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Thursday, October 04, 2007

Yulia contro il nuovo "inciucio" ucraino

Con tempistica per lo meno sospetta, proprio nel momento in cui si stava delineando la vittoria elettorale, seppure di misura, della coppia filo-occidentale Yushenko-Tymoshenko, la Gazprom, il colosso energetico russo controllato dallo Stato, minacciava di chiudere i rubinetti del gas all'Ucraina, se entro un mese Kiev non avesse saldato il debito, che secondo Mosca ammonterebbe a un miliardo e trecentomila dollari. Il colpo si deve essere fatto sentire, se oggi da Mosca sono arrivate rassicurazioni sia sulla disponibilità dell'Ucraina a saldare (anche da Kiev non sono giunte dichiarazioni bellicose), sia sull'assenza di rischi per le forniture in Europa.

Ma «a Mosca sanno che di fronte alla paura dei termosifoni spenti la voglia di sostenere la democrazia viene meno in molte capitali europee», commentava ieri Anna Zafesova su La Stampa. La Commissione Ue ha comunque deciso di riunire gli esperti del gas dei 27 Paesi membri a metà ottobre, per valutare la situazione tra Russia e Ucraina, invitando all'incontro anche i rappresentanti delle aziende energetiche di Mosca e Kiev.

L'affermazione elettorale della coppia Yushenko-Tymoshenko non è tale da far pensare a un immediato superamento della fase di stallo e ingovernabilità che da mesi affligge l'Ucraina. Ne sono il segno evidente le prime dichiarazioni dei due a risultato acquisito. Il presidente Yushenko ha invitato i tre principali partiti, quindi compreso quello filo-russo del premier uscente Yanukovic, ad avviare consultazioni per formare un governo di unità nazionale. Yulia Tymoshenko ha però subito replicato bocciando l'idea del presidente: «Mai in una coalizione con i filorussi. In caso si formasse una coalizione tra Nostra Ucraina [Yushenko, n.d.r.] e il Partito delle Regioni [Yanukovic, n.d.r.] resteremo all'opposizione. Non faremo da tetto politico alla mafia». Parole dure.

I due protagonisti della "rivoluzione arancione" inaugurano nel peggiore dei modi la fase post-elettorale, mostrando di poter ricadere – a meno che non sia in atto un gioco delle parti – nel medesimo errore fatto in passato, quello di dividersi, che ha permesso all'ex premier filo-russo Yanukovic di approfittarne e di inserirsi nelle crepe, e ha causato la disaffezione di molti loro sostenitori.

Yushenko sembra forse più pragmatico. Probabilmente sa che le urne non hanno regalato al fronte filo-occidentale una forza tale da reggere ad un altro prolungato periodo di instabilità e, per di più, sotto le pressioni di Mosca. Così, con realismo, avanza la prospettiva di una coabitazione, certamente difficile, ma forse l'unico modo per responsabilizzare Yanukovic, sottraendolo alla tentazione di giocare al massacro. Un gioco che rischierebbe di travolgere definitivamente le posizioni fin qui acquisite dalla nuova Ucraina. Inoltre, il presidente pensa così di accreditarsi come figura di salvaguardia dell'unità nazionale e poter procedere alla riforma costituzionale necessaria per delineare meglio le prerogative di presidente e premier prima delle presidenziali del 2009.

Yulia, al contrario, può sostenere che la coabitazione è stata già tentata con esiti da dimenticare e che oggi tradirebbe le attese e gli accordi pre-elettorali. Sembra avere le idee più chiare e i principi più saldi, oltre ad essere più in sintonia con l'elettorato. Quindi, rifiuta l'"inciucio", di cui tra l'altro è già rimasta vittima in passato.

Ciò che accade in Ucraina può avere contraccolpi in senso positivo, o negativo, anche sulle altre ex repubbliche sovietiche, dalla Bielorussia alla Georgia fino a tutto il Caucaso e all'Asia centrale. Putin sa di giocarsi in Ucraina molte delle chance di restituire alla Russia il ruolo di potenza mondiale. Nonostante la centralità strategica dell'Ucraina – per la Russia e, di riflesso, anche per l'Ue, che è ai suoi confini – Bruxelles e le capitali europee sembrano troppo lontane da ciò che accade a Kiev.

Le pressioni russe, che Yushenko e Tymoshenko per primi fanno bene a non drammatizzare, e i pericoli di una nuova fase di instabilità a Kiev, si intrecciano con la notizia che Putin, non potendosi candidare per un terzo mandato presidenziale, ha però trovato l'escamotage per mantenere il controllo del potere: candidandosi alle elezioni legislative di dicembre come capolista del suo partito, Russia Unita, investire un presidente "fantoccio" e farsi nominare primo ministro. In questo modo, grazie al suo prestigio personale, attribuite alla carica di primo ministro l'influenza e l'autorità sufficienti, continuerebbe a indirizzare tutte le scelte del Paese. E nulla gli vieterà, se necessario, di trasferire molti poteri, oggi di competenza presidenziale, al capo del governo.

Il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, ha dichiarato al New York Post di credere al presidente russo quando assicura di non voler cambiare la Costituzione, ma non è rimasta indifferente alla sua ultima manovra: «Ciò che preoccupa della Russia di oggi è la concentrazione di potere nel Cremlino», avverte, perché «è abbastanza ovvio che non ci sono forti contrappesi istituzionali: il Consiglio federativo non lo è. La Duma non lo è, i tribunali non lo sono». Si tratta di «una questione interna russa», invece, per la Commissione europea, anche se poi ha chiesto a Mosca di invitare l'Osce a seguire le elezioni.

Gli Stati Uniti, tuttavia, non sono più soli di fronte a una Russia che sfida l'Occidente praticamente su tutti i capitoli dell'agenda internazionale. Dal più piccolo al più grande, non manca di reagire tirando la corda dal capo opposto a quello da cui la tirano Usa ed Europa. Per Bernard Kouchner, ministro degli Esteri francese, la Rice «ha ragione». Quello di Putin è un «metodo originale» per restare al potere. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha nei confronti di Putin un atteggiamento molto più distaccato e critico rispetto al suo predecessore Schroeder. Le relazioni tra Gran Bretagna e Russia, soprattutto dopo l'omicidio Litvinenko, non hanno forse mai raggiunto un livello così basso. E poi c'è il presidente francese Nicolas Sarkozy – la cui "rupture" con la politica estera chirachiana è ogni giorno più evidente – che è arrivato a denunciare la «brutalità» dei metodi di Mosca.

Di ieri, inoltre, un lungo appello di Joschka Fischer, ex ministro degli Esteri tedesco, e Martti Ahtisaari, ex premier finlandese, per una politica estera comune dell'Ue. In un passaggio i due affrontano anche il nodo Putin, osservando che «l'Ue ha sottostimato costantemente la propria forza, esagerando quella del Cremlino di Putin e permettendo a questo paese di farsi sempre più bellicoso». Lentamente, forse troppo lentamente, ma sta cambiando l'atteggiamento europeo nei confronti della Russia di Putin.

P.S. E il Governo italiano? Come del resto anche su tutti gli altri temi più scottanti dell'agenda internazionale – vedi il nucleare iraniano – silenzio assoluto, per interessi commerciali o ben più prosaiche esigenze di coalizione.

4 comments:

Riccardo Gallottini said...

Lo scritto anche nel mio intervento. Se è un candidato democratico che vince in America come la mettiamo con Putin? Per me male.

Hermes said...

adesso non fatemi ridere: dell'Italia non parlo per carità di patria, ma in America abbiamo il FIGLIO! di un presidente precedente (che a sua volta era vicepresidente nei due mandati precedenti) e il cui fratello è governatore di uno stato importante, e voi andare a fare le pulci a Putin perchè non se ne va a coltivare le rape in campagna a 50 anni?
Ma vi rendete conto dei mostruosi doppiopesismi che usate?

Hermes said...

p.s.: l'Occidente avrà vinto la guerra fredda, ma in compenso sembriamo (mi ci metto pure io a responsabilità democratica-culturale) diventati NOI come i comunisti - chi è nostro amico (traducasi in basi militari e/o concessioni commerciali) è "democratico", chi non lo è diventa un despota e tiranno.
Esattamente come facevano una volta i comunisti coi loro media.
Bel risultato.

Antonio Candeliere said...

E' troppo facile criticare un personaggio che comunque gode del consenso democratico del suo popolo. I suoi oppositori non mi sembrano meglio di lui anche se piacciono agli americani, come piaceva Eltsin che aveva reso ridicola la russia.