Forse la facile equazione degli antimilitaristi dogmatici "più guerre => più soldi al complesso militare-industriale => più armi => ancora più guerre => meno diritti e democrazia in casa e all'estero" ha bisogno di essere riveduta e corretta. Forse dall'analisi manca qualche elemento: l'uso della forza militare non risponde alle stesse logiche per tutti gli attori internazionali. Quasi mai per le democrazie un aumento delle spese militari si è tradotto nell'uso dello strumento bellico. Quando ciò è avvenuto è stato per fermare un genocidio o liberare popoli dall'oppressione. Quasi sempre le spese militari vengono accompagnate da strategie politiche aggressive e investimenti che ottengono lo scopo evitando i conflitti armati.
Christian Rocca su Il Foglio ha illustrato con dovizia di particolari gli esiti dell'Human Security Report, un rapporto presentato alla sede delle Nazioni Unite da un centro studi canadese, finanziato dagli insospettabili governi svedese, norvegese, svizzero e britannico. Su un precedente rapporto si basava il breve saggio "La guerra? Un male in via d'estinzione", di Gregg Easterbrook redattore capo di The New Republic, di cui avevamo parlato già in questo post.
Ebbene, prendendo in considerazione il periodo dal 1946 a oggi, il nuovo rapporto svela che «la diffusione della democrazia, la globalizzazione, l'interdipendenza economica e il ricorso agli interventi di peacekeeping per prevenire e fermare i conflitti nel mondo, ha generato un gigantesco crollo del numero di guerre internazionali e delle guerre civili e, di conseguenza, anche dei genocidi e delle vittime in generale». I dati, di cui è ricchissimo il rapporto, sono eloquenti: il trend bellico è discendente da una quindicina di anni, dal crollo dell'impero sovietico. La fine della Guerra fredda ha quasi dimezzato il numero di conflitti armati nel mondo.
L'enorme aumento delle spese militari sotto la presidenza Reagan viene comunemente condannato. Ma faceva parte di una strategia complessiva, dotata di strumenti politici aggressivi, che ha dato i suoi frutti senza che fosse necessario sparare un colpo. Ma neanche questo viene riconosciuto.
La chiave di volta per spiegare il fenomeno sembra essere l'espansione della democrazia registrata dal 1946 a oggi. Allora le democrazie erano soltanto 20, oggi sono 88. E molti si sono ormai convinti dall'osservazione dei fatti che gli Stati democratici quasi mai si fanno la guerra. E che quando combattono lasciano dietro di sé popolazioni liberate. E' la convinzione di fondo della dottrina mediorientale di George W. Bush: la diffusione della democrazia come unico antidoto di lungo periodo all'inclinazione alla violenza interna ed esterna delle società arabe e di religione musulmana.
Sfatate anche le più accattivanti leggende metropolitane di pacifinti e comunisti:
«... non è vero nemmeno che le guerre provocano più vittime rispetto al passato, che la stragrande maggioranza delle vittime si registri tra la popolazione civile, e che bambini e donne siano i primi a esserne colpiti. "Nessuna di queste cose si basa su informazioni credibili. Sono tutte sospette, alcune chiaramente false", si legge nel rapporto».Un motivo in più per rinnovare le proprie analisi.
3 comments:
Complimenti per il post Jim.
Mi dispiace solo che con queste idee continuiate a cercarvi un posto nell'Unione.
Magari quel "posto" riguardasse anche me. Ti assicuro che il plurale è fuor di luogo :-))
Good post
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