C'è da rimanere ammirati dall'imponenza della campagna elettorale di Barack Obama. E' evidente che i suoi viaggi in Medio Oriente e in Europa hanno avuto come obiettivo principale quello di rafforzare il lato su cui l'immagine di Obama è più debole. Di dissipare i dubbi sulla sua inesperienza e inaffidabilità, facendolo apparire sui teatri più caldi del mondo, o nelle capitali più importanti d'Europa, come se fosse già un presidente in carica. Come se avesse già vinto, o come se fosse già stato presidente. Il resto viene in secondo piano. L'importante non è ciò che ha detto, ma il trovarsi lì, a Kabul, a Berlino e a Parigi, acclamato da decine di migliaia di persone, ricevendo l'accoglienza degna di un capo di Stato sia dalla gente che dai leader europei, come Sarkozy, che si dichiara suo «amico». E tutto ciò nonostante i suoi discorsi di politica estera continuino ad essere generici, inducendo il quotidiano Liberal oggi, ma gli stessi commentatori americani, a chiedersi chi abbiano di fronte, se un nuovo Kennedy o un nuovo Carter.
Un evento, quello nella capitale tedesca, organizzato in modo eccellente. Chi si ricorda della visita di John McCain, nel marzo scorso, che pure era venuto con una visione chiara dei rapporti transatlantici e con l'idea della Lega delle democrazie? Anche se il palco non era allestito sotto la porta di Brandeburgo, richiamava alla mente altri storici discorsi di due grandi presidenti Usa, Kennedy e Reagan. E il messaggio lanciato, «Abbattiamo gli ultimi muri», non poteva essere più felice. Richiama il celebre «Mister Gorbacev, abbatta questo muro!», pronunciato da Reagan con la folla in delirio, ma allo stesso tempo dà l'idea di una nuova missione da compiere, di altri muri da abbattere, nuove «frontiere» da conquistare. Insomma, è noto come l'opinione pubblica europea mostri per Obama un gradimento che va oltre l'80%, ma quello di Obama è un messaggio che parla agli americani la lingua dell'unità, all'insegna di Kennedy e Reagan, come se in Obama democratici e repubblicani potessero riconoscere l'uno e l'altro.
Che abbia parlato sotto la colonna della vittoria anziché la porta di Brandeburgo, come ha osservato Bill Kristol per Liberal è un aspetto del tutto secondario. Gli americani hanno visto sopra di lui un bell'angelo dorato, percependolo come uno dei simboli di Berlino ma ignorando il suo valore simbolico militarista e nazionalista. E ormai anche per i cittadini europei quello è molto più l'angelo del film "pacifista" e poetico di Wenders, "Il cielo sopra Berlino", che il simbolo del trionfo prussiano contro Francia, Austria e Danimarca.
L'operazione è riuscita. Obama sembra già presidente. Da presidente viene accolto in Europa, si è voluto far vedere al pubblico americano. E in questo senso si può dire che forse per la prima volta l'opinione pubblica europea entra nella campagna presidenziale Usa. Si ha la sensazione che il calore con il quale è stato accolto Obama a Berlino possa effettivamente avere un peso, sia pure minimo, sull'immagine di Obama negli Stati Uniti.
Attenzione, però, l'effetto potrebbe essere duplice. Da una parte, l'accoglienza ricevuta in Europa dai leader e dalla gente contribuisce senz'altro a renderlo credibile nel ruolo di presidente, lo aiuta a dipanare o almeno ad alleggerire l'aurea dell'inesperto, ma dall'altra c'è da chiedersi se quello europeo non possa rivelarsi alla lunga un abbraccio mortale per Obama.
Presso l'elettorato moderato, patriottico, indipendente americano, l'Europa politica non gode di grande stima. Pare che al comizio di Berlino fossero vietati cartelli e striscioni. Si temeva che potessero «danneggiare l'immagine del candidato al suo ritorno in patria» con slogan dal sapore anti-americano. Infatti, se Obama riscuote tanto successo tra gli europei è perché essi vedono in lui la sconfitta dell'America razzista e guerrafondaia di Bush e Cheney, un americano contrario a tutte le politiche americane più odiate, dalle guerre al libero mercato, fino al diritto a portare armi. Obama è quello che vuole il ritiro dall'Iraq e che vota per aumentare le tasse ai ricchi, quello che vuole difendere i posti di lavoro con il protezionismo contro la globalizzazione.
Naturalmente c'è dell'esagerazione. Obama non è così "pacifista", no global e anti-liberista come gli europei sognano, ma un simile ritratto lo danneggerebbe negli Usa proprio presso quell'elettorato che deve convincere per arrivare alla Casa Bianca. Gli europei lo amano per gli stessi motivi per cui i settori decisivi dell'elettorato americano non lo voterebbero. Vedremo, se l'operazione Berlino si rivelerà un mezzo miracolo o un mezzo boomerang.
4 comments:
"quello che vuole difendere i posti di lavoro con il protezionismo contro la globalizzazione."
Questo è Tremonti, che in America non voterebbero perché non sono cosi fessi come te e me (e scusa per il "fesso" che era una battuta)
Non sarebbe male vedere Obama presidente, è pur sempre mille volte più liberale dei nostri. Già me l'immagino Berlusconi al primo incontro complimentarsi per l'abbronzatura :-)
Questi viaggi sono puro turismo, Obama non ha speranze
Fede,
Il dubbio che sollevi è a mio avviso anche troppo "timido".
Gli americani che "soffrono" per l'impopolarità di Bush all'estero, e che vorrebbero un presidente che "piace agli europei" per sentirsi più benvoluti; gli americani che hanno visto e magari persino apprezzato i film film "pacifisti e poetici" di Wenders; quelgi americani sono gli americani che erano già intenzionati a votare per Obama 15 giorni fa.
L'elezione stavolta la vince chi riesce a convincere gli indecisi, non chi meglio galvanizza lo zoccolo duro della propria curva. Il viaggio europeo di Obama è stato invece questo, un segnale maldestro perchè destinato a far breccia solo tra chi era già ben disposto, una versione politicamente corretta della tattica alla Karl Rove, che però questo giro non funziona più.
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