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Thursday, October 25, 2007

In Birmania la farsa del dialogo: i carcerieri convocano la detenuta

Finché la leader democratica birmana non sarà formalmente rimessa in libertà e in grado di parlare liberamente, non si può dire Aung San Suu Kyi "incontra" la Giunta militare, né tanto meno che "tratta", come purtroppo abbiamo sentito in tv e letto sui giornali. Piuttosto, bisognerà dire è stata "prelevata", "trasferita", "condotta" dinanzi a un rappresentante del regime delegato dai generali ai rapporti con la National League for Democracy. Non può esserci dialogo alla pari tra una detenuta e il suo carceriere.

Le strade militarizzate, i monasteri blindati, le comunicazioni bloccate, la leader dell'opposizione mossa come una pedina, senza che le sia permesso rilasciare dichiarazioni ufficiali ai media, tutto lascia intendere che si tratti solo di un'operazione di immagine del regime, una messa in scena, una "photo-opportunity": far circolare la foto di Aung San Suu Kyi compostamente seduta accanto a un esponente del regime per dare a bere alla comunità e alle opinioni pubbliche internazionali che la situazione è ormai normalizzata e il dialogo procede. L'unico atto, concreto, che invece bisognerebbe esigere dalla dittatura militare birmana è restituire alla leader democratica, e agli altri dissidenti imprigionati, piena di libertà di movimento, parola e azione politica. Ma abbiamo la forza di esigerlo?

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