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Thursday, February 15, 2007

E' il momento di approfittare delle difficoltà iraniane

L'ayatollah Khamenei sarebbe gravemente malato«Se non fossi presidente della Camera, andrei alla manifestazione di sabato a Vicenza contro l'allargamento della base americana». Ma dire così è come esserci andati...

Mentre Bertinotti dà l'ennesima prova di scorrettezza istituzionale, chissà cosa avrà stavolta da ridire D'Alema di Bush, che in un discorso all'American Enterprise Insitute ha annunciato l'offensiva di primavera contro i Talebani ed è tornato a ribadire la richiesta di un maggiore impegno degli alleati in Afghanistan, con più uomini e meno limiti operativi.

Ma l'attenzione di questi giorni è puntata sull'Iran. Avevamo sottolineato, quando Bush presentò il suo nuovo piano per l'Iraq, quanto oltre l'invio di circa 20mila soldati fosse centrale la novità strategica: tornare a combattere sul terreno le varie milizie e, soprattutto, affrontare l'influenza destabilizzante dell'Iran.

Finalmente Bush si è convinto di qualcosa che ha sempre sostenuto Michael Ledeen, cioè che sia impensabile risolvere qualsiasi crisi in Medio Oriente, dal Libano al conflitto israelo-palesinese, per non parlare del confinante Iraq, senza prima sciogliere il nodo iraniano.

Così la Casa Bianca ha finito di autocensurarsi e sempre più apertamente, in un crescendo, accusa l'Iran di armare le milizie irachene con l'obiettivo di destabilizzare il paese a vantaggio degli sciiti radicali e di provocare il ritiro americano. «Sappiamo che queste bombe arrivano dall'Iran, sappiamo che la Forza Al Quds fa parte del governo ma non sappiamo se chi guida il governo è a conoscenza dell'invio di esplosivi», ha denunciato Bush, aggiungendo: «Non so davvero dire cosa sia peggio, se ne sono a conoscenza o meno».

Il presidente Bush sembra finalmente convinto - anche perché si è aperta a Teheran la lotta per la successione a Khamenei, gravemente malato - che l'Iran sia destabilizzabile da una parte attraverso le sanzioni e il blocco economico, finanziario, bancario, dall'altra fornendo appoggio agli oppositori interni, alla diffusa ribellione studentesca e ai moti di protesta dei lavoratori e delle minoranze etniche. Anche se non è da escludere un blitz di "fine mandato" contro le installazioni nucleari, contro il regime iraniano Washington non pensa a una soluzione di forza, a una nuova guerra, ma a operazioni di destabilizzazione interna tramite l'intelligence e la diplomazia, sfruttando le sue stesse crepe.

Non è ancora chiaro se l'amministrazione Usa abbia apertamente optato per il regime change, ma la destabilizzazione conviene in ogni caso.

Riguardo il dossier nucleare iraniano usciamo da una settimana in cui uno scoop del Financial Times ha portato alla luce in Europa quello che Franco Venturini oggi, sul Corriere, ha chiamato «partito della rassegnazione davanti alla bomba atomica iraniana».

Pochi giorni fa il presidente francese Chirac si era lasciato scappare di bocca che in fondo uno o due ordigni in mano a Teheran non sarebbero così preoccupanti, poiché quand'anche li utilizzasse la capitale iraniana verrebbe rasa al suolo all'istante. Non potendo escludere che il regime degli ayatollah, una volta ottenute le bombe, attacchi davvero Israele, Chirac evidentemente ritiene accettabile che Stati Uniti o Israele ricorrano al loro arsenale nucleare provocando milioni di vittime. Uno scenario per scongiurare il quale non varrebbe la pena sacrificare qualche accordo commerciale.

Intervenendo sempre sul Financial Times, i due analisti Reuel Marc Gerecht e Gary Schmitt, dell'American Enterprise Insitute, avvertono gli europei: se volete davvero evitare una nuova guerra, siate disposti a sacrificare i vostri rapporti commerciali con Teheran e accettate di imporre le sanzioni che, viste le precarie condizioni economiche iraniane, potrebbero rivelarsi fatali al regime degli ayatollah.
«Do the Europeans really want to prevent a war between the US or Israel and Iran? If they had to choose between curtailing trade with the Islamic republic, or seeing either America or Israel preventatively strike Iran's nuclear facilities, which would London, Paris and Berlin prefer?»
Stati Uniti e Israele «non desiderano attaccare l'Iran», ma se gli europei precludono l'opzione delle sanzioni economiche e finanziarie, «le probabilità di attacchi aumenteranno in modo significativo».

Gli Stati Uniti hanno inviato nel Golfo una nuova portaerei, deciso di fermare le infiltrazioni iraniane in Iraq, interrompere il flusso di contante delle banche iraniane, e andare avanti nel proporre un rigido regime di sanzioni contro Teheran alle Nazioni Unite. Insomma, si comincia a fare sul serio.

Le pressioni su Teheran aumentano e rischiano di avere un effetto destabilizzante sul regime. E' ovvio quindi, che l'oligarchia iraniana stia cominciando a farsi due conti sui risultati di una politica aggressiva come quella del presidente Ahmadinejad, che sembra sempre più criticato e indebolito. Accantonata per il momento la solita retorica minacciosa, cominciano a filtrare verso l'esterno segnali di moderazione e pragmatismo. Potrebbero significare un'inedita attitudine al dialogo, ma anche rivelarsi i soliti diversivi tattici per alleggerire la pressione e tentare di evitare altri danni all'economia, ulteriore benzina sul fuoco del dissenso interno.

In ogni caso, sembra questo il momento propizio per affondare il colpo delle sanzioni, tentare la spallata al regime, l'unico modo realistico per scongiurare una nuova guerra.

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