E' «l'indiretta risposta americana alle preoccupazioni di Giulio Tremonti sulla crisi globale del liberismo». Si tratta del nuovo libro di Grover Norquist, presidente dell'American Tax Reform, di cui parla oggi Christian Rocca su Il Foglio.
Il saggio del «guru del movimento antitasse» si intitola "Leave us alone – Getting the government's hands off our money, our guns, our lives" ed è il «manifesto del lasciateci in pace, del giù le mani del governo dai nostri soldi, dalle nostre armi e dalle nostre vite». Se pensate che l'America «soffra di troppo liberismo, di eccessivo mercatismo e di assenza di una sufficiente protezione dagli attacchi finanziari globali, come scrive Tremonti dell'Europa, Norquist spiega invece che è vero il contrario e che anche gli iperliberisti Stati Uniti hanno bisogno di ulteriore libertà, di più mercato e di meno regolamentazioni statali». Il motto "Leave us alone" è l'esatto opposto del neotremontismo che, invece, «chiede alla politica, quindi allo stato, di impegnarsi a promuovere i valori, la famiglia e addirittura, con la responsabilità e il federalismo, anche l'autorità e l'ordine». Altro che "identità europea", Norquist invita a «stare il più alla larga possibile dal declinante modello europeo dove la gente "dipende dal governo per le pensioni, la sanità, l'istruzione dei figli e per molti dei posti di lavoro".
Secondo Norquist, «la vera distinzione in politica non è tra destra e sinistra, ma tra la coalizione del lasciateci in pace contrapposta a quella di chi crede che il ruolo dello stato debba essere di prendere soldi, beni, potere e controllo da un gruppo di persone per andare incontro alle esigenze di qualcun altro», di chi vorrebbe «usare la propria forza politica per costringere gli altri a vivere secondo i propri stili di vita».
Insomma, Norquist teorizza la non ingerenza dei governi e della politica nella vita dei cittadini, mentre qui in Italia purtroppo amiamo essere "rassicurati" dalla politica.
Altre due segnalazioni. Una riguarda l'articolo, oggi su Liberal, in cui Carlo Lottieri si chiede sconsolato: «Il popolo c'è, ma la libertà?». Non c'è da farsi illusioni su un PdL «in cui le voci liberali – soprattutto sui temi economici – tendono a farsi sempre più fioche» e in cui prevalgono le tesi dell'ex ministro Tremonti, che «propone un progetto culturale statocentrico fondato sulla paura, e quindi sulla chiusura in se stessi». E che intorno a temi quali l'autorità, la protezione dei ceti medi, l'avversione per il modello sociale americano, e via dicendo, ha saputo edificare «una sorta di punto d'equilibrio tra le varie anime politiche (cattolica, nazionale, leghista, ecc.) che compongono la nuova alleanza politica». Certo, c'è anche «qualche ragione di ottimismo», ma nessuna «rivoluzione reaganiana» è in vista, «ed è un peccato».
Infine, Ugo Arrigo, che su Liberalizzazioni.it prova a rintracciare «i sette mali del Paese e la loro unica causa», per cui l'Italia «non funziona». La risposta sta forse in ciò che intendeva il primo ministro Cavour quando disse «L'Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani». Ecco, osserva Arrigo, «centocinquant'anni dopo, infatti, gli italiani, se li intendiamo come soggetti capaci di partecipare, rispettando regole, a giochi cooperativi reciprocamente vantaggiosi, non ci sono ancora».
Il problema è «l'incapacità a cooperare tra estranei». La cooperazione tra estranei è reciprocamente vantaggiosa, ma «noi italiani cooperiamo solo con chi conosciamo, con chi è omogeneo e coerente con le nostre caratteristiche e idee. In questo caso garantiamo di solito lealtà e, se più potente di noi, persino fedeltà acritica; chi non conosciamo e non è omogeneo rispetto a noi, invece, non è un possibile partner cooperativo ma solo qualcuno che può darci delle fregature o che è normale bidonare». Da qui provengono i «sette fenomeni negativi, classificabili come mali dell'Italia». Da leggere.
3 comments:
mamma mia corro, mi precipito in libreria... non sto più nella pelle...
l'autore lo posso intervistare per libridinet oppure lo mandiamo a fare una lezione busiana ai ragazzi della de filippi?
Tutto bene, tutto bello, tutto giusto. L'autore critica con piglio sicuro l'intromissione dello Stato nella vita dei singoli.
E via esempi su esempi. Condivido.
Poi, occupandomi di economia e finanza, posso dire di averne letti a frotte di libri sul tema. Una cosa mi incuriosisce però. Non vengono mai criticati gli interventi, e sono mica bazzecole, fatti sui mercati. Ad esempio sono anni che gli Stati (e chi altro?) buttano tonnellate di liquidità drogando il mercato.
In questi giorni poi...
Ma questi interventi statali vanno bene, pare. Non sono dirigisti, sembra. E' davvero uno strano mondo.
Insomma, più che corporativi e familistici direi... mafiosi.
E la piemontesizzazione fallì.
Comunque, fu Massimo D'Azeglio e non Cavour a dire ciò.
Libertarians in Italia? Ma se neppure libbbberali!
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