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Wednesday, October 19, 2005

Dio una delle fonti del diritto

Finalmente il Papa, nel suo messaggio di sabato scorso al presidente Pera impegnato al convegno di Norcia, ha chiarito cosa intende davvero quando reclama di non escludere Dio dalla sfera pubblica. Ce lo chiedevamo da tempo a cosa si riferisse esattamente, visto che innumerevoli eventi dimostrano che a singoli e gruppi è garantita di già «la possibilità di vivere e manifestare le proprie convinzioni religiose... con autentica libertà anche in ambito pubblico». Adesso è tutto chiaro. Il pontefice va oltre: al "senso religioso" «uno Stato sanamente laico dovrà logicamente riconoscere spazio nella sua legislazione». Dunque chiede per Dio uno spazio nella legislazione dello stato. Solo così la laicità sarebbe «sana». Dio nella vita pubblica, il magistero della Chiesa come fonte, una delle fonti (per carità occorre essere moderati), delle leggi, del diritto. Facile a dirsi, ma vorremmo capire poi come certe affermazioni si traducano in pratica senza riprodurre vecchie intolleranze, confessionalismi, neotemporalismo.

Dobbiamo riconoscerlo: nelle parole di Ratzinger riecheggiano le verità «per se stesse evidenti» della dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America: tutti gli uomini «sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti». Che un Papa, parlando di diritti dell'uomo, faccia uso del termine aconfessionale, e persino deista, "Creatore" non può che farci sommo piacere. Ci chiediamo solo come mai ad affermare questi principi non sia stata la Chiesa, ma filosofi empiristi, illuministi, massoni, deisti che la Chiesa ha combattuto. Se la dignità dell'uomo e i suoi diritti fondamentali sono inscritti nella sua stessa natura, quindi indisponibili agli stati, tuttavia la legislazione deriva la sua legittimità unicamente dal consenso dei governati; né dagli auto-proclamati esegeti del "Creatore" né dalla tradizione.

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