Un evidente segnale da parte di Washington, volto a far capire che sono pronti a percorrere sul serio la via del negoziato, come ha confermato oggi Condoleezza Rice riferendosi proprio alla presenza di Burns a quel tavolo: «Penso che noi abbiamo fatto abbastanza per dimostrare che gli Stati Uniti sono seri, per assicurare ai nostri partner che siamo seri».
Tuttavia, Teheran è rimasta indifferente al messaggio. «Ci aspettavamo di avere una risposta dagli iraniani. Ma, come è già accaduto molte volte con gli iraniani, non è uscito nulla di serio». Anzi, il negoziatore iraniano Jalili si è messo a recitare uno «sconclusionato» monologo pieno di «chiacchiere sulla cultura», si è lamentata la Rice, evidentemente informata da Burns. «E' tempo che gli iraniani diano una risposta seria. Non possono bloccare tutto e disquisire di cultura, devono prendere una decisione. La gente è stanca delle loro tattiche per prendere tempo. Siamo nella posizione più forte possibile per dimostrare che se l'Iran non agisce, allora riprenderemo la via delle sanzioni».
Sanzioni che questa volta potrebbero riguardare le raffinerie e gli impianti di gas naturale iraniani, andando ad incidere negativamente sulla produzione della prima fonte di ricchezza del regime.
Netta anche la posizione del premier britannico Brown, che ha parlato alla Knesset: «L'Iran deve fare una scelta chiara. Sospendere il suo programma nucleare e accettare la nostra offerta di negoziati, o affrontare il crescente isolamento. Non da parte di una sola nazione ma da parte di tutto il mondo».
La presenza del numero tre del Dipartimento di Stato all'incontro di Ginevra tra Solana e Jalili ha sollevato molte polemiche oltreoceano. Agli occhi di Michael Rubin, dell'American Enterprise Institute, è apparsa un cedimento. La Rice, ricorda oggi sul Wall Street Journal, nel 2006 aveva assicurato che gli Stati Uniti si sarebbero seduti al tavolo dei negoziati al fianco dei partner europei solo se Teheran avesse sospeso completamente e in modo verificabile le attività di arricchimento dell'uranio. Una «linea rossa» che sabato scorso il Dipartimento di Stato ha invece oltrepassato senza alcun impegno da parte iraniana.
Eppure, il pacchetto di incentivi è già particolarmente ricco. Non si nega affatto all'Iran il diritto all'energia nucleare. Anzi, l'offerta comprende infrastrutture e nuove tecnologie e l'amministrazione Bush si impegna persino ad aiutare Teheran nella costruzione di un reattore ad acqua leggera.
«La diplomazia non è sbagliata - osserva Rubin - ma l'inversione del presidente Bush è cattiva diplomazia, al livello di Carter, che sta dando respiro a un regime fallimentare». In questo modo, conclude, «invece di rafforzare la diplomazia, la Casa Bianca rivela che le sue linee rosse sono illusorie» e offre ad Ahmadinejad un successo diplomatico - aver riportato gli Usa al tavolo del negoziato senza precondizioni - da giocarsi sul fronte interno per la sua rielezione. Il regime degli ayatollah punta infatti al confronto diretto con Washington.
La presenza di Burns all'incontro di sabato scorso rappresenta davvero un cambiamento di rotta nell'approccio dell'amministrazione Usa nei confronti dell'Iran? In America si dibatte molto di questo e già alla vigilia di quel tavolo, in una intervista alla Cnn, Condoleezza Rice cercava di chiarire il significato di quella presenza all'insistente intervistatore, Wolf Blitzer.
«Fammi essere molto chiara sul fatto che gli Stati Uniti chiedono come precondizione per l'avvio di negoziati la sospensione dell'arricchimento dell'uranio. Ciò che Bill Burns andrà a fare è dimostrare l'unità del gruppo 5+1... che siamo uniti. Andrà ad affermare che gli Stati Uniti appoggiano pienamente il pacchetto... Ma renderà molto chiaro il fatto che non ci saranno negoziati in cui gli Stati Uniti saranno coinvolti finché non ci sarà una sospensione verificabile dell'arricchimento».E si limiterà ad «ascoltare la risposta degli iraniani», aggiungeva la Rice. «Se l'Iran è pronto a sospendere, gli Stati Uniti ci saranno. Ma è molto importante riconoscere che questo rinforza una posizione che noi abbiamo mantenuto dal 2006». Nessuna inversione di rotta, dunque, secondo la Rice. Ma non è la stessa cosa - la incalzava l'intervistatore - che partecipare ai negoziati? «Riconosco - rispondeva la Rice - che ciò che abbiamo fatto è un passo che pensiamo dimostri a tutti la nostra serietà in questo processo. Ma ciò che non è cambiato è che gli Stati Uniti sono determinati a negoziare solo quando l'Iran avrà sospeso l'arricchimento».
Ma sedendosi a quel tavolo, pur limitandosi ad ascoltare e a ripetere questo messaggio, il sottosegretario Burns non ha di fatto preso parte a un negoziato? All'ennesima obiezione la Rice spiegava:
«Molto spesso noi sentiamo dire, Wolf, "Noi non siamo sicuri che gli Stati Uniti siano davero dietro questo". Così io ho firmato la lettera di accompagnamento. Ora Bill andrà a ricevere la risposta... Ho trasmesso la proposta. Lui riceverà la risposta. Ciò dovrebbe dare agli iraniani ogni indicazione su quanto fortemente gli Stati Uniti sostengano questo pacchetto... Il punto è che stiamo mandando agli iraniani un forte messaggio sulla politica americana e l'unità con i nostri alleati. Questa è stata la nostra politica dal 2006».Insomma, il problema sarebbe quello di non offrire alibi agli iraniani, che in passato non hanno creduto, o hanno finto di non credere, al fatto che sui pacchetti di incentivi proposti dal 5+1 si impegnassero anche gli Stati Uniti.
I segnali, dunque, rimangono contrastanti. Da una parte continuano le speculazioni su possibili attacchi militari contro le installazioni iraniane, da parte degli Stati Uniti o più probabilmente di Israele. Dall'altra, circola l'indiscrezione, riportata in modo dettagliato dal quotidiano britannico Guardian, secondo cui gli Stati Uniti sarebbero addirittura pronti a riaprire una loro "sezione d'interessi" a Teheran, abbandonata il 20 gennaio 1981 dopo il sequestro dei diplomatici americani tenuti in ostaggio dai pasdaran all'interno dell'ambasciata per 444 giorni.
Il Dipartimento di Stato per ora non ha smentito l'ipotesi e la presenza di Burns a Ginevra potrebbe preludere a una mossa di questo genere. Anche queste voci sono state argomento dell'intervista rilasciata dalla Rice alla Cnn. Ecco come ha risposto sulla questione:
«Non entrerò nelle nostre decisioni interne. Noi cerchiamo sempre modi per raggiungere il popolo iraniano. Noi crediamo fortemente che il popolo iraniano non nutra ostilità nei confronti degli Stati Uniti, e noi certo non nutriamo ostilità verso di esso. Noi vorremmo trovare modi per raggiungere gli iraniani e per rendere più facile per loro venire negli Stati Uniti. Siamo sempre alla ricerca di modi per fare questo».L'apertura di una "sezione d'interessi" potrebbe preparare il campo alla proposta cui Teheran starebbe da tempo mirando, secondo i teorici del "Grande Accordo", e che finalmente a Washington si sarebbero decisi ad avanzare: la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra le due nazioni e il riconoscimento del ruolo di primo piano dell'Iran nel Grande Medio Oriente, in cambio della rinuncia da parte iraniana non all'energia nucleare ma all'acquisizione delle armi e della fine dell'appoggio a gruppi terroristici come Hezbollah e Hamas. Insomma, status in cambio di stabilità.
Ma dalle parole della Rice nell'intervista alla Cnn non si può del tutto escludere che l'iniziativa di aprire una "sezione d'interessi" a Teheran prenda tutt'altra direzione, quella di una centrale operativa per organizzare e sostenere la dissidenza iraniana e provocare così il "regime change" dall'interno.
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