Il fatto sorprendente è che alla mistificazione questa volta non hanno partecipato solo Rifondazione o Diliberto, la Cgil di Epifani, che ha parlato di «autoritarismo strisciante», e i soliti sindacati, ma anche i "riformisti" Pietro Ichino ed Enrico Letta.
Eppure, l'emendamento non fa che applicare a un caso specifico (semmai è questo il suo limite), e a rapporti a tempo determinato, il principio che lo stesso Ichino aveva proposto per superare la rigidità assoluta e indissolubile dei rapporti a tempo indeterminato. Come ben ricorda Giannino, Ichino proponeva di stabilire per legge «che l'assicurazione del lavoro a tempo indeterminato abbia un costo certo di reversibilità, per le imprese... che il rapporto - in certe condizioni legate alle ristrutturazioni e agli andamenti del mercato, cioè alla flessibilità che alla produzione serve - sia solubile a patto che l'impresa si accolli un costo quantificabile con certezza e non dal giudice, fissando in legge un certo numero di mensilità da corrispondere al lavoratore posto fuori dall'azienda».
Insomma, un'indennità anziché il reintegro. Un modo per superare l'assurdità dell'articolo 18. «E che cos'è, la norma di cui oggi Ichino e tutta la sinistra chiedono l'abrogazione immediata, se non la sostituzione del diritto intangibile all'assunzione a tempo indeterminato con un numero di mensilità pagategli dall'azienda?» Con la differenza, si badi bene, che lì si trattava di un licenziamento, qui di una mancata assunzione dopo un periodo, in alcuni casi molto breve, di lavoro a termine.
Cosa succede in situazioni come quelle delle Poste lo spiega bene Il Foglio. Ii giudici del lavoro sono di manica larga e «le resistenze sono più deboli, nel caso degli enti pubblici, in quanto essi possono scaricare i costi sulla collettività». Tuttavia, «la mina vagante di questi ricorsi minaccia la fattibilità dei tagli alla spesa. Il governo dovrebbe ringraziare i parlamentari che hanno presentato questo emendamento, anziché assumere atteggiamenti pilateschi», osserva il quotidiano di Ferrara, che aggiunge un'altra condivisibile riflessione:
«La falsa socialità di chi si oppone all'emendamento emerge se si considera che un lavoratore assunto per sentenza sottrae il posto a coloro che l'impresa vorrebbe assumere. Quando si tratta di personale in eccesso, questo è un arcaico imponibile di manonera, che qualcuno pagherà».Tutti sappiamo quale sia il vero problema: l'inamovibilità del personale assunto a tempo indeterminato nel settore pubblico. Che una volta ottenuto il posto fisso, diventa improduttivo, "fannullone", costringendo l'ente a ricorrere ai lavoratori a termine (e a farli "trottare"), i quali a loro volta rivendicheranno i diritti di "San Precario" e verranno riversati nel baraccone. E così via, altro giro-altra corsa, in un circolo vizioso senza fondo.
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