambio di regime a Baghdad? E che non si capacita di come sia stato possibile non convincere Saddam all'esilio? Ebbene, qualche settimana fa l'ex ambasciatore francese all'Onu, nonché special advisor di Kofi Annan, Jean-Bernard Mérimée, ha ceduto davanti agli investigatori francesi e confessato di aver preso soldi (156 mila dollari) sotto forma di buoni-petrolio da Saddam. E in cambio di cosa? «Ho dato consigli a Tarek Aziz, ho lavorato. Ogni fatica merita un compenso», ha candidamente spiegato. Compreso il lavoro a beneficio dell'Iraq di Saddam.
Ieri il settimanale l'Express, ci segnala No-Way, ha pubblicato non solo un articolo riassuntivo sulla vicenda, ma anche estratti delle lettere con cui Loic Hennekinne, segretario del Ministero degli Esteri francese – evidentemente al corrente dell'attività svolta in favore del regime di Saddam - cercò nel settembre 2001 di ricondurre a una condotta meno scorretta Serge Boidevaix, un altro diplomatico coinvolto: «In pieno accordo con il ministro (Hubért Vedrine, n.d.r.) vorrei metterla a parte delle mie preoccupazioni... Oggi più che mai noi dobbiamo essere irreprensibili. La dignità di ambasciatore della Francia vi conferisce a questo riguardo una responsabilità tutta particolare, quella di un comportamento esemplare che non possa dare adito al minimo sospetto...». Boidevaix risponde il 10 ottobre: «Svolgo il ruolo (con Tarek Aziz e altri gerarchi del Baath, n.d.r.) di un consulente in cui si ripone fiducia; va da sé che per questa attività non ho percepito remunerazioni né ricevuto favori – io mi pago gli alberghi, il taxi...» Nessun cenno ai doni ricevuti dalla società svizzera Vitol, per cui lavorava. Ugualmente corrotto anche Rolf Ekeus, svedese, a capo degli ispettori dell'Onu in Iraq negli anni '90.
Gli inquirenti hanno quindi scoperto che avvantaggiare le aziende francesi con i contratti del programma in modo sproporzionato faceva parte della politica irachena per condizionare i voti della Francia in Consiglio di Sicurezza.
Il recente rapporto di Paul Volcker sullo scandalo ci ha insegnato molto di come l'Onu funziona. Circa 10 miliardi di dollari in petrolio iracheno furono illegalmente contrabbandati alle nazioni complici. Saddam Hussein riscosse 229 milioni in mazzette da 139 delle 248 compagnie coinvolte nell'affare e 1 miliardo e mezzo in tangenti e pagamenti illegali da 2.253 delle 3.614 aziende che provvedevano ai beni umanitari sotto il programma dell'Onu. Pur responsabili del controllo del programma, la Segreteria Generale, il Consiglio di Sicurezza e i contractor, ha concluso Volcker, non fecero nulla per denunciare o impedire i fenomeni di corruzione.
Buon Natale
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