Pagine

Friday, July 11, 2008

Il «collasso intellettuale» della presidenza Bush

La Corea del Nord ha consegnato a Pechino 18mila pagine di documenti top-secret sulle sue attività nucleari. Una prima, parziale e tardiva applicazione delle intese raggiunte nel 2005, e perfezionate nel 2007, dal Gruppo dei Sei (composto anche da Usa, Cina, Giappone, Russia e Corea del Sud). In cambio, il presidente Bush ha annunciato la fine delle sanzioni commerciali previste dalla legge "Commerciare con il nemico" e comunicato al Congresso che entro 45 giorni la depennerà dalla lista degli "Stati terroristi".

Più che da un reale passo avanti, a molti l'annuncio è sembrato dettato dall'ansia, tipica delle presidenze Usa a fine mandato, di uscire di scena dimostrando di aver ottenuto un successo diplomatico. Tra questi, un ex membro dell'amministrazione Bush, il "falco" John Bolton, ha espresso critiche particolarmente dure in due articoli, per il Wall Street Journal e il Daily Telegraph.

A molti europei, la politica nordcoreana del presidente Bush nel suo secondo mandato sarà sembrata «confortante» rispetto al suo precedente unilateralismo. Le immagini della distruzione della torre di raffreddamento del centro nucleare di Yongbyon appaiono «rassicuranti». In realtà, «ciò che sta collassando non è il programma nucleare nordcoreano, ma la politica estera del presidente Bush». Un «collasso intellettuale», lo definisce. Il più triste. E' difficile dire cosa rimane della "Dottrina Bush", se uno degli stati che con i suoi programmi nucleari e missilistici ha assistito materialmente Siria e Iran la fa franca.

«La Maskirovka, l'oscura arte sovietica della negazione, dell'inganno e della dissimulazione è ancora viva e in buona salute a Pyongyang», ma l'amministrazione Bush non sembra essersene accorta. Ha preso per buona una documentazione «limitata, incompleta e quasi certamente falsa». I molti buchi «impediscono di capire quanto plutonio sia stato prodotto a Yongbyon durante la sua attività, fattore determinante per stimare quante armi nucleari la Corea del Nord possiede».

Pyongyang, ricorda Bolton, «ha violato ogni significativo accordo e tutto induce a pensare che stia proseguendo con il suo tradizionale gioco». E' piuttosto «esperta» nell'impegnarsi ad abbandonare il suo programma nucleare, come ha fatto negli ultimi 15 anni, salvo poi fare esattamente il contrario. L'accordo del 13 febbraio 2007 stabiliva esplicitamente che avrebbe dovuto fornire una dichiarazione completa di tutte le attività nucleari entro 60 giorni. Non lo ha rispettato, né nei tempi né nella sostanza. «Nonostante abbia fornito meno di quanto previsto dall'accordo di 16 mesi fa, noi la ricompensiamo concedendo più di ciò che avevamo pattuito”, lamenta Bolton. Il reattore gemello di Yongbyon, scoperto e distrutto in Siria dall'aviazione israeliana, non è solo l'ennesima prova della «doppiezza» nordcoreana, ma anche del fatto che il programma nucleare è ancora in vita.

«Non è la fine di un processo ma solo l'inizio», Pyongyang resterà sotto osservazione finché il disarmo nucleare non sarà del tutto verificato. Così si difende Bush, ma «c'è poco o nulla di preciso su che cosa significhi davvero verificare». La verifica, spiega Bolton, dovrebbe essere così «estesa, trasparente ed intrusiva, da minare le fondamenta del regime stesso, e Kim Jong Il ovviamente non la accetterà».

L'amministrazione ritiene le critiche «infondate», rispondendo di aver sempre saputo che la de-nuclearizzazione della Corea del Nord sarebbe avvenuta «per fasi». Ma proprio questa risposta «rivela uno dei problemi centrali di questo tipo di accordi», secondo Bolton: «Procedere per fasi non conviene agli Stati Uniti. Ne trae beneficio solo il regime nordocoreano. Allungare il processo consente a Kim Jong Il di restare al potere e massimizzare i vantaggi politici ed economici che può strappare da ciascuna delle spaventosamente lunghe e dolorose fasi». Per stati come Iran e Corea del Nord, «la diplomazia non è fatta per risolvere i problemi, ma è un modo molto efficace per prendere in giro gli ingenui occidentali, acquistando così tempo prezioso per raggiungere i loro obiettivi». Negoziare con la Corea del Nord o con l'Iran è «come sedersi a discutere con la Mafia per far rispettare la legge».

2 comments:

Anonymous said...

Stai dicendo che dovevano ottenere di più da Pyongyang? O forse che non bisognava negoziare affatto? Spero davvero che sia la prima, perché la seconda implica necessariamente che la Corea dovesse essere minacciata di attacco se non avesse cessato il programma nucleare. E mi sa che Kim Jong-Il avrebbe visto il bluff.

- Aequus

Anonymous said...

http://www.younggalleryphoto.com/photography/chancel/chancel.html

scenografia del regime