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Wednesday, October 19, 2005

Costituzione più processo a Saddam = stato di diritto

Saddam Hussein finalmente alla sbarra. «Chi siete? cosa volete?» ha intimato ai giudici. Ci mancava solo il famoso: "Sì, ma quanti siete?! Un fiorino!" e poi avremmo avuto un quadro completo.

E' di capitale importanza la diretta/differita televisiva in Iraq e nell'intero mondo arabo, nonostante alcuni espedienti retorici e colpi a effetto che Saddam di certo tenterà. Su questo Anne Applebaum, del Washington Post, ha usato le parole più sagge:
«... se i sunnti sapranno cosa ha fatto agli sciiti e ai curdi, se gli sciiti e i curdi sapranno cosa ha fatto ai sunniti, se gli iracheni realizzeranno che questo sistema di terrore totalitario li ha danneggiati tutti e se gli altri in Medio Oriente capiranno che le dittature possono essere destituite, allora il processo avrà raggiunto il suo scopo».
Gli stessi giornali di sinistra americani (e anche arabi) riconoscono i dati di fatto che stanno premiando la visione complessiva che anima la dottrina Bush, al di là di errori e difficoltà. Non da noi, dove i giornali hanno dato maggior peso alle inutili primarie del centrosinistra. Guardiamo al lato positivo: si vede che si abituano all'idea che in Iraq d'ora in poi, grazie agli americani e agli iracheni democratici, le elezioni saranno routine.

E' molto probabile che la Costituzione passi. Fa bene Christian Rocca a farci appuntare i traguardi fin qui raggiunti da un processo politico di cui scettici e in malafede annunciavano la morte a ogni passaggio per essere poi puntualmente zittiti dai fatti.
«Gli iracheni in pochi mesi sono riusciti a rispettare tutte le scadenze imposte dall'Onu e dalla coalizione con l'accordo del 15 novembre 2003, cioè la formazione di un governo provvisorio di solidarietà nazionale, l'adozione di una Costituzione transitoria (novembre 2003), il ritorno della sovranità (30 giugno 2004), la convocazione delle elezioni per l'Assemblea costituente (30 gennaio 2005), la nascita del primo governo democratico a interim (aprile 2005), l'approvazione di una Costituzione democratica e non fondamentalista (agosto 2005), il coinvolgimento dei sunniti (ottobre 2005), la conferma popolare di sabato e, nei prossimi giorni, il processo a Saddam».
Un fantomatico governo dell'Onu, sul tipo di quello che tiene il Kosovo ancora nel limbo, avrebbe saputo fare meglio? Non crediamo. Oggi appare evidente a molti analisti che proprio il rapido passaggio dei poteri agli iracheni sia stata la carta vincente e criticano persino che la sovranità non sia stata ceduta subito dopo la caduta del regime, evitando l'interregno di Paul Bremer e i suoi piani «preconfezionati dai centri studi del Dipartimento di Stato».

David Frum nel suo column oggi su Il Foglio spiega con un paragone calzante la questione sunnita. Il problema è che i sunniti si ritengono «in possesso di un intrinseco diritto a comandare».
«In Sud Africa dopo la fine dell'apartheid, nessuno osò proporre che la nuova Costituzione sudafricana prevedesse speciali protezioni per la minoranza bianca del paese. E nessuno disse che il nuovo regime post-apartheid sarebbe stato legittimo soltanto se i bianchi l'avessero accettato. E se i bianchi del Sud Africa avessero risposto all'affermazione dell'uguaglianza lanciando una campagna terroristica contro la maggioranza nera, non avrebbero raccolto alcun consenso. Ma proprio questo è ciò che sta accadendo in Irak.

I sunniti che stanno appoggiando l'insurrezione temono di perdere il loro potere e i privilegi di cui hanno goduto nel precedente regime. La nuova Costituzione garantisce alla minoranza sunnita una parte delle ricchezze petrolifere del paese. Garantisce alla minoranza un concreto diritto di veto sulla Costituzione e sui futuri mutamenti costituzionali. Dichiara che l'iscrizione al partito Baath di Saddam non impedirà ai sunniti di rivestire cariche nel nuovo governo. In altre parole, la Costituzione, nella forma che ha assunto grazie alle pressioni americane, è il risultato di due anni di sforzi riconciliatori con il precedente establishment del paese...»
Anche troppa grazia insomma, ma i primi segni di riconoscenza si cominciano a vedere.

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