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Thursday, February 15, 2007

L'Europa del "lasciateci in pace"

CiaE' l'Europa del "lasciateci in pace, siamo anti-americani", quella che ieri, al Parlamento europeo, ha approvato a larga maggioranza il rapporto Fava sulle "extraordinary renditions" e in generale sull'attività anti-terrorismo della Cia nei paesi dell'Ue. Cantor sulla questione ci segnala la testimonianza di Jas Gawronsky, che racconta su La Stampa la sua esperienza all'interno della commissione parlamentare europea che per un anno ha indagato sull'«uso dei paesi europei da parte della Cia per il trasporto e la detenzione illegale di prigionieri». Ieri, inoltre, Gawronsky è stato anche intervistato da Radio Radicale.

Si parla di voli e prigioni segreti della Cia in Europa. Ci auguriamo che il rapporto steso dalla Commissione indichi con precisione quando, dove e come questi voli hanno avuto luogo e l'esatta ubicazione di queste prigioni. E, inoltre, che sia in grado di provare che questi voli e prigioni segreti non rientrino in accordi bilaterali di collaborazione nella lotta al terrorismo che i governi europei abbiano ritenuto di sottoscrivere con gli Stati Uniti e di "coprire" per motivi di sicurezza nazionale secondo le loro legittime prerogative.

Se il rapporto non risponde con precisione a tali quesiti, di che cosa stiamo parlando? Di un manifesto ideologico? Di un'operazione politica per indicare negli Stati Uniti i principali violatori dei diritti umani?

«Quando i terroristi sono ricercati per la violazione di leggi Usa e si trovano all'estero, il loro rientro dovrà essere una materia prioritaria e l'argomento centrale nelle relazioni bilaterali con qualsiasi paese che li ospiti o li assista: nel caso in cui stessimo richiedendo l'estradizione di un terrorista e lo stato che lo ospita non fornisse un adeguato supporto, allora adotteremo le misure più appropriate per ottenere la collaborazione necessaria. In ogni caso il rientro forzato dei sospetti può essere effettuato senza la cooperazione del governo che li ospita applicando le procedure previste dal National Security Directive n.77 che rimangono in vigore».
Firmato George W. Bush? No, Bill J. Clinton, il 21 giugno 1995. Il «rientro forzato dei sospetti» è regolato dalla Direttiva 77, emanata da George Bush padre nel gennaio 1993.

Altro che legislazione emergenzialista post-11 settembre. Una misura bipartisan diretta conseguenza del primo attacco del terrorismo islamico sul suolo americano: l'esplosione di una bomba nei sotterranei del WTC, che avrebbe potuto provocare il crollo dei due grattacieli con otto anni di anticipo.

Il dispositivo legale delle "extraordinary renditions" fu fornito dal Procuratore generale degli Stati Uniti fin dal 1989, su richiesta dell'Fbi. Il parere, che ha valore normativo, conferisce all'Fbi il compito «di indagare e arrestare soggetti che abbiano violato le leggi statunitensi anche se le azioni condotte dall'Fbi dovessero risultare in contrasto con le leggi internazionali. Le attività da condurre all'estero, qualora debitamente autorizzate dalle leggi nazionali statunitensi, non possono essere bloccate nel caso violino trattati non ratificati o già in vigore come l'articolo 2 della Carta delle Nazioni unite. Un arresto effettuato in contrasto con la legge internazionale o di un paese estero non viola il quarto emendamento» (della Costituzione Usa).

Se si citano le pronunce della Corte suprema Usa, occorrerà notare che non hanno come oggetto la chiusura o meno delle cosiddette prigioni segrete, né di Guantanamo, ma lo status giuridico del prigioniero, vero rompicapo giuridico da risolvere in una guerra senza divise e senza stati ma su cui gli europei preferiscono chiudere gli occhi: più comodo emettere proclami di moralistico sdegno, e per i governi più pratico combattere il terrorismo con l'intelligence ma quasi vergognandosene.

Ben più del rapporto Fava, quindi, per comprendere esattamente di cosa si sta parlando, bisogna guardare all'inchiesta sulla "extraordinary rendition" italiana, quella sul caso Abu Omar. Il Governo ha accusato la Procura di Milano di aver violato il segreto di stato su una questione di sicurezza. Lo ha spiegato al Parlamento non Berlusconi, ma il vicepresidente del Consiglio Rutelli, rendendo noto che nei confronti di questa violazione il governo ha aperto un conflitto di con la procura milanese presso la Corte costituzionale.

Spetta alla Consulta adesso stabilire se sia prevalente l'interesse alla sicurezza nazionale tutelato dal lavoro "in copertura" dei servizi segreti, sotto la responsabilità dei governi, o all'accertamento di ipotesi di reato.

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