In un suo recente editoriale, il direttore di Europa, Stefano Menichini, mi è sembrato eccedere in ottimismo, laddove descriveva i termini di «un fenomeno» definito «epocale». E cioè che Veltroni «sta portando l'intero elettorato di centrosinistra, comprese larghe fette di quello più "di sinistra", su posizioni inimmaginabili pochi anni fa». Il programma del Pd, scrive Menichini, «rappresenta, al di là della sua efficacia elettorale, un autentico riposizionamento strategico della sinistra italiana. Se su questa linea arriveranno i voti di un 35% o più degli italiani – e soprattutto se l'asse politico-ideologico sarà poi tenuto fermo – sarà accaduto in Italia qualcosa di simile a ciò che hanno fatto Blair e Schroeder, e che D'Alema aveva solo ipotizzato: mutare i paradigmi e ampliare la base sociale di riferimento. Con una differenza, almeno sul Labour: che Veltroni non ha dovuto ingaggiare alcuna battaglia nel proprio partito né coi sindacati».
Ebbene, io me lo sono letto il programma del Pd e mi pare che l'analisi di Menichini contenga più di un difetto per generosità. Innanzitutto, sarei più cauto sull'«autentico riposizionamento» che un programma così vago potrebbe rappresentare. Se la decisione di correre da solo, rifiutando l'alleanza con la sinistra massimalista e comunista, avvicina la svolta di Veltroni all'esempio di Schroeder in Germania, tuttavia il Pd sembra ancora molto lontano dall'abbracciare la cultura e le politiche liberali così come ha fatto Blair per rinnovare il Labour. Come ha fatto notare Giavazzi l'altro giorno, sotto il nuovo approccio sulle tasse, poco o nulla, o male, su pensioni, giustizia, università, servizi pubblici locali, pubblica amministrazione e mercato del lavoro.
Sono molto scettico, inoltre, sul fatto che Veltroni, sia se vincesse sia che perdesse queste elezioni, possa davvero evitare di ingaggiare una battaglia culturale all'interno del suo partito e con i sindacati. Credo che, se davvero vorrà tener fermo l'obiettivo di quel «riposizionamento strategico», non si potrà sottrarre dal provocare egli stesso e dal combattere quelle battaglie. Anzi, proprio dal manifestarsi o meno di quella battaglia culturale, e dall'intensità dello scontro, potremo valutare l'autenticità e la consistenza del cambiamento.
Vedremo se il Pd riuscirà a «sfondare al centro» già in queste elezioni. Ma soprattutto vedremo il dopo. Vedremo se Veltroni dovrà ingaggiare lotte interne, se sceglierà di farlo, se ne sarà costretto, o se invece sceglierà il quieto vivere del «ma anche». Blair non mi risulta che dicesse «ma anche». Auguri al Pd, perché quella strada l'ha imboccata, seppure timidamente, ma è la prova dei fatti quella che conta.
3 comments:
Il riposizionamento credo stia avvenendo, ma in direzione opposta alla sinistra blairiana, concordo.
Su Schroeder, non saprei... in effetti il pareggio con CDU-CSU potrebbe indicare qualcosa di analogo; ma la crescita preelettorale dei simpatizzanti di Frau Merkel prima delle elezioni era soprattutto dovuta all'inefficacia delle politiche, dell'SPD, più che ad una travolgente carica cattolica.
Tanto più che l'influenza della chiesa cattolica tedesca, nonostante il peso del concordato (che suscita dubbi e contrarietà anche lì), non è certo paragonabile a quella presente qui.
Poteva sfondare se Casini fosse andato nel Popolo, messe cosi' le cose, sfondera' Casini.
Io dico che Casini fa piu' di 15%.
Il bipolarismo e' morto... terza repubblica!!
Non è un paese per Blair... meno male!!
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