«L'aliquota di equilibrio, cioè il contributo che ciascuno di noi dovrebbe pagare per azzerare il deficit dell'Inps, è oggi vicina al 45 per cento (Vedi Brugiavini e Boeri lavoce.info). Come si può chiedere a un giovane di trasferire quasi la metà del proprio salario a chi va in pensione a 57 anni, dopo 35 anni di lavoro, sapendo che lui stesso percepirà una pensione — in rapporto all'ultimo salario — del 20-30 per cento inferiore a quella di chi oggi beneficia dei suoi contributi?» Quindi chiede al Governo:
«La riforma aggiornerà i "coefficienti di trasformazione" per tenere conto della accresciuta longevità? (Su questo intervento la Cisl, ieri, ha espresso il suo veto). Introdurrà riduzioni attuariali per chi va in pensione prima dei 65 anni? Estenderà a tutti il regime contributivo pro rata, che al momento si applica solo per la parte di contributi versati dopo il 1996 e comunque solo per i lavoratori che in quell'anno avevano meno di 18 anni di contributi?»Anche altre, e altrettanto decisive, sono le ambiguità indicate da Giavazzi nei 12 punti: sulla spesa pubblica, ricordando che gli aumenti salariali nel pubblico impiego sono stati per lo più determinati da «promozioni tutte contrattate col sindacato e decise, tranne rare eccezioni, con criteri basati poco sulla valutazione dei singoli e molto sulla semplice anzianità di servizio». In realtà, aggiungiamo, più che sull'anzianità, sull'appartenenza a questo o a quel sindacato, sull'organicità a questa o a quella corrente partitica, secondo logiche di lottizzazione in totale contrasto con le norme costituzionali sulla Pubblica Amministrazione.
Poi, cosa si intenda fare, in concreto, anche su scuola e università, sulle liberalizzazioni dei servizi e delle professioni, nei 12 punti non c'è scritto nulla di preciso.
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