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Friday, September 30, 2005

Calare il sipario sui pacifinti

Sulla mamma pacifista Cindy Sheehan e gli illustri "benefattori" che ha attirato attorno a sé hanno scritto la parola fine, nell'ordine, David Frum, Christian Rocca e Charles Krauthammer, che sul Washington Post ha riportato la lagna illustre di un genitore potente del passato:
«"Harry, ma perché diavolo sostieni quel figlio-di-puttana-paralizzato che ha ucciso mio figlio Joe", disse Joseph P. Kennedy, riferendosi a suo figlio Joe che era morto in guerra. Kennedy continuò dicendo che la colpa della guerra era di Roosevelt. Truman, secondo la sua successiva ricostruzione, sopportò il più possibile e poi disse a Kennedy di tacere o l'avrebbe scaraventato fuori dalla finestra» (da "Truman" di David McCullogh, pagina 328)
Mamma Sheehan è davvero una «Bad Choice for an Antiwar Voice».

Christopher Hitchens, su Slate, la dice tutta:
«E' davvero una vergogna che la stampa liberal definisca tali nemici del liberalismo come "antiwar", mentre in realtà essi sono nettamente "pro-war", solo che nell'altro campo».

Laico e credente connotati della stessa realtà antropologica

Scriveva qualche giorno fa Gian Enrico Rusconi su La Stampa che l'equivoco sta nella «distinzione tra cattolici e laici che viene fatta coincidere senz'altro con la distinzione tra credenti e non credenti... Come se una vita vissuta in prima persona da milioni di uomini e donne, con fede semplice e sincera, nelle difficoltà quotidiane, nelle imprevedibilità, nelle emozioni e nelle contraddizioni della vita non contassero nulla. Non maturassero convincimenti per sé e per gli altri, degni di attenzione. Convincimenti differenti da quelli espressi dalle Eminenze».

E' in effetti sempre più antropologicamente vero, nel vissuto quotidiano di milioni di persone, che, come ha intuito Pannella, laico e credente sono sinonimi tra loro, che credenti laici e laici non credenti si contrappongono a credenti clericali e atei devoti.
«L'antropologia contemporanea mostra che religiosità e laicità sono due connotati della stessa realtà antropologica, culturale, politica nel mondo che si confronta con un'altra, quella della (a volte) generosa, ma tragica illusione dell'autorità come valore principale e del potere assoluto in nome dell'etica dello Stato di tutti contro la coscienza di ciascuno. E non c'è religiosità laddove la coscienza di ciascuno non si affermi come sovrana da rispettare, perché è l'unico luogo nel quale si può interrogare il mistero e dargli dei nomi onorando quel che ci trascende, perché ogni volta che la coscienza individuale si confronta con l'assoluto nel quale è immersa è la religiosità che prende corpo e si fa storia, non quando si delegano le rivelazioni alle vestali».
Ai laici come tali, credenti e non - questo il secondo equivoco indicato da Rusconi - «non viene riconosciuta alcuna competenza etica autonoma. Rimangono degli eterni minori. Sempre sull'orlo del precipizio dell'immoralità». E conclude:
«Non si tratta – ripeto – di assumere atteggiamenti anti-ecclesiali, ma di rivendicare energicamente l'autonomia dei laici, cattolici e non, nell'etica pubblica e nella politica. Per inciso, questo farebbe un gran bene anche alla Chiesa italiana».

Pragmatismo "anglosassone" sulla legge 194

«Sarei disposto ad accettare una riduzione del numero di settimane entro le quali è consentita l'interruzione volontaria della gravidanza».
Parola di Marco Pannella. In una lunga conversazione con Il Foglio, Pannella, oltre ad esprimere apprezzamento per il quotidiano della Cei Avvenire, il giornale che, per la scelta degli argomenti e delle notizie, più si avvicina alla sua sensibilità, ha dimostrato grande pragmaticità nel discutere il tema dell'attuale legge sull'aborto.

Non era la prima volta che Pannella accennava a questa possibilità. In Gran Bretagna il termine temporale ultimo entro cui è consentito l'aborto sta per essere ridotto di alcune settimane come conseguenza dei progressi della medicina che consentono di far sopravvivere e portare a maturazione feti nati sempre più prematuramente.

Thursday, September 29, 2005

Pronti a «qualsiasi guerra». Occhio sulle retrovie

Siamo noi che siamo anticlericali o voi che siete clericali?

Leggere la politica attraverso le lenti dei retroscena può essere rischioso e fuorviante. Attraverso questa forma di giornalismo molto "italica" passa di tutto: verità inconfessabili, bufale totali, messaggi politici criptati. Veniamo da due giorni di attacco frontale congiunto Corriere della Sera-La Stampa contro Ruini e i suoi referenti politici.

Oggi su La Stampa, un articolo di Augusto Minzolini ricostruisce il senso delle conversazioni tra il presidente della Cei, Cardinale Camillo Ruini, e il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, nelle 24 ore trascorse tra andata in aereo per Beirut/cerimonia nuziale di un ex Dc/ritorno in aereo. Conversazioni che spiegherebbero la «conversione» di Casini, in polemica con Follini, all'unità del centrodestra nell'interesse dell'elettorato cattolico e l'intesa imposta sulla legge elettorale. Ingerenza? Noooh. Ricostruzione «priva di ogni fondamento», ha reagito l'ufficio del presidente Casini.

«Prendo atto che conferma il viaggio a Beirut in compagnia del cardinale Camillo Ruini», è l'immediata replica del retroscenista. «Sui contenuti dei colloqui, che sono stati informali, posso assicurare - aggiunge Minzolini - che sono stati ricostruiti scrupolosamente sulla base dei resoconti di persone che erano presenti».

Ieri, a riferirci di un colloquio informale Ruini-Letta è stata Maria Latella sul Corriere della Sera. «Per difendere le nostre posizioni, siamo disposti a qualsiasi guerra», sarebbero state le prudenti parole del cardinale, ingentilite dal suo sorriso serafico. Ingerenza? Noooh. Stupisce che una frase del genere, ripetuta due volte nel testo, riesca a passare sul quotidiano più importante d'Italia senza ricevere smentite il giorno dopo.

La riforma anti-corporativa della Moratti

La riforma della docenza universitaria ha avuto la fiducia. In Letizia Moratti il governo ha trovato la sua lady di ferro, potrebbe passare alla storia come l'unico ministro dell'Università la cui riforma sfugge alla sorte fallimentare dei suoi predecessori. Oggi a suo favore si esprimono tre dei promotori dell'appello "Ridare voce all'Università" (il Riformista-Fondazione Magna Carta): Ernesto Galli Della Loggia, Aldo Schiavone, Gaetano Quagliariello.

E' una riforma anti-corporativa, meritocratica, che cerca di combattere al fianco dei meritevoli le strettoie del familismo, del clientelismo, del baronismo. Nel merito è discutibile non perché fa troppo, ma troppo poco. Manca per esempio la liberalizzazione degli studi nell'ottica dell'abolizione del valore legale del titolo di studio. Né bisogna accontentarsi di singoli provvedimenti, ma occorre una liberazione dell'intero sistema che introduca una spietata logica concorrenziale tra gli atenei.

Nel metodo nessuno scippo del Parlamento. A essere scippate sono semmai le trasversalissime lobby universitarie, cui viene concesso fin troppo spazio. Se un governo democraticamente eletto ha il coraggio di arrivare a una prova di forza contro un potere corporativo e trasversale chi sono i veri democratici? Non certo gli usurpatori della sovranità popolare che gridano in piazza. Chi sono quelli che protestano? Sono quelli che stanno dentro, i privilegiati, sono gli immeritevoli capaci solo di leccare il culo o di avere in tasca la tessera del partito giusto.

Una riforma bloccata in Parlamento da quella trasversalissima corporazione dei professori-parlamentari. L'obiettivo della cupola corporativa, la Crui, era l'ostruzionismo fino al sabotaggio. Divenuto evidente, la Moratti ha reagito con la fiducia. E non era affatto scontato. La mancata partecipazione dell'Unione al voto è invece un segnale preoccupante: quella Moratti, insieme alla riforma Biagi, è l'unica riforma che il centrosinistra al governo dovrebbe mantenere, come buon punto di partenza e non di arrivo. Nel frattempo chissà che il centrodestra non veda rosa per la successione a Berlusconi. Moratti for premier

Confusione costituzionale

La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto sul potere di grazia sollevato dal presidente della Repubblica Ciampi per superare il rifiuto annunciato dal ministro della Giustizia Roberto Castelli a controfirmare il provvedimento di clemenza a Ovidio Bompressi.

La vicenda è già paradossale per il fatto che Ciampi non ha apposto alcuna firma e il rifiuto di Castelli è solo "minacciato", virtuale. Se poi ci aggiungiamo che la Consulta ha legittimato il ministro della Giustizia a resistere in giudizio diventa anche un precedente pericoloso. Il conflitto di attribuzioni è infatti un conflitto che viene sollevato tra poteri dello Stato. Può essere ritenuto un singolo ministro un "potere dello Stato"? O non è piuttosto il governo di cui fa parte, nella persona del presidente del Consiglio, il potere dello Stato che dovrebbe eventualmente costituirsi parte in giudizio sostenendo il suo ministro?

La controparte del Quirinale non dovrebbe essere il ministro della Giustizia, ma il Governo. L'esecutivo dovrebbe formalmente sostenere le tesi di Castelli oppure dissentire. E invece è stato individuato come controparte in giudizio il Guardasigilli, il quale ora, per forza di cose, dovrà farsi assistere da un avvocato del libero foro. Ma l'"errore", o l'imperscrutabile macchinazione organizzata dagli uffici di Quirinale e Consulta, è di Ciampi: avrebbe dovuto intanto firmare l'atto e porre il ministro Castelli di fronte al fatto compiuto. A quel punto il ministro avrebbe avuto tre strade: a) controfirmare; b) rifiutarsi, rischiando l'incriminazione; c) sollevare un conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta che, a quel punto, da singolo ministro, gli sarebbe stato negato.

Nel merito vi sono pochi dubbi: il potere della grazia «è riservato in via esclusiva» al Capo dello Stato, per cui Castelli non può rifiutarsi di dar seguito alla «determinazione» del presidente di concedere l'atto di clemenza. La controfirma del Guardasigilli è «un atto dovuto», perchè la grazia (così come la nomina dei giudici costituzionali e dei senatori a vita) è tra gli «atti formalmente e sostanzialmente presidenziali», per i quali la controfirma ministeriale ha una funzione «notarile».

Wednesday, September 28, 2005

Convinction leader

«Quando sono diventato primo ministro presi una decisione: essere sempre dove le decisioni vengono prese e mai dove vengono annunciate... So che una parte di voi vorrebbe che facessi come Hugh Grant in Love Actually e dicessi all'America dov'è la porta d'uscita. Ma la differenza tra un buon film e la vita reale è che nella vita reale c'è sempre il giorno dopo, l'anno dopo, un'intera vita di fronte per confrontarsi con le rovinose conseguenze che un applauso facile porta con sè. Non ho mai dubitato, dopo l'11 settembre, che il nostro posto fosse al fianco dell'America e non lo dubito ora». (Leggi)
Quello che doveva essere un passaggio di consegne è stato invece un rilancio in grande stile. Ne parla Andrea Romano oggi su La Stampa. Al congresso di Brighton Tony Blair ha rivendicato con decisione tutte le ragioni politiche di fondo che hanno scandito il decennio del New Labour: «Tutte, nessuna esclusa. Neppure quelle che avrebbero dovuto metterlo in maggiore imbarazzo».
«L'azione militare per abbattere le dittature? Una missione progressista analoga alla lotta contro la povertà. La globalizzazione? Un dato di fatto inconfutabile e un'opportunità di progresso con cui la sinistra deve fare i conti, investendo prima di tutto nella capacità competitiva della propria economia. La facoltà di poter scegliere le scuole e gli ospedali migliori? Un lusso che troppo a lungo è stato esclusivo appannaggio dei più ricchi e che il Labour dovrà trasformare in un diritto di tutti».
Blair può davvero dire legittimamente «di aver portato a compimento la propria missione, anche grazie alla tenacia di un primo ministro che ha saputo interpretare la figura tutta britannica del "convinction leader": il capo che sa di essere giudicato dalla nazione per la capacità di mostrarsi fedele alle proprie convinzioni più profonde e più ingombranti».

E della stessa pasta si dimostra il successore in pectore, Gordon Brown: «... perché avevo imparato dai miei genitori che ad ogni mio diritto corrispondeva un mio dovere, ad ogni mia richiesta un obbligo, ad ogni opportunità un'aspettativa». «Parole forse retoriche per un orecchio mediterraneo - conclude Romano - ma che rappresentano la vera sostanza di una storia britannica e di sinistra come quella del New Labour».

L'Europa che non sa immaginare il futuro

Bambino sventola bandiera turcaPochi occhi sono puntati sul dibattito in corso in Europa sulla Turchia. Il 3 ottobre si apriranno i negoziati per un'adesione che comunque non ci sarà prima del 2012. Tutto liscio? No, si amplia il fronte del rifiuto, tra i governi e al Parlamento europeo, dove passa una risoluzione severissima, che prefigura il fallimento del processo. L'adesione o la mancata adesione della Turchia all'Ue segnerà la futura identità europea più di tutte le "radici" a cui potremo richiamarci. "Eurabia" o no, è una scelta che indica un "voler essere" dell'Europa. I più attivi sostenitori della Turchia nell'Ue sono Bush, Blair e Israele, precisamente le forze più attive nel difendere l'occidente di fronte alla guerra del fondamentalismo islamico. Le loro posizioni non sono quindi né deboli né sospette. Proprio di fronte a un possibile successo come forza politica, il rischio è che l'Europa rinunci al suo unico potere, quello soft, di forza di attrazione di libertà, di stato di diritto, di democrazia. L'Europa invece dovrebbe impegnare tutta se stessa per approdare in Medio Oriente attraverso i ponti democratici di Turchia e Israele.

Il Parlamento europeo ha votato oggi una risoluzione molto severa nei confronti della Turchia, in vista del 3 ottobre, data in cui dovrebbero partire i negoziati per l'adesione nell'Ue. Il PE ha posto come «elementi indispensabili» nel processo di adesione il riconoscimento di Cipro e del genocidio degli armeni da parte del governo turco. «Quella risoluzione non è vincolante, non importa se hanno preso o meno una decisione simile. Continueremo sulla nostra strada», ha commentato il premier turco Erdogan. I deputati radicali Pannella e Bonino hanno votato a favore della risoluzione che dà il via libera ai negoziati, ma contro gli emendamenti che hanno inserito le due condizioni, che celano in realtà un ampio e trasversale scetticismo di fondo all'ingresso della Turchia.

Emma Bonino è intervenuta per il gruppo dei liberali criticando il documento, «che esprime unità», ma «sacrifica elementi di correttezza». E' «estremamente duro» nelle richieste rivolte alla Turchia, ma «non aiuta neanche gli amici greco-ciprioti a essere più flessibili per risolvere questa situazione di cui sono anche loro responsabili».
«Per chi come noi pensa e spera in un'Europa forza politica, economica, morale, è sorprendente che noi stessi non ci rallegriamo dei successi che il nostro "potere dolce" europeo già sta ottenendo in Turchia. Noi stessi non capiamo che sono caduti dei tabù, si discute di armeni, curdi, e con il sostegno del governo di Ankara. Questi sono i successi dell'Europa politica, della nostra capacità di attrazione ai sistemi democratici. Abbiamo il diritto di essere critici, ma non abbiamo il diritto di essere cinici. La morte precoce della costituzione europea sulle forche elettorali di Francia e Olanda ha come lasciato il continente senza una frontiera di maturazione ideale, facendo stagnare risentimenti, cinismi che non sono una politica. Non si fa una politica federalista liberale, dell'Europa che noi vogliamo come attrazione di libertà, di stato di diritto, di democrazia».
UPDATE 29 sett. Gli ambasciatori Ue non sono riusciti a trovare l'accordo sul mandato per l'avvio dei negoziati con la Turchia previsto per lunedì. Veto dell'Austria. Vienna chiede un quadro negoziale con la Turchia che contenga ufficialmente la possibilità che il processo d'adesione possa anche sfociare in un "partenariato privilegiato" tra Ankara e Bruxelles. Insomma, dei negoziati di cui si prefigura in partenza il fallimento. La Turchia dice giustamente: o la prospettiva è l'adesione o non se ne fa nulla.

Il nostro ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, non solo sulle libertà civili, ma anche in politica estera, si dimostra sempre più leader lungimirante.
«Per un'Europa che negli ultimi mesi appare in preda ad un preoccupante deficit di immaginazione, idee, iniziative e consensi, i segnali più incoraggianti non vengono dal centro bensì dalla periferia. Vengono dalla Turchia, dai suoi ragguardevoli passi avanti compiuti negli ultimi anni in campo politico, economico e sociale... Ankara ha pienamente soddisfatto le condizioni poste dal Consiglio Europeo dello scorso dicembre. (i fatti)... Spetta adesso all'Europa dimostrare di saper tenere fede alla propria parola».
L'ingresso della Turchia nell'Ue sarebbe la «dimostrazione esemplare della piena compatibilità tra Islam, laicità e modernità, tra Islam e democrazia, tra Islam e gli equilibri complessi di una società avanzata. Al contrario, chiudere oggi alla Turchia le porte dell'Europa rischierebbe di spingere questo Paese nell'abbraccio interessato dei fondamentalisti e di quanti operano in direzione dell'avveramento della profezia sullo scontro di civiltà».

Tuesday, September 27, 2005

Basta con questa farsa dei mandati Onu

Se nella prossima legislatura ci sarà un governo di centrosinistra, le truppe italiane rimarranno in Afghanistan e non se ne andranno via come vorrebbero i neocomunisti. Ce lo assicura Marco Minniti, responsabile per la Sicurezza e la Difesa dei Ds. E ne siamo contenti. Non del tutto rassicurati però, dalla sua motivazione: la missione in Afghanistan, quella sì, che ha il mandato dell'Onu ed è quindi legittima.

Motivazione che dovrebbe indurre il centrosinistra a rivedere la sua posizione sulle truppe schierate in Iraq, anch'esse sotto il mandato dell'Onu. La risoluzione 1546 dell'8 giugno 2004, al punto 12, «decide inoltre che il mandato della forza multinazionale sarà rivisto su richiesta del governo dell'Iraq o a 12 mesi dalla data della risoluzione, e che questo mandato scadrà al momento del completamento del processo politico descritto nel paragrafo 4 sopra citato, e dichiara che questo mandato verrà revocato anche prima se richiesto dal governo dell'Iraq». L'Onu ha già dato un mandato alla forza multinazionale presente in Iraq. Prevede che le truppe siano ritirate alla fine del processo costituzionale. Anche prima, se lo richiede il governo legittimo iracheno, ma anche dopo, sempre se è il governo iracheno a richiederlo.

Chi si ostina a invocare per l'Iraq eserciti arabi (quindi di regimi dittatoriali) e caschi blu (che l'Onu non ha) cade nella demagogia di proposte politicamente corrette ma che sa essere irrealistiche. se divenissero per assurdo vie percorribili, chi le ha invocate dovrebbe assumersi la responsabilità di imporle al legittimo governo iracheno, che non si fida né dei cugini arabi, né tantomeno dell'Onu (per lo scandalo Oil-for-Food). Quindi, soprattutto, come osserva Christian Rocca, «nega il diritto degli iracheni ad autogovernarsi, diritto che hanno già cominciato a esercitare».

L'America è la soluzione non il problema

Altro documento tutto da leggere sul Corriere della Sera di oggi. E' di Robert D. Kaplan, liberal della rivista The Atlantic Monthly.

Non esiste solo il tragico pantano iracheno. I soldati americani hanno emarginato gli estremisti islamici nelle Filippine attuando programmi umanitari; stanno aiutando la Colombia nella lotta al narcotraffico; in Nepal addestrano squadre di pronto intervento contro i terremoti. Ecco perché, al di là di emozioni e ideologie, la presenza militare all'estero degli Stati Uniti deve essere vista come la garanzia per un mondo più sicuro e più democratico.
«La protesta perenne contro il ruolo imperialista delle milizie americane è prevalentemente una risposta emotiva alle difficoltà incontrate in Iraq, e non l'espressione di una seria analisi, caso per caso, del spiegamento di forze militari statunitensi in varie parti del globo. La costruzione di una nazione, il processo di democratizzazione, il consolidamento di un regime costituito richiedono sempre l'impiego di una componente militare per l'addestramento delle forze locali».
Dal punto di vista teorico il tema dell'imperialismo democratico è affascinante e ancora terreno inesplorato. Ci saranno occasioni per approfondire, ma una prima osservazione è che la prospettiva di impero democratico potrebbe significare nel contesto di un'espansione totale della democrazia in tutto il mondo, il successo di istituzioni internazionali finalmente basate su principi democratici in grado di "governare" il mondo. Ma l'ipotesi di una governance globale, superando lo Stato-nazione democratico legato alla presenza fisica di una popolazione su un dato territorio, suscita non poche perplessità teoriche in termini di fattibilità democratica.

Semplicemente liberali

Rispondo a Semplicemente liberale e a 1972. Suona strano chiedere conto ai Radicali della loro rivoluzione liberale, mentre siamo di fronte al disfacimento di un governo che su quella parola d'ordine si era candidato, ottenendo una maggioranza schiacciante, ma che non ha saputo portare a termine neanche una riforma liberale. Insomma, guarda un po', i radicali, e non Berlusconi, avrebbero tradito la "rivoluzione liberale". Curioso. Però, si sa, coi radicali è giusto essere più esigenti. Ma per comprendere, o almeno valutare con il maggior numero di elementi possibile, la scelta dei radicali di «mangiare questa minestra che passa la storia» occorre partire da alcune premesse.

E' bello filosofeggiare su categorie poltiche astratte. Socialismo, liberalismo. Certo, verrebbe di dire, sono inconciliabili. Eppure è evidente che il socialismo a cui vi riferite corrisponde a parametri piuttosto ristretti e datati, che soprattutto non fanno i conti con la storia socialista, nella quale - soprattutto nelle versioni anglosassoni - frutti liberali, pochi, ma ce ne sono stati. Un conto è l'accademia, un altro la politica. Domande dirette: vi farebbe schifo la nascita in Italia di un partito del 4/5% di ispirazione blairiana? Non sarebbe enormemente più liberale di questo centrodestra? Siete sicuri che non volete tifare (non dico votare, ma tifare in cuor vostro invece di schifare) una nuova formazione di liberali riformatori e socialisti democratici?

Il socialismo che giustamente denunciate è morto. L'ho scritto io stesso, ma potremmo recuperare anche qualche articolo pubblicato su il Riformista, per esempio dell'inglese John Lloyd, o di Biagio De Giovanni, il quale rappresenta una convinzione sempre più diffusa nella classe dirigente Ds: che un'Italia dove sia finito il "tutti insieme contro Berlusconi" e siano riconosciute le necessità storiche di una «rivoluzione liberale» (testuale) abbia «bisogno» del contrasto tra una sinistra liberale e quella neocomunista, scontro che Pannella individua tra i suoi obiettivi e definisce «salutare e necessario».

Sono in aumento tra i socialisti e i diesse quanti hanno abbandonato, o si stanno guardando in giro per abbandonare, il vecchio socialismo e i vecchi riflessi statalisti per affidarsi al libero mercato, e quanti sono sempre più insofferenti per la subordinazione alla sinistra statalista e massimalista. Non accorgersene è semplicemente miope, e grave se stiamo cercando innanzitutto, prima di schierarci, di capirci qualcosa in questo casino.

«Il "liberale" riafferma l'individuo sullo Stato, il "socialista", anche quello più "riformista", fa l'esatto opposto». Queste sono categorie astratte. Andiamo a vedere la realtà politica italiana. Si dice, correttamente, che senza libertà economiche non si ha liberalismo. Vero, ma anche senza le libertà civili. Il liberalismo è una teoria politica il cui pacchetto delle libertà o è completo o la teoria non diviene pratica. E se nel centrosinistra c'è più spazio per le seconde, nel centrodestra non c'è più spazio neanche per le prime.

E' necessario fare un breve excursus sulle politiche sociali ed economiche di questo governo? E' aumentata la spesa corrente, quella sociale e per gli stipendi (da tempo i dipendenti pubblici non avevano aumenti così generosi), a scapito della produttività, crollata; la spesa per la sanità pubblica ha raggiunto il 6% del Pil, livello da primi anni '90: la finanza creativa di Tremonti ha consentito di tirare a campare senza ricorrere a tagli e riforme severe; ferme le privatizzazioni; aiuti di Stato per aziende decotte come Alitalia e Fiat; la previdenza complementare e il tfr sono stati affidati ai sindacati; la sola riforma liberale guarda caso ha un carattere e un'ispirazione blairiana: la riforma Biagi.

Rischiate di rimanere attaccati ad analisi che potevano andare ancora bene nel 2001, che fotografano in modo piatto (e male) l'esistente, non tenendo conto di una storia che dura da dodici anni, la cui tendenza va vista in prospettiva. E da ciò che leggo, ascolto, vedo in giro, ho l'impressione che la tendenza possa essere descritta pensando a una lampada a diffusione: i liberali della CdL, di numero sempre inferiore, si stanno spegnendo; quelli tra i diesse e i socialisti, al contrario, si stanno accendendo. Avrebbero bisogno di un soggetto politico catalizzatore. Vi siete presi la briga di leggere i primi punti programmatici (ovviamente provvisori) della convention di Fiuggi? Avete ascoltato qualche intervento? Di Boselli, o di Pannella, che continua a dirsi liberista? Vi è capitato di ascoltare qualche direzione Ds? O di leggere ultimamente il Riformista? Bene, ora leggete, ascoltate, guardate ciò che viene dal centrodestra.

Ma queste rischiano di rimanere inutili analisi se non consideriamo un altro dato di fatto, addirittura preliminare. Per criticare seriamente una scelta, bisognerebbe indicare un'alternativa praticabile e migliore, non di mera testimonianza. I Radicali italiani, quelli di Pannella e Bonino, il centrodestra nun se li piglia. Lo scorso inverno, quando Pannella lanciò l'iniziativa dell'"ospitalità", guardando all'inizio prevalentemente a Berlusconi, il centrodestra perse una ghiotta opportunità di avere con sé i Radicali. Il premier lasciò a Bondi il compito di prolungare per giorni un dialogo fittizio: riunioni passate a ripetere gli stessi buoni propositi in attesa di una parola risolutiva, che poteva giungere solo dal premier ma che non è mai arrivata. Invece di chiudere con un gesto da leader, un giorno sì e l'altro pure Berlusconi si faceva linciare pubblicamente dagli alleati contrari all'ipotesi di "ospitalità" dei Radicali, accettando così di far logorare sempre di più la sua capacità di leadership anziché riaffermarla. Eppure, i radicali la «scelta decisiva» di «lavorare per una destra liberale» erano pronti a farla, senza pretendere che la coalizione facesse suo un solo tema etico. Si accontentavano proprio di «angoli libertari sul modello del Partito Repubblicano americano». Ma proprio nel veto ai radicali, il modello verso cui si incammina il centrodestra è più simile alla Dc. E se di scelta parliamo è stata subita, non presa, dai radicali.

Ora Berlusconi si accontenta di raccogliere spezzoni che fungano da orpelli buoni per Liste civetta, purché rimangano spezzoni, cioè senza Pannella e senza Bonino, altrimenti tornano i veti e tutti lo sappiamo. Ma sia chiaro, stima per Benedetto Della Vedova e tanti sinceri auguri, magari riuscisse a portare un raggio di luce in quella casa così tetra. Il centrodestra che aveva convinto Pannella a sperare per dieci anni (dieci anni di tentativi pagati a caro prezzo) in una svolta di Berlusconi non c'è più. E' bene che ci risvegliamo da questo brutto sogno. Si dirà di Della Vedova, ma come mai in tutte queste settimane dopo il suo coming out non è riuscito a strappare una sola dichiarazione in Forza Italia di qualcuno che dica "Emma, Marco, venite con noi"?.

Dunque non condividere una scelta è un conto, ma affermare che per quella scelta i radicali non sono più loro stessi, non sono più liberali, quando al contrario sono gli unici che, proprio perché liberali, hanno potuto nel corso degli anni percorrere tratti di strada insieme a molti, su obiettivi concreti, rimanendo se stessi, è a dir poco ingeneroso. Io gli darei fiducia, aspetterei a giudicare, e soprattutto, se gli si è affezionati, tiferei per loro in questa nuova avventura anziché buttargli addosso questa immeritata acrimonia.

Certo, la strada intrapresa è piena di pericoli ed è giusto indicarli con nettezza. Dal "ghetto" dei diritti civili alla saga patetica dell'unità socialista in cui a molti fa comodo ricondurre il nuovo soggetto, dallo sciagurato riferimento a Zapatero all'inevitabile alternanza prodiana. Ma in questa fase non bisogna pensare tanto a Prodi o all'Unione, e quanto c'è di brutto là dentro e nella CdL, quanto a connotare il nuovo soggetto Sdi-Radicali in senso il più possibile liberale e blairiano. Da questo deriva il suo successo e il suo potenziale di novità.

Monday, September 26, 2005

I cittadini hanno diritti, non lo Stato

Dalla sovranità alla libertà e ai diritti come principi cardine dell'ordine internazionale. Questo ulteriore passo nella direzione di quel diritto/dovere di ingerenza democratica teorizzato dai radicali di Marco Pannella fin dai primi anni '80, viene oggi da Richard N. Haass, presidente del Council on Foreign Relations, tradotto dal Corriere della Sera:
«... Perderà la sovranità un governo che non abbia la capacità o la volontà di provvedere ai bisogni essenziali dei suoi cittadini. Questo è il risultato non solo di uno scrupolo morale, ma anche della dura consapevolezza che la negligenza, più o meno colpevole, può causare flussi destabilizzanti di profughi e portare al disfacimento di uno Stato, creando aperture ai terroristi... Tutto questo implica la nozione che la sovranità è condizionata, o contrattuale, e non assoluta. Se uno Stato appoggia il terrorismo, produce armi di distruzione di massa o compie genocidi, perde il diritto a godere dei normali vantaggi della sovranità ed è passibile di attacco, destituzione od occupazione... La sfida diplomatica sarà quella di ottenere un vasto consenso sui principi di condotta degli Stati e su una procedura per decidere che cosa fare quando questi principi vengano violati».
I cittadini hanno diritti, non lo Stato. Gli Stati Uniti, a destra come a sinistra della loro politica, sono più avanti dell'Europa nell'elaborazione teorica dei nuovi principi dell'ordine internazionale.

Bonino: «Terribile» il segnale di Zapatero

Le elezioni in Afghanistan sono state un «fatto estremamente importante». Lo ha affermato stamani Emma Bonino, a capo di una missione di osservatori europei per le elezioni politiche che si sono svolte in Afghanistan lo scorso 18 settembre, ai microfoni di Repubblica Radio (Ascolta).

Un «futuro è possibile». A una condizione però, avverte l'ex commissaria europea, se «continuiamo ad aiutarli in questa difficile fase di transizione. Dobbiamo restare in Afghanistan, con la consapevolezza che si tratta di un impegno a medio-lungo termine e tenendo presente il contesto circostante». Per questo la Bonino è molto critica nei confronti della decisione di Zapatero, che ha annunciato il ritiro, entro il 12 ottobre, di 500 soldati impegnati nel paese. «E' stata una decisione molto grave dettata da esigenze interne. Un segnale politico terribile, soprattutto perché il governo afghano ci chiede di restare».

Come volevasi dimostrare, Zapatero continua a prendere decisioni di carattere demagogico e irresponsabile, e rimane lontano dal rappresentare un modello di buon governo. E' troppo negativo il giudizio del suo operato perché possa rappresentare, basandosi unicamente sulla sua impostazione laica, un riferimento non imbarazzante per il nuovo soggetto laico, liberale, socialista, radicale, a cui Sdi e Radicali lavorano.

Ancora più dura era stata la Bonino intervenendo sabato alla convention di Fiuggi:
«Torno dall'Afghanistan perché così ha voluto la vita. Da quel paese dove le forze Nato, a guida italiana, stanno svolgendo un ruolo assolutamente incredibile, a me fa specie sapere che alcuni di voi o di altri partiti dell'Unione hanno recentemente votato in Parlamento per il ritiro delle forze italiane. Mi fa specie che Zapatero abbia deciso di ritirare le truppe dall'Afghanistan. Quel paese così misero è uno dei crocevia fondamentali dal punto di vista geostrategico di tutti i nostri rapporti futuri, stretto com'è fra Pakistan, India, Cina, Iran e le ex repubbliche sovietiche. Non si tratta di esportare la democrazia, basta sostenere i democratici che ci sono, e vi assicuro ce ne sono in tutti i paesi, salvo che non li vediamo, non li conosciamo, li sacrifichiamo per ragioni di cosiddetta stabilità, ma l'aspirazione alla libertà, a partecipare al governo del proprio paese, allo sviluppo economico e civile, non è un privilegio degli occidentali, è un diritto sacrosanto di ogni essere umano sotto qualcunque cielo si trovi».
Che «l'aspirazione alla libertà» accomuni ogni essere umano, e che per questo rappresenti una scommessa vincente, è la convinzione, vissuta come vera e propria fede, sulla quale il presidente George W. Bush ha rifondato la politica estera americana e incentrato i suoi mandati.

Rispondere all'offensiva mediatica

Ce lo aveva segnalato già il sito israeliano Debka, e ne avevamo prontamente parlato nell'ultima puntata di Blogroll. Oggi la notizia è uscita su Corriere.it. Al Qaeda ha inaugurato un vero e proprio bollettino settimanale in video via internet intitolato La Voce del Califfato, con annunciatori mascherati, notizie sulla "gioiosa inondazione di Katrina" e anticipazioni sul film Total Jihad. Guido Olimpio ne sa di più.

Come tutte le ideologie anche il fondamentalismo si dimostra quindi capacissimo nell'utilizzare i nuovi e più moderni mezzi di comunicazione di massa per la sua propaganda d'odio. L'Occidente come risponde? E' un segnale, forse, per Europa e Stati Uniti, che se vogliono conquistare i cuori e le menti del mondo arabo dovrebbero investire di più in armi di attrazione di massa.

Lezioni polacche per il centrodestra italiano

In Polonia il partito di destra Diritto e giustizia si è aggiudicato la maggioranza relativa nelle elezioni legislative di domenica. Governerà con i liberali di Piattaforma civica, secondo partito per un pugno di voti. Drasticamente ridotto il partito di governo, Alleanza della Sinistra Democratica.

Prima di affrettarsi a cantare vittoria, il centrodestra italiano dovrebbe fermarsi a riflettere. E' il consiglio che giunge da Matteo Mecacci, sulla base di poche, semplici considerazioni: la coalizione vittoriosa «conferma, se non indurisce, la politica di opposizione all'autoritarismo russo di Putin e dell'ultimo dittatore d'Europa, il bielorusso Lukaschenko, che con sempre minor successo, cercano di bloccare la marcia verso la democrazia di tutti i paesi dell'ex impero sovietico. Una politica, quella polacca, poco in linea quindi con l'afasia e la complicità che il Governo italiano mostra ormai con convinzione e da anni nei confronti delle politiche illiberali, militariste e autocratiche che Putin continua a voler imporre, talvolta anche grazie alla complicità europea e dell'OSCE: si va dall'occupazione militare della Transnistria in Moldavia, ai massacri in Cecenia, dai tentativi di coprire brogli elettorali in Ucraina e in Georgia, per finire con il mix di minacce e sostegni dati agli autocrati dei paesi dell'Asia centrale, stretti tra la morsa di Mosca e Pechino».

Il principale alleato di Diritto e Giustizia, il partito di centro e liberale Piattaforma Civica, ha nel proprio programma «l'introduzione del sistema elettorale anglosassone a turno unico per cercare di far fronte all'involuzione partitocratica che, come in tutta l'Europa continentale, ha colpito anche la Polonia». L'intera coalizione «conferma poi di voler introdurre riforme dell'economia e del mercato del lavoro di stampo nettamente liberale».

Infine, una buona notizia: Radek Sikorski, direttore della New Atlantic Initiative all'American Enterprise Institute di Washington ha buone probabilità di divenire ministro della Difesa.

Sunday, September 25, 2005

Sinistra liberale. Boselli c'è. Fassino in ritardo

Marco Pannella ed Enrico BoselliE' stato deludente e irritante l'intervento di Piero Fassino oggi alla convention Sdi-Radicali di Fiuggi. Non è riuscito neanche a pronunciare i termini "liberale" e "radicale" per descrivere il nuovo soggetto che pure afferma di guardare con «interesse e simpatia». Il segretario Ds non è ancora pronto per una sinistra liberale? E' possibile. D'altra parte, non scordiamoci la legge dei vent'anni che riaffiora, nel senso che gli ex comunisti dimostrano ancora in molte occasioni di reagire con ritardo rispetto alle necessarie svolte politiche e alle impietose lezioni della realtà che spesso contraddice le loro analisi e le loro scelte.

Anche oggi a Fiuggi, Fassino era in ritardo. In ritardo nel comprendere la novità, la natura, lo stato di avanzamento del progetto che prendeva forma in questi giorni. Ha creduto che la sua sola presenza alla convention bastasse per conferire la benedizione Ds all'operazione Sdi-Radicali e che invece l'intervento dovesse essere improntato ad estrema cautela per non sbilanciare in modo definitivo il partito, per non superare quel punto di non-ritorno oltre il quale non sarebbe politicamente possibile, se si fosse in futuro presentata la necessità, ritirare l'appoggio o emendare in modo significativo il progetto. Ne ha parlato nei termini della ritrita unità socialista, di correnti socialiste, come se l'evento cui prendeva parte non rappresentasse la novità di una componente liberale, radicale. Non ha fatto i conti con una platea esigente. Socialisti democratici e radicali hanno saputo bruciare molte tappe verso la costituzione di quel nuovo soggetto politico laico, liberale, socialista, radicale, che ha l'ambizione di essere l'embrione di una sinistra liberale di matrice blairiana contrapposta a quella neocomunista. E si aspettavano di più da Fassino. Era il giorno, il momento opportuno, per lo strappo, per il salto in avanti, alla Blair, esponendo i Ds a un appoggio pieno e attivo al nuovo soggetto.

Riguardo eventuali veti sui radicali dall'interno dell'Unione nemmeno una parola; sul tema della laicità, centrale per i soggetti costituenti del nuovo soggetto politico, Fassino non è andato oltre una generica constatazione della necessità che il centrosinistra debba offrire ai cittadini delle risposte (ma quali?) ai controversi temi della bioetica e dei diritti civili. E infine, non ha resistito alla tentazione del vecchio riflesso pc-ista di rimarcare in modo spiacevole il "territorio": qualunque esito di questa operazione non può mettere in dicussione l'egemonia ex comunista sulla sinistra italiana, conquistata a suon di manette e monetine. Così, l'operazione di rinnovamento e unità di cui Bettino Craxi avvertì la necessità oltre vent'anni fa, giungendo a proporre l'Internazionale Democratica, deve ancora aspettare il decisivo via libera diesse. Allora detestavano che fosse lui, Craxi, il demiurgo del socialismo democratico in Italia. Hanno voluto ereditare loro il marchio, il giochino, per farne cosa? Per ritardare ancora oggi.

Enrico Boselli invece, ci sta sorprendendo. Ci dev'essere stato in queste settimane un trapianto di spina dorsale radicale. Nel suo intervento conclusivo si è spinto quanto più in là poteva nell'abbracciare, in modo che è sembrato pieno e convinto, la tradizione del liberalismo. Fino a convincerci a rivedere la valutazione, espressa alcuni giorni fa con gli amici di Lievito Riformatore, che di fronte all'apatia dello Sdi fosse opportuno interloquire con i Ds. Forse invece, è davvero necessario rafforzare il nuovo soggetto con lo Sdi, connotarlo in senso il più possibile liberale e blariano.

Boselli ha introdotto le categorie di liberale-riformatore e socialista-democratico come culture politiche alla base del soggetto politico federato tra Radicali italiani e Socialisti uniti. «Qui non ci sono solo le correnti socialiste, ma quella straordinaria corrente liberale, laica, libertaria rappresentata dai Radicali Italiani di Bonino, Pannella, Capezzone...», ha rivendicato con orgoglio rispondendo indirettamente a Fassino. Il Partito Radicale Transnazionale e Nonviolento, «che porta avanti il diritto universale alla libertà e alla democrazia».
«Lavoriamo per fare del centrosinistra una grande coalizione per le libertà, in contrapposizione alla destra che è stata nei fatti una coalizione illiberale (...) L'Italia oggi è meno libera (...) Da come si è governato in questi quattro anni appare del tutto improprio che il centrodestra si chiami Casa delle Libertà».
Per il presidente dello Sdi viene prima il nuovo soggetto con i Radicali, poi, se il Nuovo Psi lo ritiene, l'unità socialista, che però acquista tutt'altro significato. Definisce «fondamentale» la presenza nel prossimo Parlamento dei Radicali italiani, la cui assenza ha significato in questi lunghi anni la perdita di molte battaglie. Al contrario che nei decenni passati, in questi anni i laici si sono ritrovati in minoranza in Parlamento, dovendo ricorrere ai referendum.
«Dobbiamo difendere la novità che abbiamo creato a Fiuggi, il linguaggio nuovo con cui abbiamo affrontato i problemi del paese, evitare di rimanere prigionieri del passato (...) Per costruire società aperte dove libertà ed equità possano convivere, senza la pretesa di voler risolvere questo dilemma sul quale si sono cimentati grandi filosofi del '900, bisogna ritornare ai classici del pensiero liberale e la socialdemocrazia europea ha da tempo gettato alle ortiche i vecchi dogmatismi statalisti e accettato i fondamentali principi del liberalismo. Lottare per i più deboli e i più meritevoli non è terreno di scontro ma di incontro tra liberali riformatori e socialisti democratici
E' sembrata una piena e convinta professione di fede liberalsocialista.
«A Fiuggi non stiamo cercando di riunificare una sparuta pattuglia di specialisti dei diritti civili, ma stiamo costruendo un nuovo soggetto politico che fa dell'innovazione la principale chiave della nostra iniziativa... Siamo concentrati sulla laicità perché il regresso delle libertà individuali è un arretramento che frena lo sviluppo del paese. E' ripartita un'ondata neo-integralista che si propone apertamente di imporre una sua egemonia come se il cattolicesimo fosse ancora la religione di stato. Il disegno ambizioso di cui Ruini è il principale attore politico è quello di condizionare entrambi gli schieramenti facendo leva su leader e partiti cattolici. Ma non si può sostenere che la coalizione di centrosinistra non può che comportarsi come quella di centrodestra su questi temi per non perdere consensi nel mondo cattolico. Invitiamo apertamente l'Unione a mantenere un profilo moderno sui diritti civili e a porsi come garante della laicità dello Stato... Contrastare i tentativi in atto delle gerarchie ecclesiastiche di trasformare alcuni dei valori cattolici in legge non è una battaglia anticlericale ma un grande impegno liberale. Abbiamo riscoperto dopo tre giorni di confronto che ciò che ci unisce è il valore che diamo alle libertà, il progetto che serve all'Italia, non tanto ai socialisti e ai radicali».
Proprio sui due temi in cui ci sono più divisioni nell'Unione Boselli si è espresso con maggiore chiarezza:
La politica estera.
«Non è tanto l'influenza del pacifismo che ci preoccupa, ma un certo antiamericanismo che ha radici profonde in una parte della sinistra italiana e che noi da tempo contrastiamo. Sconfiggere i terroristi è un problema di impegno politico, economico e militare».
Boselli rivendica alcuni interventi militari. E' stato «giusto contrastare il regime di Milosevic», intervenire militarmente in Afghanistan, aveva ragione Marco Pannella quando propose l'esilio di Saddam. Poi passa all'Iraq, e dice il massimo, che non sarà per noi mai abbastanza, ma gli riconosciamo che è per lui il massimo:
«Noi non abbiamo condiviso la scelta dell'intervento militare degli Stati Uniti, ma abbiamo comunque considerato positivo il rovesciamento di quella dittatura e lo svolgimento di libere elezioni... Non pensiamo che sia possibile lasciare da sola la nascente democrazia irachena, siamo per una presenza militare sotto l'egida delle Nazioni Unite (già è così, n.d.r.) ... Solo in questo caso si potrà mantenere una nostra presenza militare in Iraq».
La politica economica: «In cosa consiste oggi la questione sociale in Italia?». Boselli dice no all'assistenzialismo che produce dipendenza, privilegi, lavoro nero; no alle pensioni di giovinezza che sottraggono risorse ai veri emarginati e a una nuova rete di sicurezza sociale; no all'Università di massa, l'onere delle spese universitarie non devono pesare su tutti i cittadini; difende la riforma dl mercato del lavoro proclamando che Marco Biagi non era un uomo di destra, come alle destre e alla sinistra massimalista conviene far apparire.
«Bisogna combattere le clientele, il familismo, la logica di clan di chi bussa alla porta del centrosinistra non per vedere riconosciuti i propri diritti, ma per poter vedere riconfermati i propri privilegi».

Iraq, una guerra «di cui andare fieri»

Il Corriere della Sera traduce un articolo di Christopher Hitchens già apparso sul numero del 5 settembre del settimanale neocon Weekly Standard con il quale avevo già titolato un post lo scorso 30 agosto.
Le ragioni per attaccare e rovesciare Saddam erano incontrovertibili. Christopher Hitchens non ha dubbi in proposito. E allora, si domanda il politologo statunitense, perché il presidente Bush non rivendica con orgoglio la giustezza della guerra? E soprattutto perché non si riconosce che la presenza militare americana in Afghanistan e Iraq ha già portato a molti risultati positivi?
Sono loro, i pacifisti, a doversi giustificare.

«Se negli ultimi 15 anni avessimo seguito i consigli dei pacifisti, oggi avremmo un Kuwait annesso all'Iraq, Slobodan Milosevic al potere in Serbia con il Kosovo ripulito etnicamente, i talebani che opprimono l'Afghanistan ospitando i terroristi di Al Qaeda, e Saddam Hussein padrone di quel campo di concentramento in superficie con fosse comuni sottoterra che era il suo Iraq. Non siamo quindi noi favorevoli alla guerra a dover dare spiegazioni, visto che il diritto internazionale la permette se uno stato ne aggredisce un altro, se viola ripetutamente il Trattato di non proliferazione nucleare, se non rispetta la convenzione contro il genocidio o se ospita bande di criminali internazionali. Tutte condizioni presenti nel caso di Saddam...»
Nel corso di un dibattito pubblico, Hitchens le ha cantate di brutto a George Galloway, il deputato inglese amico di Saddam.

Relativismo e relatività

«Ho sempre respinto l'idea per cui certe violazioni, che noi abbiamo escluso dalla nostra convivenza civile da decenni, se non da secoli, debbano invece continuare a prevalere in altre parti del mondo in nome di un relativismo culturale francamente inaccettabile»
Emma Bonino su Corriere della Sera Magazine
Si può essere contro il relativismo culturale, come Emma Bonino e i radicali, a patto di aver compreso la lezione della relatività. Già la scienza del primo Novecento – teoria della relatività generale di Einstein, principio di indeterminazione di Heisenberg, teorema di incompletezza di Gödel ecc. – ci ha mostrato come sia difficile affermare qualcosa di assoluto anche nelle scienze che comunemente si dicono esatte. Ma ciò non significa che tutte le teorie e tutte le affermazioni siano sullo stesso piano, che nessuna ricerca o esperimento abbiano più valore. L'aggettivo uguale non si deve intendere nel senso del medesimo, dello stesso. Uguale va inteso come avente a priori, in teoria, pari dignità. Sottoposte ai rigorosi metodi della conoscenza scientifica, le teorie assumono una loro validità, mai assoluta né definitiva. Esse sono valide "solo" relativamente e sempre falsificabili, ma non per questo del tutto prive di valore. Nonostante la loro relatività e la loro imperfezione sistemica spesso funzionano e le usiamo finché non vengano superate. Allo stesso modo, nella società, culture e valori morali, anch'essi "solo" relativamente validi, funzionano come guida dell'agire umano, mettendoci al riparo dal relativismo etico dello scettico a oltranza, che si abbandona all'impossibilità teorica di effettuare qualsiasi scelta.

Il Vero scontro non è fra civiltà, ma fra sistemi politici, tra società chiuse e società aperte, non tra religioni e culture.

Il partito della Riforma

Un Pannella gigante, la Bonino all'attacco dell'Europa prodiana e azzapaterata
«Qui siamo all'appuntamento che abbiamo sempre cercato e che quel mio gran coglione di Bettino cercava a suo modo, aveva l'ambizione, la fretta, nella storia, di anticiparla, per unificare tutto».
Questa convention, la costruzione di questo nuovo soggetto politico laico, liberale, socialista, radicale, sta regalando a Marco Pannella la forza per combattere decenni alla sua e nostra «alternativa liberale». E' stato da vero e proprio gigante della politica il suo intervento di ieri, che ingenerosamente racchiudiamo in questo passaggio:
«Essere socialisti e liberali significa essere riformatori, allo stesso modo dei cristiani che si liberavano dalla dittatura vaticana: con la Riforma. (...) L'antropologia contemporanea mostra che religiosità e laicità sono due connotati della stessa realtà antropologica, culturale, politica nel mondo che si confronta con un'altra, quella della (a volte) generosa, ma tragica illusione dell'autorità come valore principale e del potere assoluto in nome dell'etica dello Stato di tutti contro la coscienza di ciascuno. E non c'è religiosità laddove la coscienza di ciascuno non si affermi come sovrana da rispettare, perché è l'unico luogo nel quale si può interrogare il mistero e dargli dei nomi onorando quel che ci trascende, perché ogni volta che la coscienza individuale si confronta con l'assoluto nel quale è immersa è la religiosità che prende corpo e si fa storia, non quando si delegano le rivelazioni alle vestali».
Pannella non ha rinunciato a dire per l'ennesima volta lo scandalo "liberismo" e a prefigurare quello scontro «necessario e salutare» fra sinistra liberale e neocomunista.
«Le idealità, la politica liberale e socialista è più a sinistra, più riformatrice della vostra, che continua a celare delle cose di una gravità enorme, nei comportamenti ideologici e antropologici un razzismo incredibile».
Dal gigante di fatto e di politica al gigante solo di politica. La mini-Bonino arriva a Fiuggi con l'aria di chi si deve togliere sassolini dalle scarpe. Non è un'esperta di politica estera o di mondo arabo, tiene a precisare, ma una «militante della libertà, della democrazia, della società aperta, della difesa di diritti civili e politici dei cittadini. Mi capita di farlo in Italia o sotto altri cieli, ma è sempre la stessa battaglia: la battaglia contro l'integralismo e contro l'utilizzo della religione a fini politici e di potere». Il vero scontro è tra società chiuse e società aperte, non tra religioni o culture. Poche altre osservazioni nette e puntuali:

1) Essere europeisti, non retoricamente, oggi significa chiedere una riforma profonda. «Ha ragione Blair: meno agricoltura, più innovazione e ricerca. Sarà un grande scontro, sarà importante vedere dove ci collochiamo». In Europa vige la paura come metodo politico e strumento di governo. Per principio multilateralista, l'unico modo per difendere l'Onu è chiedere una riforma di fondo.

2) L'attacco all'Europa prodiana e azzapaterata:
«Torno dall'Afghanistan perché così ha voluto la vita. Da quel paese dove le forze Nato, a guida italiana, stanno svolgendo un ruolo assolutamente incredibile, a me fa specie sapere che alcuni di voi o di altri partiti dell'Unione hanno recentemente votato in Parlamento per il ritiro delle forze italiane. Mi fa specie che Zapatero abbia deciso di ritirare le truppe dall'Afghanistan. Quel paese così misero è uno dei crocevia fondamentali dal punto di vista geostrategico di tutti i nostri rapporti futuri, stretto com'è fra Pakistan, India, Cina, Iran e le ex repubbliche sovietiche. Non si tratta di esportare la democrazia, basta sostenere i democratici che ci sono, e vi assicuro ce ne sono in tutti i paesi, salvo che non li vediamo, non li conosciamo, li sacrifichiamo per ragioni di cosiddetta stabilità, ma l'aspirazione alla libertà, a partecipare al governo del proprio paese, allo sviluppo economico e civile, non è un privilegio degli occidentali, è un diritto sacrosanto di ogni essere umano sotto qualcunque cielo si trovi».
Che «l'aspirazione alla libertà» accomuni ogni essere umano, e che per questo rappresenti una scommessa vincente, è la convinzione, vissuta come vera e propria fede, sulla quale il presidente George W. Bush ha rifondato la politica estera americana e incentrato i suoi mandati.

Saturday, September 24, 2005

L'acqua fresca di Fiuggi/2

Ottimo clima a Fiuggi, alla Convention Sdi-Radicali per il lancio del nuovo soggetto laico, liberale, socialista, radicale. Tra i leader l'intesa c'è già e si vede, si respira. La platea radicale è un po' più calda, mentre quella socialista più freddina, sulle sue, ma sarà l'età. Non c'è un socialista critico sull'operazione. Qualcuno della vecchia guardia sente l'odore dei tempi migliori. Ottimo l'intervento di Gianluca Quadrana, presidente dei giovani socialisti, blairiano e ben più brillante di molti big.

Fassino interverrà domani o domenica, Rutelli oggi ha fatto sapere che sul nuovo soggetto per lui non ci sono problemi. Mastella non fa paura (a forza di tirare la corda "O io o loro" rischia che L'Unione dica "loro", i radicali) ammesso che a qualcuno non venga la tentazione di farne un alibi. Manca solo l'ultimo e più grosso ostacolo: Romano Prodi. Ma dall'aria che tira direi che stavolta non sarà come per le regionali. Ai Ds è prezioso un soggetto nuovo che bilanci l'asse politico della coalizione, che si esponga sulla laicità riequilibrando l'attuale eccesso di prudenza nei rapporti con la Cei e che possa rappresentare una buona sponda per uscire dall'angolo in cui spesso sono chiusi dalla doppia coppia Prodi-Bertinotti e Rutelli-Ruini.

Molto incoraggiante il «documento d'ingresso». Ricco preambolo storico-ideale, tra le proposte concrete quelle radicali di sempre sono tutte sul tavolo (ripeto: tutte). Fila tutto liscio su diritti civili, giustizia e legalità mentre ci sarà ancora ancora molto da lavorare sulla politica internazionale. Preoccupa davvero invece il capitolo economia, dove manca una visione d'insieme e non è neanche abbozzata una politica economica in grado di rilanciare lo sviluppo del paese, se si esclude un riferimento ancora troppo vago alle politiche di Tony Blair (che però partiva da un decennio thatcheriano).

L'impressione che se ne ricava è di una serie slegata di proposte anche buone che rischiano di perdersi se non inserite in un progetto più ampio e con un approccio coerente. E' così difficile riconoscere che questo paese ha bisogno di una dieta thatcheriana? Se non si ha ancora il coraggio di dirselo in faccia, chiamiamola pippo questa dieta, ma occorre iniziarla. (Nota: servirebbe un Della Vedova). Dieta thatcheriana per la spesa pubblica; ricostituente blairiano per mercato, lavoro, impresa, formazione e innovazione.

Due liete sorprese. 1) Il segretario della Uil Luigi Angeletti interviene con un poderoso discorso sulle libertà. Economiche e individuali. «Non sono un lusso», ma una condizione irrinunciabile. Pensare che la libertà generi disuguaglianza è «conservatorismo di sinistra». Per avere più giustizia non bisogna ridurre la libertà. Cita se stesso, forse senza neanche rendersene conto, quando critica il riformismo che è mediazione di interessi costituiti. Il fatto che la cultura della libertà sia in minoranza è un problema, ma occore evitare che nel centrosinistra prevalgano le risposte conservatrici: il necessario scontro tra sinistra liberale e neocomunista.

Invita i socialisti ad avere coraggio. A non limitarsi a presidiare uno spazio politico, ma a parlare a tutta la società (fu Craxi l'ultimo capace di farlo). Se fu svolta o presa per il culo, lo vedremo, ma il suo discorso di oggi rimane agli atti.

2) Massimo Teodori si è accorto che di là le libertà non sono più di casa. Il liberalismo non si può storpiare all'infinito e l'americano se ne rende conto.

Friday, September 23, 2005

Su Ideazione, la rivoluzione dei Blog

Il nuovo numero di Ideazione in edicola si apre con una sezione sulla rivoluzione dei blog. Oltre all'articolo di Andrea Mancia ("Blog, il libero mercato delle idee"), sulla crisi del giornalismo tradizionale e l'esplosione dei new media, la sezione ospita gli interventi di Giuseppe Granieri ("Apologia del network relativamente stupido"), Davide Bennato ("Una Rete di opinioni pubbliche"), Paolo della Sala ("Blog e neo-democrazia. Semiotica del Web"), Christian Rocca ("I ragazzi in pigiama che stanno cambiando gli Stati Uniti"), Enzo Reale ("L'altra faccia dell'Europa") e il sottoscritto, JimMomo ("Un arsenale per la democrazia"). Tra un paio di settimane, su Ideazione.com, l'intera sezione sarà disponibile online, ma questo numero vale un salto in edicola, fidatevi!
E i miei complimenti ad Andrea, Piergluigi, e a tutta la redazione.

Fischiato non il cardinale, ma il leader politico Ruini

Effettivamente l'iniziativa di Ferdinando Adornato di assegnare al Cardinale Camillo Ruini il premio "liberal" era a dir poco surreale e provocatoria. Andava in qualche modo "sanzionata". Così un gruppo di ragazzi di Siena ha inscenato una chiassosa ma tutto sommato civile protesta, con fischi e striscioni del tipo: "Libero amore in libero Stato", "Siamo tutti omosessuali".

Dopo pochi minuti, terminata quella che ha definito «una piacevole interruzione», il cardinale ha potuto beffardamente riprendere il suo discorso. E dobbiamo ammettere che lo ha fatto con grande eleganza, con il sorriso sulle labbra, seguendo almeno uno dei due consigli che gli ha rivolto Marco Pannella dalla Convention Sdi-Radicali in contemporaneo svolgimento a Fiuggi: «Al Cardinale Ruini voglio dire: stasera sorrida un po', riconosca quale ben di Dio è la vita dei giovani e dei vecchi. Cardinale Ruini, anche lei... si faccia una canna!». Accolto il primo consiglio, non il secondo... a quanto ne sappiamo.

Chiaramente sono subito piovute le solite ipocrite e di circostanza manifestazioni di solidarietà da tutti i partiti, ma il commento più indovinato è stato quello di Enrico Boselli, al quale la vicinanza di Pannella deve produrre effetti benefici:
«Non provo piacere quando il presidente della Cei riceve fischi, ma penso che non fossero indirizzati al prete o al pastore o al vescovo ma al leader politico. Perché la Cei, da qualche anno, e credo legittimamente, fa politica. E quando uno diventa attore politico deve saper accettare le critiche e i dissensi che tutti riceviamo, perché se ci si mette in quella strada c'è anche un diritto a dissentire dalle opinioni politiche espresse dalla Cei».
Difficile che si sia ricordato le parole di Alexis de Tocqueville:
«Gli increduli d'Europa combattono i cristiani più come nemici politici che come avversari religiosi: essi odiano la fede più come l'opinione di un partito che come una erronea credenza; e nel sacerdote combattono assai più l'amico del potere che non il rappresentante di Dio».

L'acqua fresca di Fiuggi/1

Caro Direttore, ringraziandola per l'attenzione che riserva agli articoli che di tanto in tanto le propongo, devo però esprimerle il mio rammarico per il titolo che il suo giornale ha scelto per l'articolo di oggi "L'acqua di Fiuggi lava tutto anche l'identità dei radicali. Tra pannelliani e socialisti un abbraccio mortale?"

Soprattutto i concetti di "identità" e di "abbraccio mortale" sono estranei al testo, che piuttosto, proprio di fronte al luogo comune "i radicali tradiscono se stessi", cerca di sostenere il contrario fondandosi su una serie di recenti affermazioni di Marco Pannella. Nel capoverso conclusivo mi sembrava di aver espresso con chiarezza che l'unica identità che vedo a rischio è quella della sinistra.

Thursday, September 22, 2005

Liberali e conservatori di fronte alle unioni omosessuali

I conservatori «intelligenti» di cui parla Mario Ricciardi oggi su il Riformista (ripercorrendo la storia del caso inglese nel '54), che «non si fanno dettare le linee dalle chiese», sanno anche liberarsi dell'ossessione per il "diverso" e mirare al conservatorismo migliore. Non vi pare infatti curioso che proprio chi critica il disordine e la promiscuità della vita sentimentale degli omosessuali si opponga ai Pacs? Se è vero che lo Stato "premia" il matrimonio rispetto alla semplice convivenza non per discriminazione, ma per la funzione di coesione sociale degli impegni che i coniugi sottoscrivono l'uno nei confronti dell'altro ed entrambi nei confronti della società, allora più il patto civile di solidarietà che il legislatore vorrà istituire si avvicinerà allo status di "piccolo matrimonio", maggiore sarà la sua rilevanza pubblica e la sua funzione di stabilità sociale. Mentre i contratti di convivenza solidale proposti da Rutelli rischiano di estendere benefici anche a chi si sia assunto deboli responsabilità e di causare infinite liti legali. Se fossi un conservatore, sarei il primo sostenitore di queste forme di stabilità sociali, rallegrandomi del desiderio degli omosessuali di aderire ai valori tradizionali piuttosto che combatterli. A prescindere dal sesso, matrimonio e patti a esso simili sono conservatori per definizione.

Di questo, del confuso dibattito tra liberali e conservatori di fronte alle unioni omosessuali tratta il mio articolo di oggi su Notizie Radicali.

«L'accordo è nessun negoziato»

Se non fosse stato presidente Bush avrebbe probabilmente condannato l'accordo annunciato lunedì. Così la pensa il neocon Max Boot riguardo l'accordo sul nucleare nordcoreano. Andiamoci piano a fidarci. Bandire i grandi annunci. I nordcoreani si aspettano il "dono" di un reattore nucleare che gli Stati Uniti non intendono accordargli, perché convertibile per scopi militari. Né c'è un accordo sulle ispezioni. Questo non significa che sia un errore andare avanti. Se la Corea del Nord non rispettasse di nuovo ciò che ha scritto nero su bianco sarebbe ancora più isolata diplomaticamente, ma il rischio maggiore di un simile accordo è che allungherebbe la vita a un regime infame e criminale, un campo di prigionia a cielo aperto. L'ultimo obiettivo degli Stati Uniti, accordo o non accordo, secondo Boot dovrebbe essere il crollo del regime di Pyongyang. Cina e Corea del Sud attualmente si mettono di traverso.

How to Think Like Andrew Sullivan

Andrew Sullivan esordisce come featured blogger del Washington Post. Si presenta così:
I'm a small-government conservative with libertarian leanings at home, and a foreign policy hawk. I believe in a means-tested welfare net, balanced budgets, a strong defense and a flat tax.
(...)
Question: Are you married or single?
Answer: No gay person outside Massachusetts in America can answer that because we have no right to marry and so the distinction is meaningless. And yet, I am asked it on almost every official form I have to fill in. I refuse. I write in "NO RIGHT TO MARRY". I hope others who are treated similarly as nonpersons can do the same.

Le nuove ragioni dell'antifascismo

Christian Rocca recensisce su Il Foglio l'ultimo libro di Paul Berman: "Power and Idealists - Or, the passion of Joschka Fischer and its aftermath"; il seguito ideale dei due precedenti e fortunati libri "Terrore e Liberalismo" (2003) e "A tale of two Utopias" (1997). L'intellettuale liberal favorevole alla guerra in Iraq «indaga proprio sul percorso intellettuale e politico di Fischer e degli altri leader sessantottini europei».
«E' una storia appassionata dell'idealismo rivoluzionario di trent'anni fa e del suo trasferimento, in alcuni casi, a posizioni di potere... Il tema centrale del saggio è il rapporto apparentemente inesistente, ma secondo Berman saldissimo, tra l'11 settembre e il Sessantotto. Berman oggi nota una certa comunanza ideale tra alcuni leader degli anni Sessanta e quel gruppo di persone che ha sempre disprezzato i contestatori rivoluzionari. E c'è anche una condivisione di analisi e di soluzioni nei confronti dei pericoli più seri che corre la società moderna.»
Per Berman la guerra al terrorismo e la politica del regime change in Iraq non sono «né una crociata né una guerra imperialista, ma una nuova fase della guerra scoppiata in Europa ottanta anni fa e mai finita. Una guerra antifascista e antitotalitaria». Il fondamentalismo islamico di Al Qaida e il nazional-socialismo panarabo di Saddam sono «la continuazione morale, ideologica e storica dei movimenti totalitari, sia fascisti sia comunisti, del Ventesimo secolo». Ma queste «ragioni antifasciste» dell'intervento angloamericano in medio oriente, interpretate da Christopher Hitchens, Tom Cushman, Thomas Friedman, sono state ignorate dai media tradizionali.

Prima o poi si ri-sveglieranno le donne. Forse

Altro che «nell'interesse della salute delle donne». La verità è che in tutti i paesi civili la pillola RU486 è utilizzata da anni senza danno per le donne. Noi dovremmo sperimentare qualcosa che a pochi km dai nostri confini è praticato da anni migliaia di volte senza alcun danno? Abbiamo forse la sveglia al collo? Il Sant'Anna di Torino prescrive la pillola da anni seguendo con scrupolo le pur restrittive indicazioni del Consiglio Superiore di Sanità. Ora il ministro Storace inventa una sospensione proclamata ai giornali ma non ancora (chissà perché) sancita con una ordinanza.

Comprendo che le mani del dott. Viale (foto ingenerosa) possano non essere le più rassicuranti, ma è lecito credere che si tratti di una mera strumentalizzazione politica. Odiosa perché sui corpi delle donne. Sembra che ostacolare l'uso dell'aborto farmacologico rimanga un modo di punire extra-legem le donne che ricorrono all'aborto avvalendosi della legge 194, imponendo loro l'intervento chirurgico. Un'odiosa strumentalizzazione dove il bisturi sarebbe l'unica politica antiabortista: combattano la 194 a viso aperto, in Parlamento e nel paese, non giocando con la salute dei cittadini. Siamo sicuri che oltretevere apprezzeranno lo stesso.

Il recente esito referendario sulla procreazione assistita mostra in generale un'opinione pubblica femminile piuttosto distratta su questi temi. Prima o poi, ci auguriamo, le donne si ri-sveglieranno e allora partiremo dal 50%. Per ora ci accontentiamo di un terzetto di donne che tengono gli occhi aperti. «E' l'ennesimo tentativo di colpevolizzare la donna, danneggiandola. Ci proveranno ancora», dichiara la Margherita Boniver. Su il Riformista, Claudia Mancina scrive:
«Solo ragioni ideologiche possono opporsi all'uso di questo farmaco: l'idea che l'aborto debba essere pagato con la sofferenza fisica e possibilmente con l'umiliazione. E' strano che chi si oppone all'aborto preferisca un metodo piuttosto che un altro. Ma la domanda è: tocca al ministro della sanità compiere scelte di questo genere? O si tratta del tentativo di accreditarsi come interlocutore della Chiesa, nella stagione di ritorno ai valori cattolici che è in corso?»
Criticando l'editoriale del giorno prima sul suo giornale, la Mancina sente nelle scelte di Ruini «il sapore di intimidazione» e suggerisce alla sinistra la linea del conflitto più che della mediazione:
«Ruini ha conseguito un importante obiettivo facendo del nostro l'unico paese nel quale non è consentita la procreazione assistita. Ora punta a impedire i patti civili. Se ci riuscirà, sarà un 'altra importante vittoria, che consente una proiezione forte della Chiesa nello spazio pubblico europeo».
«Grazie ai progressi della medicina, da tempo ormai le donne, si sono sottratte alla condanna biblica del "tu partorirai con gran dolore"... Ma che adesso le donne pretendano anche di abortire senza una adeguata dose di sofferenza, questo per alcuni esponenti della cultura cattolica è davvero troppo... Quasi la sofferenza sia un dato puramente fisico, quasi che non esistesse un altro tipo di sofferenza, altrettanto se non più rispettabile, più lacerante e segreto, nel momento in cui una donna sceglie, decide, per ragioni che spetta solo a lei valutare, di rinunciare al bambino che porta in seno. Quasi la sofferenza fosse un obbligo, un valore in sè. In questa visione, la donna che tenti di evitare questa, come altre sofferenze, è colpevole».
E' questo che scoccia agli ultrà cattolici, osserva Miriam Mafai su la Repubblica, mettendo in guardia da quella che chiama «la sofferenza come obbligo».

Ecco, qui non è solo questione di laicità, ma della progressiva riduzione della libertà degli individui. E in Italia già non ce n'è troppa. Stupisce che molti che nel centrodestra reclamano perché lo Stato tolga le sue mani dall'economia, accettano poi passivamente che questa mano invada altre sfere dell'auonomia individuale.

Siniscalco si è dimesso. Questo paese non ce la farà

«Mi dimetto per l'assoluto immobilismo del governo. Il problema non è Fazio, ma chi è incapace di risolvere il problema. Per questo non sono amareggiato: sono scandalizzato».
Scandalizzato anche dal prevedibile assalto elettorale alla Finanziaria, dell'Udc, della Lega, di An, il ministro dell'Economia Domenico Siniscalco sbatte la porta e ne ha tutte le ragioni. «Noi di cultura anglosassone facciamo così».

«Fazio è quel mostro istituzionale, extra-repubblicano, perché qualcuno gli permette di esserlo». Racconta l'anomalia di un sistema nel quale «nessun è in condizione di dire che il governatore non ha più la fiducia del governo».

E' lecito chiedersi, pensando al peggio, quali grandi interessi Fazio debba ancora proteggere per resistere avvinghiato alla sua poltrona come una piovra alla sua vittima. Quali interessi premono per trattenerlo in carica nonostante tutto, quali coperture gli garantiscono, minando dall'interno la credibilità del nostro sistema finanziario ormai sull'orlo di una crisi argentina.

E lui se ne va a New York al FMI, a rappresentare questa Italia.
«No, non mi piace un Paese nel quale una grande banca straniera per venire ad investire i suoi soldi deve chiedere il permesso di Luigi Grillo. No, non ci voglio stare».
Hai ragione caro Siniscalco, neanche noi ci vogliamo stare, che se lo tengano.

E' uno di quei giorni in cui mi convinco che questo paese non ce la farà e mi viene voglia di dimettermi dall'Italia. A chi devo rivolgermi? E' lecito chiedersi, pensando al peggio, quali grandi interessi Fazio debba ancora proteggere per rimanere avvinghiato alla sua poltrona come una piovra alla sua vittima? E' lecito chiedersi perché Banca d'Italia appartiene alle banche che dovrebbe controllare e il governo non può dire la sua sul governatore? Con un debito pubblico così elevato, la nostra stabilità e credibilità finanziaria dipende dalla tutela del risparmio, ma in troppi hanno interesse a mantenere il paese sotto il tacco del debito. Ci siamo mai chiesti chi siano i creditori con i quali lo Stato italiano è indebitato? Siamo sicuri che questi interessi enormi non abbiano agito, nel corso dei decenni, a tutela dell'entità di questo debito, in combutta con la partitocrazia e alle nostre spalle? Una commissione parlamentare potrebbe essere lo strumento che fa al caso nostro per sapere finalmente chi, quanto, quando e con quali complicità. C'è un punto oltre il quale il debitore appartiene ai suoi creditori. Non vorrei lo avessimo raggiunto.

Necessario lo scontro finale tra sinistra liberale e neocomunista

Marco Pannella e Fausto BertinottiE' possibile che i radicali, presi nel dialogo con lo Sdi per la costituzione di un nuovo soggetto politico, abbiano lasciato cadere a priori i pezzi più indigesti della propria proposta politica, per esempio su economia e politica internazionale? E' una lettura che a molti fa comodo avvalorare. Sicuramente da parte di chi nutre profonde perplessità sulla direzione di marcia dell'iniziativa pannelliana. Quella dei Radicali che a costo di entrare nel centrosinistra tradiscono se stessi è una suggestione che prenderà piede in modo speculare a quella, attuale ancora oggi, dei Radicali che "non sono più quelli degli anni '70" a causa dei flirt con il Belzebù Berlusconi.

Ma è uno schema che sembra far comodo anche all'interlocutore, allo Sdi di Boselli e a quelle forze del centrosinistra pronte sì a spalancare le porte ai radicali, purché disinnescati della loro «radicalità» e rinchiusi nel comodo ghetto di "Quelli che... i diritti civili". E' la principale preoccupazione, questa, all'origine dell'iniziativa telematica Lievito Riformatore, di Antonio Tombolini e Andrea Vecoli, che intendono far recuperare centralità alle riforme radicali in campo economico e sociale. La convention di Fiuggi darà le prime risposte, ma abbiamo già di fronte qualche indicazione.

Il dialogo presuppone un linguaggio diverso da quello dello scontro, ma ascoltando Pannella si ha proprio l'impressione che non intenda togliere le castagne radicali dal fuoco. Certo, l'interlocutore, secondo convinzioni e convenienze, decide quale spunto cogliere, quale filo tirare, e quale no.

Così, nell'arco di alcune settimane, sono passate sotto silenzio alcune affermazioni di Pannella. Ma andiamo con ordine. Qualche domenica fa, Pannella afferma che il nuovo soggetto politico laico, socialista, liberale e radicale dovrebbe in un certo senso dare «scandalo»: «Se ha da nascere deve avere dalla sua una parte dell'Unione che lo contesti gravemente e un'altra parte che ci creda con ragionevole e ragionato entusiasmo». Aggiunge che «fino a quando il liberismo di Rossi, Einaudi, Salvemini sarà adottato come sinonimo di perversione è necessario continuare a dire "liberista"» e, per quanto riguarda la politica estera, «sarà quella di Saragat, di Silone, la politica di tanta parte dell'intellettualità internazionale, socialista, liberale, che non avrebbe mai immaginato di chiamare occupanti» gli italiani che stanno a Nassiriya o in Afghanistan.

Due domeniche fa, Pannella avverte che il vero obiettivo, quello radicale di sempre, l'«alternativa liberale» al regime partitocratico, non è a portata di mano. Bensì richiede un nuovo soggetto politico democratico e il passaggio per la «forca caudina» dell'«alternanza» prodiana nel 2006. Una tappa necessaria, come una medicina amara, «per avere le energie per realizzare l'alternativa liberale». «E' la minestra che passa il convento della storia», e «non intendo saltare dalla finestra», chiarisce il leader radicale.

Mentre apprendiamo dal Fraser Institute di Vancouver che dopo cinque anni di governo del "liberista" Berlusconi l'Italia precipita nella classifica della libertà economica nel mondo (dal 33° al 54° posto), Pannella non lascia cadere, ma rilancia i temi di politica economica da sempre cari ai radicali: «Basta con la cassa d'integrazione», basta con l'abitudine tutta italiana di «socializzare le perdite e privatizzare i profitti alle aree della grande industria divenuta parassitaria e condannata dal mercato». La disoccupazione «va governata dall'interesse generale e non dagli interessi corporativi». Occorre «provocarla, sovvenzionarla (con un salario quasi pieno), per convertirla in forza lavoro e capitale nei settori competitivi». Pannella si chiede chi siano i creditori con i quali lo Stato italiano è indebitato, sollevando dubbi su degli interessi enormi che agirebbero a tutela dell'entità di questo debito. Una commissione parlamentare potrebbe essere lo strumento che fa al caso nostro.

Pannella e i radicali sono ancora convinti che più un Paese è libero economicamente, tanto più produce sviluppo, garantisce benessere e consolida la democrazia. Bisogna convincere la sinistra. E veniamo all'intervista rilasciata martedì da Pannella al Corriere della Sera: «Uno scontro tra sinistra liberale e sinistra neocomunista è necessario e salutare... Sono amico di Bertinotti, e sono alla sua sinistra; ad esempio noi vogliamo abolire la trattenuta fiscale alla fonte per i lavoratori dipendenti, loro no. Si dicono anche loro radicali, europeisti, non violenti. In realtà non sono soltanto antiamericani, statalisti, classisti; sono razzisti, quando difendono l'agricoltura iperprotetta europea a discapito di quella del Terzo Mondo; cui negano la democrazia, preferendo sostenere i dittatori... La politica di Prodi e quella di Bertinotti sembrano le stesse della Confindustria: protezionismo e cassa integrazione, a spese di cittadini e disoccupati...»

Nessuno nel centrosinistra sembra dire apertamente queste cose. Nonostante in molti abbiano festeggiato quel 50% raccolto «insieme» dalla sinistra tedesca, in molti non si sono accorti, o fanno finta di non accorgersene, che Schröder, al contrario di Prodi, si è rifiutato di governare sotto il ricatto dei suoi bertinottiani. Il problema della sinistra italiana è il tabù dell'unità a ogni costo, a prescindere dai contenuti. Il 2006 sarebbe un'occasione ghiotta per intercettare le aspettative del "centro" riformatore tradito da Berlusconi, ma non si muoverà una foglia finché non vedrà dall'altra parte una chiara scelta riformista, la quale comporta la rinuncia al 6% di Bertinotti e l'iniezione liberale-socialista-laica-radicale di Pannella, che ritiene «necessario e salutare» uno scontro tra sinistra liberale e neocomunista. Presto, per favore.

Wednesday, September 21, 2005

Cardinale Ratzinger, nulla da dichiarare?/2

Il Dipartimento di Giustizia americano ha comunicato a una Corte del Texas di ritenere non processabile Papa Benedetto XVI, in quanto gode di immunità per la sua carica di Capo di Stato. Tre vittime di molestie sessuali da parte di un seminarista di Houston avevano chiamato in causa l'allora Cardinal Ratzinger, accusandolo di aver dato copertura alla vicenda con il suo operato, quando era ancora il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. (Leggi la storia)

Il giudice Lee Rosenthal, che presiede la causa legale a Houston, non si è per il momento pronunciato, ma il giudizio sulla non processabilità da parte del rappresentante del governo, il viceprocuratore federale Peter Keisler, è da ritenersi vincolante. Nel 1994 una causa analoga avviata sempre in Texas contro Papa Giovanni Paolo II fu chiusa dopo che il l'amministrazione Clinton si era pronunciata in modo simile. Nel proprio parere, il procuratore Keisler ha indicato la carica di Capo di Stato assunta nel frattempo dall'ex cardinale Ratzinger, sottolineando che il procedimento giudiziario sarebbe «incompatibile con gli interessi di politica estera degli Stati Uniti».

L'avvocato che assiste le vittime, Daniel Shea, ha chiamato in causa l'ex cardinale per alcuni documenti scritti nel 2001 nei quali ordinava ai membri del clero, pena la scomunica, di tenere all'oscuro delle autorità civili i casi di abusi, che andavano gestiti nel segreto dai tribunali ecclesiastici. L'avvocato ha già fatto sapere che se il giudice decreterà la chiusura del processo, porterà davanti alla Corte Suprema il riconoscimento da parte del governo degli Stati Uniti della Chiesa cattolica, una religione, come uno Stato, fatto che a suo avviso violerebbe il Primo emendamento alla Costituzione che sancisce la separazione tra Chiesa e Stato.

Attenzione. La vera questione non è tanto, o non solo, morale e religiosa, cioè la diffusione della pratica degli abusi sessuali tra i preti cattolici, ma il conflitto tra giurisdizione dello Stato e giurisdizione della Chiesa. La Chiesa cattolica dovrà pur decidere una buona volta se vuol essere Stato o Chiesa; e comunque insabbiare crimini commessi da propri aderenti sul territorio di uno stato sovrano rimane un preciso reato: favoreggiamento.

Ma la giornata di ieri si è chiusa con una cattiva notizia per il Vaticano. Il procuratore capo per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia Carla Del Ponte ha accusato la chiesa cattolica croata di nascondere nei suoi edifici il criminale di guerra croato Gen. Ante Gotovina. La Del Ponte ha deciso di rendere nota la vicenda dopo che il Vaticano si è rifiutato di cooperare nelle ricerche e di dare informazioni.

Tuesday, September 20, 2005

Quelli dello Sdi ci sono o ci fanno?/3

Dobbiamo concludere che Enrico Boselli ci è. Nell'intervista di oggi a la Repubblica inciampa più volte. Due affermazioni semplicemente non esatte. Affermare che «... in primo luogo, in Germania ha vinto la socialdemocrazia, cioè SPD e Verdi...» e che quella di Schröder sia stata «una riforma dello stato sociale rigorosa, netta, dura» non regge alla constatazione dei fatti. Stando ai numeri la CDU ha la maggioranza relativa e tre seggi in più, quindi secondo le consuetudini tedesche le dovrebbe spettare la cancelleria. Certo, lo scenario politico è complesso e neanche questo si può affermare in modo univoco, ma Schröder non può cantare vittoria più di quanto può fare la CDU, il mandato degli elettori non ce l'ha.

Il voto dei cittadini tedeschi non è che il frutto di una campagna giocata sulle paure degli elettori. Invece di chiedere un forte e preciso mandato riformista, Schröder ha colto due spettacolari rimonte a colpi di antiamericanismo e antiliberismo. Nell'arco di due legislature ne sono scaturite riforme timide e insufficienti, sotto lo scacco dei sindacati e dei lander orientali.

Lo scivolone più grave però avviene quando Boselli, nella fretta di incoronare Schröder re della socialdemocrazia europea, astro vivente cui i socialisti riformisti dovrebbero guardare seguendone gli esempi, si scorda che il cancelliere, fregandosene dell'unità della sinistra tedesca, si è rifiutato di governare sotto il ricatto dei suoi bertinottiani. Al contrario del centrosinistra italiano guidato da Prodi, Schröder una chiara scelta riformista l'ha fatta, anche se i frutti sono ancora poveri.

Così, quando l'intervistatrice ha osservato che «la SPD ha escluso un patto con la Linke» e chiesto se anche il centrosinistra intendesse «ridimensionare» il peso della sinistra massimalista, Boselli ha risposto che "per carità", qui Schröder non è da esempio, «noi dello SDI non abbiamo mai considerato marginali le sinistre radicali. Il problema non è quanto conta la sinistra radicale, ma è che la guida della coalizione deve essere improntata a una sfida riformista, la stessa che ha fatto Schröder». Ennò, è la cosa opposta di quella fatta da Schröder.

Molto meglio Gianni De Michelis su l'Unità, che da Schröder coglie la lezione più utile ai socialisti: «Il successo di Schröder ci aiuta», dice, ma proprio per il motivo disconosciuto da Boselli. Aiuta, «perché fa capire che si governa facendo scelte coraggiose, rifiutando l'alleanza con le componenti estremiste e massimaliste. Il contrario di quel che fa Prodi». Un concetto che De Michelis ribadisce, quasi a far intendere che solo in un centrosinistra non più alleato di Bertinotti ci sarebbe spazio per il Nuovo Psi e l'unità socialista.
«Ci pare che l'aggiunta dei radicali sia assolutamente coerente, ci aiuta a rendere più evidenti i contenuti. Il progetto deve apparire forte, per questo non basta dire che abbiamo fatto una scelta di campo. Noi questo campo lo vogliamo arare profondamente e cambiarlo. Ripeto, ci aiuta l'esempio tedesco, perché apparirà chiara la necessità di prendere le distanze dal massimalismo alla Lafontaine».
Necessità che così chiara non deve apparire a Boselli, mentre nell'intervista di oggi al Corriere della Sera lo stesso Pannella afferma:
«Uno scontro tra sinistra liberale e sinistra neocomunista è necessario e salutare... La politica di Prodi e quella di Bertinotti sembrano le stesse della Confindustria: protezionismo e cassa integrazione, a spese di cittadini e disoccupati».
«Prodi dovrebbe scaricare Bertinotti e vincere senza di lui, cosa per niente impossibile. Il problema non è vincere le elezioni ma governare il paese», conclude De Michelis, che sull'Avanti!, ma forse è solo tatticismo, sembra più aperto all'ipotesi che il Nuovo Psi lasci Berlusconi, mostrandosi capace di andare oltre alla patetica questione dell'unità socialista:
«Il problema non è, come dice Bobo Craxi in modo semplicistico, il cambio di campo, ma il modo in cui noi affrontiamo la questione dell'unità socialista e la questione di questa più vasta unità dei socialisti e dei Radicali, cioè di quell'area che chiamiamo laico-riformista. C'è un problema di autonomia e di identità, e mi fa piacere che mentre Bobo Craxi non lo coglie, Capezzone lo coglie».
Il quale Daniele Capezzone:
«Ricordo ai compagni socialisti e agli amici laici e liberali che dobbiamo puntare a un fatto politico completamente nuovo. La questione dell'unità socialista rischia di incartarsi se affrontata con la testa rivolta all'indietro e con solo la speranza di riunire le famiglie socialiste divise».

Marcello Pera, l'europeo in crisi

Il presidente del Senato Marcello PeraUn lavoro di cui vado fiero, realizzato insieme al collega Francesco Marcucci, è stato pubblicato oggi su Notizie Radicali. Ne suggerisco lettura completa.

Ci si perdoni se torniamo su un tema di non stringente attualità, ma pensiamo che ne valga la pena. Il tema è il lungo intervento con cui il presidente del Senato Marcello Pera ha aperto il Meeting di Rimini. Quella che a caldo era stata una sensazione, per quanto piuttosto netta, ora che è passato qualche tempo, rileggendo l'intervento, ci pare un fatto evidente e degno di nota. Ci è sembrato che il presidente Pera, piuttosto che occuparsi della crisi dell'Occidente, in particolare dell'Europa, e del modo in cui uscirne, abbia impersonato egli stesso, con il suo intervento, la crisi europea, e abbia mostrato il perché non è facile uscirne. Insomma, il presidente Pera non ci ha solo parlato della crisi europea, egli ne ha vestito i panni, la ha interpretata in un modo indimenticabile e toccante.

Ascoltandolo sembra di rivivere le grandi contraddizioni della teoria politica degli anni Venti e Trenta del '900. Allora nel mondo culturale e politico si diffusero espressioni come "crisi morale dell'Europa", "crisi della civiltà occidentale", "tramonto" e "decadenza" dell'Occidente. Di fronte ai rapidi mutamenti del pensiero e dell'ordine tradizionale, ai conflitti di valori che erompevano nelle società occidentali, alla debolezza che mostrava l'idea stessa di liberalismo e tutto il suo complesso di convinzioni, molti intellettuali, anche fra quelli sinceramente democratici e liberali, furono presi da un profondo scetticismo. In una sorta di "fuga dalla libertà", cercando chi un'alternativa chi un aggiustamento, finirono per rifugiarsi in nuovi vincoli autoritari, in sistemi politici che promettevano di eliminare l'insicurezza relativistica, di reagire al presunto livellamento di tutti i valori e di soddisfare il bisogno di ridurre la complessità del mondo moderno. Quei filosofi della crisi spiegavano le insicurezze e le ingiustizie non come frutto di cattive politiche o di una democratizzazione non ancora compiuta, ma come attribuibili ai difetti e alla debolezza intrinseca della democrazia, dell'individualismo, del capitalismo. Così, pensando "a partire dalla crisi", essi non facevano altro che alimentare la stessa crisi che si proponevano di superare, e aprivano la strada alle ideologie organiciste e collettiviste. Alla democrazia liberale rimproveravano di non riuscire a fissare a suo fondamento morale un sistema di valori stabile. Oggi il medesimo rimprovero giunge dal presidente Pera.
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Monday, September 19, 2005

Il "centro" riformatore

Riguardo l'esito destabilizzante delle elezioni politiche in Germania, un editoriale che può servire da spunto per alcune riflessioni è quello di Antonio Polito su il Riformista.

Anche alla luce dei due paginoni pubblicati sabato all'indirizzo di Fassino, l'editoriale di oggi può essere interpretato come il tramonto (per ora?) della suggestione per il Grande Centro che aveva catturato il cuore del quotidiano di Velardi non molto tempo fa. Rutelli e Casini sembrano ormai degli ex «beniamini». Ora invece, il centro viene evocato come spazio politico che la sinistra, i Ds in particolare, dovrebbe colonizzare all'insegna del riformismo, contendendolo proprio alla Margherita di Rutelli. Una sorta di rincorsa al clintonismo. Tutt'altro modo di parlare del "centro".

Nel merito dell'analisi delle elezioni tedesche, non sarei così certo del fatto che la Germania sia «cosciente che il modello tedesco va cambiato». Il voto dei cittadini tedeschi non è che il frutto di una campagna giocata sulle paure degli elettori. Schröder ha mostrato di certo i suoi «attributi», ma quanto «al posto d'onore nel pantheon dei riformisti» al fianco di Blair sarei molto più cauto. Invece di chiedere un forte e preciso mandato riformista, ha colto due spettacolari rimonte a colpi di antiamericanismo e antiliberismo. Nell'arco di due legislature ne sono scaturite riforme timide e insufficienti, sotto lo scacco dei sindacati e dei lander orientali.

Da questo punto di vista, più convincenti Franco Venturini sul Corriere della Sera, «hanno vinto le paure incrociate del declino economico e della perdita dello Stato sociale», e Il motel dei Polli Ispirati, per il quale queste elezioni descrivono la «pancia dell'Europa», il rigurgito illiberale già venuto fuori con la bocciatura da parte francese del referendum sul nuovo trattato costituzionale europeo.

Davvero miope e opportunista, la sinistra italiana festeggia quel 50% raccolto dai cugini tedeschi, ignorando che lassù Schröder se ne frega dell'unità della sinistra e che si rifiuta di governare sotto il ricatto dei suoi bertinottiani. I "nostri" non hanno ancora compreso, o fanno finta di non comprendere, una delle poche lezioni dell'esperienza di Schröder: «Le elezioni non si fanno solo per vincere, si fanno anche per governare». In questo senso, solo in questo, per aver alzato «una barriera alla sua sinistra», possiamo affermare che il cancelliere uscente si sia conquistato il titolo di «riformista».

Tuttavia, pur rifiutando il «ricatto elettorale dell'estremismo» di Lafontaine, colonizzare il centro è proprio ciò che non è riuscito a Schröder, il quale, esattamente come la sinistra italiana, senza bertinottiani non è nelle condizioni di governare. Essere «disposto a perdere voti a sinistra per recuperarne almeno una parte al centro» è la sfida maggiore di ogni politica riformatrice, ma dovremmo sempre tenere presente che esistono due tipi di centro: la palude dei "moderati" (esaltata dal sistema proporzionale), che coagula spinte consociative e interessi corporativi; e il "centro" dei riformatori (possibile con il maggioritario), che fa appello agli elettori più "ragionevoli" dei due schieramenti.