Alla presentazione del nuovo numero di Limes interamente dedicato alla Cina, "Il marchio giallo", oltre al direttore Lucio Caracciolo e al Card. Silvestrini, Prefetto Emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, ha partecipato il ministro degli Esteri Franco Frattini. La tesi esposta nell'editoriale di Caracciolo è che la Cina è sì un colosso del commercio mondiale che invade i mercati esportando merci, ma non è ancora una vera superpotenza, perché non esporta il «marchio giallo», cioè un brand «proprio e universale», che «la distingua e la faccia apprezzare». Il made in China di oggi è altro, tutto quantità senza qualità.
Pechino è lontana, scrive Caracciolo, dallo «stigma delle superpotenze al loro acme», il soft power inteso come potere della seduzione. Ad oggi «spaventa più che attrarre», come quando cade nel «disastro mediatico» della rivolta tibetana nel marzo scorso, dimostrando l'«insicurezza» e il volto violento del suo regime. E' bastato un «pugno di monaci» a rafforzare la sua «cattiva immagine».
L'economia non basta per diventare egemoni, spiega il direttore di Limes. Tra l'altro, Pil e reddito pro capite sono ancora troppo bassi per «aspirare al rango di supergrande». Il «cocktail di autocrazia e capitalismo» porta risultati e conviene a molti leader africani, ma la Cina non offre modelli culturali «appetibili». In America e in Europa «i pregiudizi negativi sul made in China crescono con progressione geometrica rispetto alla penetrazione di merci cinesi». Quanto alla way of life, «il giovane cinese scimmiotta i tic occidentali» e il sistema politico cinese in Occidente è «anatema».
Quindi, quanti prevedono «l'inevitabile sorpasso del Pil cinese ai danni di quello americano entro dieci o vent'anni, dovrebbero tenerne conto»: questa Cina non ha ancora prodotto il suo marchio di successo. L'«irradiamento» del regime di Pechino è «modestissimo». «Su queste basi pretendere al primato mondiale – anche solo alla cogestione sino-americana – è alquanto fantasioso», conclude Caracciolo.
Nel suo intervento il ministro Frattini non si è sottratto a dare almeno una risposta alle tante domande aperte dal nuovo numero di Limes: è la Cina ad essere divenuta «più globale», non il mondo «più cinese». Non c'è area del mondo in cui però non giochi un ruolo forte, ha osservato. In molti casi positivo: dal contributo alla stabilizzazione in Libano ai negoziati sul nucleare con la Corea del Nord; dai rapporti con il Giappone agli sforzi per una zona di libero scambio tra i Paesi dell'Asean. «Bisognerà tener conto della Cina anche per stabilizzare Afghanistan e Pakistan», ha suggerito Frattini.
L'Occidente ha il «dovere di rafforzare il proprio incoraggiamento alla Cina perché sia un attore globale responsabile». Ma su alcuni grandi temi, in particolare, va «stimolata» a fare di più. Il ministro ha auspicato che siano sciolti i dubbi sul rispetto delle regole del WTO e ambientali, e che Pechino intraprenda il «percorso verso standard occidentali sui diritti umani» in modo «risoluto». Del tema dei diritti fanno parte la libertà religiosa e la pena di morte, ha ricordato, così come il dialogo con le minoranze. «Vogliamo che la Cina continui il dialogo con il Dalai Lama». Non per l'indipendenza del Tibet, che è lo stesso Dalai Lama a escludere, come sanno tutti, ma nel rispetto del principio del dialogo.
Riguardo la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi, sarà il sottosegretario allo Sport, Rocco Crimi, a rappresentare l'Italia, ha anticipato il ministro, che invece sarà in vacanza. «Altre presenze – ha precisato – saranno valutate individualmente». Sentiti i capi di Stato e di governo europei, Sarkozy ha detto che andrà. «E a noi questo basta. Non c'è una linea di governo in un senso o in un altro, come non c'è una linea dell'Ue».
«Gestire» la Cina è «un'illusione», ha sottolineato Frattini. Occorre «un'agenda comune» su temi come l'ambiente, l'energia, la salute, la cultura, la riforma dell'Onu, il programma nucleare iraniano. E sulla crisi del Darfur Pechino «avrebbe una parola in più da dire». Ma «dalla paura, dal dubbio e dalla diffidenza», dobbiamo passare alla «fiducia» nei rapporti con la Cina; dalla tentazione di difenderci soltanto «al coinvolgimento e alla partnership strategica». Chissà cosa ne penserà il ministro Tremoni.
Per tutto questo, ha concluso il ministro, «ci vuole l'Europa, che ancora non è un attore globale». Rispetto alla promozione dei diritti umani, per esempio, «vorremmo vedere l'Ue impegnata senza se e senza ma». Un G-2 sino-americano, tagliando fuori l'Ue, non avrebbe grande futuro, ma potrebbe un giorno essere una realtà se l'Ue si suicidasse, ha avvertito.
2 comments:
Se l'articolo riporta fedelmente i contenuti, o lo spirito, il succo dei medesimi, e non ho motivo di dubitarne, siamo di fronte all'ennesima messe di sciocchezze, e luoghi comuni sulla Cina. Me glio andarsi a vedere analisi serie, che questa paccottiglia di quarta categoria. E magari qualche numeretto non guasterebbe. UBS, JPM, MSDW oppure l'Università di Princeton, ma anche molte altre hanno pubblicato qualcosa.
PS. le centinaia di migliaia di ingegneri, solo per dire quelli, che sfornano, sono di primissimo livello. E copieranno pochino, temo. Noi ci terremo il design, o forse nemmeno quello, anzi quasi certamente nemmeno quello.
Cumino
Grazie per questo riepilogo breve ma preciso.
Relativamente alle parole di Caracciolo, esse confermano sempre di più come in Italia ci sia un urgente bisogno di buttare via i ferri vecchi e sostituirli con qualcuno che conosca ciò di cui parla.
Storicamente gli Stati si sono trasformati in grandi potenze grazie alla crescita economica, non al "soft-power" (che è, infatti, un derivato della forza economica). La questione è talmente ovvia e uninamente accettata che mi sembra banale doverlo sottolineare (un testo a caso, tra i tanti: Kennedy, Rise and Fall of Great Powers).
Le parole di Caracciolo mi sembrano niente più che un tentativo veloce e scoposto di proporre una tesi in controtendenza.
D'altronde, il "made in Italy" (amato in tutto il mondo) non ci ha ancora reso una grande potenza. La differenza è tutta qui, la Cina avrà poco "soft-power", ma ha molto "material-power". L'Italia è nella situazione opposta. La differenza è abbastanza evidente: l'Italia non è una grande potenza, la Cina sì - per grande potenza intendo un Paese con una significativa influenza regionale, e addirittura globale (il potere è la capacità di influenzare gli altri attori).
Se poi vogliamo fare i puntigliosi, dire che la Cina non abbia "Soft-Power" è chiaramene un butade giornalistica, che Caracciolo si può permettere di tirar fuori perchè non guarda mai oltre il suo giardino. Basta prendere i programmi di scambio universitario che la Cina ha avviato negli ultimi anni con un può tutti i Paesi del Sudest-Asiatico (Vietnam, Thailandia, Singapore in primo luogo). A ciò si aggiunga poi la diaspora cinese che affolla appunto tutto il Sudest-Asiatico (Malesia e Indonesia in primo luogo), e ogni grande metropolitana europea e americana. Caro Federico, scusa se sono stato prolisso. L'attacco non è contro di te, ma contro Caracciolo.
Scusa se sono stato prolisso. Il mio attacco non è contro di te, ma contro Caracciolo. Grazie per l'ospitalità.
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