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Friday, July 21, 2006

Sotto l'attacco dell'«Asse del male»

Al direttore - L'altro giorno, alla Camera, il nostro ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, confessava che «l'ipotesi di un coinvolgimento dell'Iran e della Siria è per noi difficile da verificare». L'ha verificata l'inviato del Corriere, Cremonesi, ma non attingendo a chissà quale fonte riservata, bensì intervistando direttamente il premier libanese Fuad Siniora: «Il Partito di Dio è un problema gravissimo: le sue azioni sono guidate da Teheran e Damasco». Crede che possa bastare a D'Alema come verifica?
Il Foglio (21 luglio)

L'intervista non è priva di una forte denuncia dei bombardamenti «criminali» di Israele, ma tutt'altra cosa rispetto ai toni del presidente, filo-siriano, Lahoud. C'è un grido d'allarme vero che dovrebbe essere raccolto dai paesi europei: «Il mondo intero deve aiutarci a disarmare l'Hezbollah», che è «diventato uno Stato nello Stato». Lo sa bene Siniora, che è «un problema gravissimo» e «non è un mistero per nessuno che l'Hezbollah risponde alle agende politiche di Teheran e Damasco. Noi non siamo un Paese in ostaggio della Siria. La nostra è una democrazia viva, con un'opinione pubblica libera, pluralista. Siamo un gioiello unico in Medio Oriente. Ma i siriani sono dentro casa nostra e noi siamo ancora troppo deboli per difenderci».

Non bisogna essere analisti militari, o diplomatici, o ministri degli Esteri di lungo corso, per capire come stanno le cose: Bernard-Henry Levy, sul Corriere di oggi, spiega con una illuminante similitudine cosa sta accadendo. Un conflitto che ormai ha «un rapporto lontanissimo» con la causa palestinese. Hamas e Hezbollah sono i «due pilastri di un fascislamismo» i cui «burattinai» si trovano a Damasco e soprattutto a Teheran e «i cui responsabili sul campo sono palesemente pronti, se la vittoria finale è a questo prezzo, a battersi fino all'ultimo libanese, palestinese e, certo, fino all'ultimo ebreo».

Persino l'ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer è critico con la sinistra europea e ribadisce che Israele non è l'aggressore, ma l'aggredito. Questa è una «guerra per procura», dietro ci sono Siria e Iran.

Il guaio vero è che Fischer crede di poter «addomesticare» l'Iran scambiando «il progetto di arricchimento dell'uranio con tecnologia e commercio. Dico sempre agli iraniani: guardate la Germania di inizio secolo scorso [!], avrebbe potuto essere il secolo tedesco, ma è stata un'occasione persa tragicamente». Fischer non poteva scegliere esempio più illuminante. Penso che gli iraniani stiano guardando alla Germania «di inizio secolo scorso», ma esattamente nel senso più tragico. Da raccogliere, invece, il suo accenno alla Turchia come modello di modernizzazione.

C'è un altro passaggio, dell'intervista a Fischer, da analizzare attentamente. Quando dice: «L'Iran, avevamo avvertito allora, potrebbe essere il grande vincitore della guerra in Iraq e lo è diventato veramente: il primo nemico dell'Iran, Saddam Hussein, è stato eliminato dall'America, il secondo nemico, i taliban in Afganistan, pure, la democratizzazione dell'Iraq ha reso più potenti gli sciiti e con questo anche l'Iran».
Tutto questo è vero, ma qual era la soluzione? Continuare a servirsi dei peggiori dittatori del Medio Oriente, e persino dei talebani, per sperare di contenere gli ayatollah? Non è forse questa la politica che ci ha portati dritti all'11 settembre? Forse la soluzione adesso è obbligata: il regime change in Iran. Solo con un processo democratico anche in Iran la sua influenza sul resto della regione non costituirebbe una minaccia per i paesi confinanti, per Israele e l'Occidente.

Michael Ledeen consiglia di cogliere questa «finestra di opportunità» aperta dai «nostri nemici». Secondo Ledeen, infatti, l'Iran avrebbe fatto male i suoi calcoli, contando sulla debolezza israeliana e occidentale. Rischia la distruzione di Hezbollah, di perdere l'alleanza con la Siria e l'isolamento.

Stranamente, all'interno dell'amministrazione Usa c'è chi spinge per «preservare» i regimi di Teheran e Damasco, per «preservare la stabilità», focalizzandosi sul problema più vicino, Hezbollah, e sull'improbabile "redenzione" del regime siriano del giovane Assad. Ledeen si augura invece che il presidente Bush non ascolti queste voci e si ricordi delle parole pronunciate dopo l'11 settembre. «La battaglia contro Hezbollah è parte di una guerra più ampia... Israele ora sta conducendo quella battaglia; sta a noi proseguire il resto della guerra». Considerare obiettivi legittimi le basi terroristiche in Siria e Iran, tirare fuori le prove della pesante ingerenza iraniana in Iraq, saranno solo i segnali d'inizio dello «stadio successivo della guerra contro i "Signori del terrore", che consiste nel vigoroso sostegno delle forze democratiche in in Siria e Iran».

1 comment:

Ottavio said...

Io credo che alla fine si dovrà andare a sporcarsi le mani per rimuovere il regime iraniano, prima ancora di quello della siria.

Credo sia giusto dare appoggio ai dissidenti interni, ma puntare solo su di loro pur se aiutati potrebbe comportare un'attesa di dieci anni, forse venti, molto probabilmente anche di più.

La domanda che spesso mi faccio è se ci si può permettere di attendere così a lungo.