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Monday, February 26, 2007

Da Blair-Fortuna-Zapatero a Prodi-Prodi-Prodi

Villetti, Pannella e Boselli al termine dell'incontro con il Capo dello StatoUn «nuovo Governo in cui risultino fortemente ampliate e rafforzate la politica e la componente riformatrici e liberali della maggioranza», auspicavano in un comunicato congiunto Radicali italiani, Associazione Luca Coscioni e Nessuno Tocchi Caino.

Non la prosecuzione di questo governo con un semplice allargamento della maggioranza a singole personalità, ma un nuovo governo, un Prodi-bis, rafforzando la politica riformatrice e liberale. Dunque, "sì" alla conferma di Prodi, ma fra le due possibilità, governo così com'è, o governo e programma rinnovati, i radicali annunciavano di preferire quest'ultima. «Il problema non è accattare qualche voto individuale in più, ma offrire l'occasione a nuove forze di condividere la politica del governo Prodi. In questo modo potrà rafforzarsi, rinunciando alla prospettiva di un piccolo allargamento per sopravvivere, e puntando invece a rafforzarsi politicamente», spiegava Pannella in una conferenza stampa. I radicali preferiscono, ma sono pronti ad adeguarsi.

Sarà per questa "preferenza" senza conseguenze che la posizione radicale non ha incontrato l'attenzione dei media? O sarà perché all'uscita del vertice dei segretari Pannella si dimenticava di raccontare ai giornalisti presenti dello «scontro violentissimo» di cui ha riferito, invece, domenica sera a Radio Radicale?

Tralasciando il fatto che questa posizione giungeva fuori tempo massimo, con almeno un giorno di ritardo, cioè quando al vertice dei segretari dell'Unione una decisione era già stata presa e a poche ore dal termine delle consultazioni al Quirinale, dal punto di vista politico fa acqua da tutte le parti e fa a pugni persino con la logica.

Dirla mezza per non dirla tutta. Ciò che i radicali hanno proposto presuppone l'uscita di scena di Prodi, ma non volendo neanche alluderlo, né solo pensarlo, non hanno potuto che pronunciare frasi contraddittorie.

Quali sono queste «nuove forze» che dovrebbero «condividere la politica del governo Prodi»? Vengono chiamati in causa Rotondi, Tabacci, Follini, il Nuovo Psi, Lombardo. Insomma, poco più che «singole» personalità, tra l'altro le stesse a cui l'Unione si è rivolta per quell'allargamento a uno-due-tre senatori che i radicali sostenevano di non volere. Di queste, solo Follini sembra aver accettato, mentre gli altri in un modo o nell'altro hanno prospettato «larghe intese», o comunque una soluzione senza Prodi.

E' del tutto evidente che qualsiasi serio rafforzamento della politica del Governo Prodi in senso riformatore e liberale vedrebbe peggiorare l'instabilità sul lato sinistro della maggioranza. Inoltre, Rifondazione e Comunisti italiani hanno già avvertito che il programma "non si tocca" e concesso al massimo un allargamento a «singoli» senatori. Se davvero governo e programma fossero così rinnovati da poter raccogliere il consenso di «nuove forze», la sinistra comunista e massimalista non farebbe più parte della maggioranza e a guidare l'Esecutivo non potrebbe più essere Prodi. Prima di tutto perché Prodi stesso ha già chiarito di non essere disponibile a guidare una maggioranza diversa, con un programma e un governo diversi. Romano è sempre ostinato, come nel '98. Tra l'altro, le «nuove forze» che si aggregassero dovrebbero essere tali da sostituire numericamente Rifondazione e Pdci, ma neanche l'Udc sarebbe sufficiente: dunque, siamo alle «larghe intese». Se invece i radicali si riferiscono davvero ai nomi citati, si tratta della campagna acquisti già in corso.

La lealtà a Prodi passa per il rinvio alle Camere del governo così com'è, tutt'al più acquistando qualche senatore. Tutte le altre soluzioni - dalle «larghe intese» al rinnovo in senso liberale del governo e del programma - sono incompatibili con la tenuta della coalizione uscita vittoriosa, anche se di poco, dalle urne. Si tratterebbe di superare la formula "Unione" e il prodismo. E' questo che, senza esplicitarlo, chiedevano i radicali? "Vorremmo, ma non possiamo", oppure "Potremmo, ma non vogliamo"? Sarebbe la stessa cosa che chiedono, in termini centristi, Casini e Tabacci.

L'equivoco di fondo sta nell'errore di lettura iniziale di quella che Pannella chiama l'«utopia prodiana», che è irriformabile, perché si fonda sull'idea che l'Ulivo, alleandosi con la sinistra neocomunista e massimalista, potesse non solo "cacciare" Berlusconi e vincere le elezioni, ma anche governare il paese.

Ma se in nessun paese europeo una sinistra democratica e liberale governa insieme a quella neocomunista ci sarà pure un motivo. In Gran Bretagna Blair ha svecchiato il Labour dopo un decennio di coraggiose scommesse politiche; in Germania il socialdemocratico Schroeder si è rifiutato di allearsi con i Bertinotti di lì ed ha sostanzialmente pareggiato nel confronto con la Merkel. Nei paesi scandinavi, o in Danimarca, Olanda, e anche in Spagna, la sinistra non governa con i comunisti.

Se davvero l'obiettivo è riformare la sinistra in senso liberale, bisogna capire che governare insieme alla sinistra massimalista è un'anomalia solo italiana e che la resa dei conti con i neocomunisti non va rinviata ma provocata. Anche perché, rispetto a una sinistra neocomunista, una sinistra liberale e riformatrice è alternativa almeno quanto lo è rispetto alla destra.

Dunque, essere gli «ultimi giapponesi» di Prodi aveva senso finché si trattava di conquistare l'«alternanza»; perché se una maggioranza di centrosinistra senza Bertinotti e Diliberto è incompatibile con il "prodismo", l'ovvia conseguenza è che la riforma della sinistra in senso democratico e liberale, l'«alternativa», passa per il fallimento dell'«utopia prodiana».

Dopo le elezioni, nei loro rapporti interni alla maggioranza e al Governo, i radicali hanno commesso a mio avviso due errori fondamentali. Primo: appena avuta la certezza che Berlusconi fosse battuto, che l'«alternanza» fosse ottenuta, avrebbero dovuto dimenticarsela come priorità, concentrandosi sull'«alternativa», l'obiettivo proclamato in campagna elettorale. Soprattutto perché l'alternanza da condizione poteva ben presto rivelarsi, come mi pare sia accaduto, un ostacolo all'alternativa, ammesso che per alternativa non s'intenda conservare le poltrone.

Secondo: al di là dei contenuti da sempre loro patrimonio, i radicali non hanno approfondito come stare nella maggioranza, cioè quale dovesse essere il loro ruolo specifico nell'Unione e quale l'atteggiamento nei confronti del Governo Prodi. Un particolare che forse non può incidere di per sé positivamente sulla crescita del soggetto politico, ma certamente può incidere, e molto, negativamente.

L'impegno dei radicali (se non della Rosa nel Pugno, visto che è stata quasi subito congelata) avrebbe dovuto essere quello di attivare e stimolare il conflitto con la sinistra neocomunista e massimalista. Quello «scontro» tra sinistra liberale e neocomunista che Pannella negli ultimi mesi del 2005 ripeteva essere «necessario e salutare», ma che non sono riusciti a innescare, non favorito certo dalle issues cui hanno scelto di dare maggiore rilevanza nella loro attività di questi mesi.

Oggi i radicali dichiarano che la sinistra comunista è «inaffidabile» e chiedono - par di capire anche se provocasse la sua uscita dalla maggioranza - quel rafforzamento della componente riformatrice e liberale al quale loro stessi, dall'inizio, avrebbero dovuto lavorare.

Eppure, non solo autorevoli dirigenti del partito in questi mesi hanno guardato alla sinistra comunista, chi cercando una sponda sui diritti civili o sulla nonviolenza, chi addirittura intravedendo da quelle parti dei liberali o dei laburisti. E c'era persino chi avrebbe voluto essere a Vicenza a manifestare, o sostenere un referendum cittadino sulla base Usa. Si è addirittura "criminalizzato" Capezzone, il cui tentativo, con il tavolo dei «Volenterosi», era proprio quello di rafforzare la politica e la componente riformatrice e liberale della maggioranza. Guardando dove? Certo non dalle parti di Bertinotti, D'Alema e Salvi. Una prospettiva anche quella di allargamento, ma non su esigenze di pallottoliere, come oggi, bensì unendo laicamente personalità di diversa estrazione politico-culturale su obiettivi concreti di riforma. Chi ha voluto vedere nell'impegno di Capezzone un disegno neo-centrista oggi - ironia della sorte - si trova a chiedere a Rotondi, Tabacci, Follini e Lombardo di puntellare la maggioranza al Senato.

La Finanziaria "tassa e spendi"; una politica estera tra realismo e cinismo; l'affossamento dei Pacs; i giochi di potere del premier, il nuovo «capace di tutto», con le banche "amiche", dalla telefonia al nuovo, inquietante, Fondo per le Infrastrutture; e - ricordiamolo - la più grave violazione della legalità degli ultimi anni, la vicenda non ancora risolta degli otto senatori, che colpisce il più delicato momento di una democrazia: la trasformazione dei voti in seggi.

Nel dibattito interno ai radicali c'è il Pannella del «violentissimo scontro» durante il vertice dei segretari dell'Unione, mentre all'esterno una garbata, e senza conseguenze, preferenza per un Prodi-bis e addirittura un entusiasta Boselli a Porta a Porta. La Rosa nel Pugno non esiste che alla Camera, e ha Villetti come leader. Così, invece che Blair-Fortuna-Zapatero, i radicali sembrano aver fatto proprie le parole d'ordine dello Sdi: Prodi-Prodi-Prodi.

E' come se all'indomani delle elezioni si fossero rifiutati di accettare il fatto che la combinazione tra una maggioranza striminzita al Senato e la vittoria elettorale della sinistra massimalista poneva le basi per una fine molto anticipata del Governo Prodi. Talmente anticipata e poco gloriosa, che visto il ruolo marginale che l'oligarchia ulivista aveva riservato ai radicali c'era piuttosto da chiedersi se non fosse il caso di non partecipare al governo e di limitarsi a un leale appoggio esterno, o quanto meno, oggi, è forse il caso di non recitare la parte degli «ultimi giapponesi». Anche perché Prodi, oggi, rappresenta un fattore di congelamento dello status quo della politica italiana, impedendo nuovi possibili scenari, con tutti i loro rischi di ulteriore conservazione ma anche con le sole opportunità di rinnovamento.

E' condivisibile lo scrupolo di non voler apparire "inaffidabili" come i Mastella, i Di Pietro e i Diliberto, ma tra l'inaffidabilità e i trasformismi da una parte, e il rimanere ingabbiati tra Villetti e il tramonto del "prodismo" dall'altra, non poteva trovarsi una via di mezzo, un diverso equilibrio? Non era anche questa la sfida dei radicali nelle istituzioni?

L'unica certezza a questo punto è che Prodi – non importa se dura ancora 48 ore o sei mesi – è "bruciato", ma nessuno si vuole prendere la responsabilità del suo incenerimento. Ds e Margherita lo sanno perfettamente, ma hanno bisogno di circa un anno – meglio con Prodi, ma se non fosse possibile anche senza – prima delle elezioni anticipate, per far partire il progetto del Partito democratico e presentare un nuovo leader, per esempio Veltroni.

E forse in quel nuovo "centro-sinistra" vedremo l'Udc al posto di Rifondazione e Pdci, i cui leader sono molto spaventati dalla crisi. Non può sfuggire, infatti, come un D'Alema spazientito nella sua replica al Senato abbia sfidato i dissenzienti comunisti («è questa la politica internazionale dell’Italia, se non vi piace non votatela») e non si può del tutto escludere che lo abbia fatto per calcolo: se avesse vinto, si sarebbe preso i meriti dello statista, altrimenti avrebbe aperto la fase del dopo-Prodi, com'è poi accaduto. Inoltre, di poche ore fa sono le sue dure parole contro quella «sinistra che non serve al paese», l'apertura al sistema elettorale tedesco, modello caro a Casini, e il retroscena di Francesco Verderami, sul Corriere della Sera, che vede D'Alema e Rutelli uniti dal progetto di un nuovo centrosinistra che vada dai Ds all'Udc.

Sembra questo lo scenario a cui Ds e Margherita stanno lavorando, formalmente per la legge elettorale e le riforme istituzionali, in vista del prossimo, inevitabile, tonfo del Governo Prodi. Tutti, comunque, stanno già giocando la loro partita per il dopo-Prodi, tranne i radicali, gli unici che sembrano non aver ancora capito che quella partita è iniziata.

4 comments:

Anonymous said...

Sono d'accordo col tuo sgomento.
L'attaccamento a questo governo assurdo è quanto di più penoso ci sia, inoltre l'aggressione sovietica di Pannella & Bonino mi da la definitiva conferma che i Radicali come soggetto politico liberale che abbiamo imparato a conoscere non esiste più.
I grandi vecchi hanno rinnegato tutto spacciando pure un alleanza con i socialisti per una scelta innovativa e liberale,e ora per le poltrone che da giovani si sognavano sono pronti a seguire pure i comunisti con la bava alla bocca.
Se poi pensiamo alla Rosa nel Pugno,che dire, non esiste più è chiaro, se fate caso a Boselli, ogni volta che appare in TV si fa sempre etichettare come SDI,quindi è chiaro che a lui non gliene frega niente dei Radicali e che i socialisti non hanno mai creduto nella RnP ma hanno solo ingoiato il rospo radicale per andare in parlamento con quella manciata di voti che hanno beccato.
Capezzone farebbe bene a tornate con Benedetto e unirsi ai pochi liberali che esistono in Italia.
I Radicali non esistono più,prendiamone atto, il Guru li ha affossati,lasciate a lui i cocci socialisti di una storia politica fallimentare fatta solo di eccessi mediatici e di pochi contenuti.
ciao

Anonymous said...

Uno che sta da tempo sapientemente e disperatamente cercando di smarcarsi e riciclarsi, in vista delle prossime certissime evoluzioni del quadro politico, c'è.
E si chiama Capezzone.
Il quale, se fosse davvero una persona seria, dovrebbe dimettersi clamorosamente dalla presidenza della commissione att.produttive piuttosto che limitarsi ad un innocuo voto di astensione alla Camera...

Insomma, i Radicali di una volta non ci sono più.
Le questioni liberali e liberiste da quelle parti non ci sono più.
Continuano ad appoggiare un premier che ha fatto il peggior governo degli ultimi anni ed il più astronomicamente lontano da qualsiasi afflato liberale.
E come per il governo di Prodi, che non piace proprio più a nessuno, neppure più al popolo della sinistra utopista, i pannelliani giapponesi di Prodi e soprattutto di se stessi non piacciono proprio più a nessuno.

Grande risultato!
Prevedibile fin dal Comitato Nazionale del Gennaio 2005, dall'esito referendario 2005, dall'invenzione della RnP quando pareva certo che il csx avrebbe vinto a mani basse, dal trattamento riservato alle liste RnP dagli alleati Ds e Margherita, ecc ecc ecc.
Ma cmq assai significativo del logoramento finale di un leader che è sempre più incoerente con se stesso e della sempre più marcata distanza tra i Radicali e la vita della gente che un tempo simpatizzava con loro, ma non ne è stata mai convinta fino in fondo.

Anonymous said...

Penso anch'io che almeno Capezzone debba smarcarsi da questo insulto collettivo alla democrazia ( demos) e alla politica ( polis).
Il PR può riprendere la propria identità e la propria missione se con coraggio traccia un futuro di "discontinuità" con le attuali scelte dei dirigenti storici.
L'occasione ora è perfetta!
Bianca

Anonymous said...

Il Governo Berlusconi, è stato uno dei governi piu' illiberali di sempre.
E' ridicolo come le liberalizzazioni (seppur abbastanza innocue) le abbiano fatte Prodi e D'Alema nel 96-2000 e le stiano facendo oggi!!!
Della Vedova è semplicemente ridicolo: secondo me, manca poco che voti contro i DICO, nel caso in cui si dovessero votare...sta in una coalizione con l'UDC!!
L'alleanza coi socialisti, la RnP...è stata campata molto x aria, c'erano buone premesse, il progetto Blair poteva avere un senso, ma la realtà è che i socialisti sono un partito, legati inevitabilmente alla partitocrazia, mentre i radicali sono piu' un movimento, e presto l'incompatibilità è diventata reale.
I radicali non stanno bene ne con questo centrodestra, ne con questo centrosinistra.
Se proprio si voleva andare in Parlamento, si è scelta la coalizione dove si intravedeva un lumicino di libertà in più, si è scelta la coalizione dove c'erano le condizioni per trasformarla maggiormente a propria immagine.
L'esclusione ignobile e illegale dal Senato, per la quale Capezzone è in sciopero della fame, ha affossato ogni possibilità di rendere questo centro-sinistra meno statalista, corporativista, insicuro sui temi etici.