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Friday, March 21, 2008

Le Olimpiadi sono già un evento politico, per Pechino

Oggi sui giornali si dà massima evidenza alla conferma che Bush sarà presente alle Olimpiadi di Pechino, nonostante tutto. Male, grave e sorprendente errore da parte del presidente Usa garantire a Pechino la sua presenza già oggi, a fronte della repressione in corso in Tibet, contraddicendo gli elementi base della sua dottrina di sicurezza. Ma è strano che per alcuni giornali, se parla Bush, allora «abbandona» i tibetani, se invece sono l'Unione europea, Veltroni, Fini, D'Alema e la Bonino ad escludere ogni boicottaggio, allora semplicemente si attengono alla posizione del Dalai Lama.

Ieri la presidenza dell'Unione europea ha diffuso un comunicato in cui si motiva in modo davvero bizzarro il no al boicottaggio: «Le Olimpiadi moderne sono state spesso usate, e a volte abusate, da politici e da regimi politici per promuovere vari obiettivi di Stato, economici e politici». Ma come, la Cina non si sta forse accingendo a trasformare i Giochi in un'immensa operazione (forse la più grande nella storia dell'umanità) di propaganda politica di stampo nazionalista, il simbolo della sua potenza e ed egemonia regionale?

Non si può negare che la stessa decisione del Cio di assegnare i Giochi a Pechino sia stata una decisione di natura politica. Tra l'altro, non solo in Tibet, ma per la stessa organizzazione dell'evento, la Cina ha violato le norme del contratto firmato con il Cio per ottenere l'assegnazione e le disposizioni della Carta olimpica per quanto riguarda «promozione di una società pacifica e difesa della dignità umana». Vedremo se potrà di più il panico che si sta scatenando tra i 12 grandi sponsor che hanno sborsato una media di 100 milioni di dollari a testa per finanziare i Giochi e che oggi temono un danno d'immagine se i Giochi dovessero svolgersi sotto l'ombra dei massacri.

A sostenere le ragioni del boicottaggio, quanto meno del non escludere prima del tempo questa opzione, è Bernard-Henri Levy:
«Le Olimpiadi, ci dicevano, avranno l'effetto di aprire automaticamente la Cina al mondo e, quindi, alla democrazia. I cinesi, ci dicevano, sapendo che saranno osservati come non lo sono mai stati, desidereranno offrire un'immagine decente di se stessi e del loro regime. La verità obbliga a dire che, per il momento, si è verificato esattamente il contrario».
Dopo un lungo elenco di ciò che sta accadendo, non solo in Tibet, conclude che «o l'effetto "ripulitura di facciata" non ha avuto conseguenze, oppure ha intensificato, al contrario, le violazioni dei diritti umani». A tutto ciò si aggiunge «la repressione più brutale che la regione "autonoma" abbia conosciuto da quella di 18 anni fa, subito dopo Tienanmen».
«Avvertiti della nostra pusillanimità durante i massacri in Darfur e le violenze in Birmania, i cinesi hanno capito, o creduto di capire, che noi non ci saremmo dati maggiormente da fare se avessero messo il Tibet a ferro e a fuoco. Di fronte a tale cinismo, insisto nel pensare che sia ancora possibile tenere il linguaggio della fermezza, che secondo i cinesi non osiamo articolare perché siamo troppo vigliacchi o dipendenti da loro. Non è troppo tardi per utilizzare l'arma dei Giochi ed esigere da loro, almeno, che smettano di uccidere e applichino alla lettera la Costituzione sull'autonomia regionale tibetana. Non si mescolano sport e politica? Non si priva il mondo di un grande divertimento come le Olimpiadi? D'accordo, amici sportivi. Ma non invertiamo i ruoli. Sono i cinesi a rovinare la festa. Sono loro che disprezzano i principi dei Giochi olimpici... È ancora possibile salvare sport, onore e vite umane. È ancora possibile, rischiando, come ha appena fatto Barack Obama, evocare la possibilità, semplicemente la possibilità, del boicottaggio, e dire sì all'ideale olimpico e dire no ai Giochi della vergogna».

1 comment:

Anonymous said...

E Cesare Battisti?