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Le strade militarizzate, i monasteri blindati, le comunicazioni bloccate, la leader dell'opposizione mossa come una pedina, senza che le sia permesso rilasciare dichiarazioni ufficiali ai media, tutto lascia intendere che si tratti solo di un'operazione di immagine del regime, una messa in scena, una "photo-opportunity": far circolare la foto di Aung San Suu Kyi compostamente seduta accanto a un esponente del regime per dare a bere alla comunità e alle opinioni pubbliche internazionali che la situazione è ormai normalizzata e il dialogo procede. L'unico atto, concreto, che invece bisognerebbe esigere dalla dittatura militare birmana è restituire alla leader democratica, e agli altri dissidenti imprigionati, piena di libertà di movimento, parola e azione politica. Ma abbiamo la forza di esigerlo?
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